Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza ha affermato che i motivi di ricorso non devono essere necessariamente rubricati in modo puntuale, né devono essere espressi con formulazione giuridica assolutamente rigorosa, bastando che siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale, come altresì previsto dall’art. 40 c.p.a. nel quale si richiede l’esposizione dei motivi specifici su cui si fonda il ricorso (cfr. Consiglio di Stato, III, 25 ottobre 2016, n. 4463; VI, 9 luglio 2012, n. 4006; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 4 ottobre 2022, n. 2178; II, 24 ottobre 2021, n. 2410; anche Consiglio di Stato, III, 7 luglio 2022, n. 5650).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2626 del 24 novembre 2022.


Il TAR Brescia, dopo aver premesso:
<<- che il ricorso in esame non è stato firmato digitalmente (mediante l’utilizzo del formato PAdES) e, dunque, viola l’art. 136, comma 2-bis, Cod. proc. amm. (a tenore del quale «[…] tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale») e l’art. 9 (Atti delle parti e degli ausiliari del giudice), comma 1, D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico) (in base al quale gli atti processuali «sono redatti in formato di documento informatico sottoscritto con firma digitale conforme ai requisiti di cui all'articolo 24 del CAD»), norme il cui combinato disposto vuole che l’atto processuale introduttivo del giudizio abbia la forma risultante da un’estrazione di formato digitale pdf nativo, sottoscritto dal legale con firma digitale PAdES;
- che, pur non essendo conforme alle regole di redazione dell’art. 136, comma 2-bis, Cod. proc. amm. e dall’art. 9, comma 1, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 – la predisposizione e il deposito del ricorso in formato non digitale non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (art. 156, primo comma 1, Cod. proc. civ.), anche in considerazione del fatto che esso ha comunque raggiunto il suo scopo tipico (art. 156, terzo comma 3, Cod. proc. civ), essendone certa la paternità e piana l’intelligibilità quale strumento finalizzato alla chiamata in giustizia e all’articolazione delle altrui relative difese: dal che consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione, benché sia avvenuta la costituzione in giudizio della parte cui l’atto era indirizzato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, ord. 24/11/2017, n. 5490; Sez. IV, 4/4/2017 n. 1541);
- che, in conformità a tale orientamento della giurisprudenza (di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4286/2017 e all’ordinanza dello stesso giudice d’appello n. 56/2018), che ha qualificato il vizio del ricorso che sia stato depositato pur privo di firma digitale - come un’ipotesi di mera irregolarità sanabile, deve ritenersi applicabile l’art. 44 comma 2 c.p.a.;>>.
concede un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell’atto nelle forme di legge, con la comminatoria della declaratoria di irricevibilità del ricorso in caso di mancata osservanza del termine.


TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 364 del 22 aprile 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che è onere della parte, che ha ritenuto di non avvalersi dell’istituto del ricorso per motivi aggiunti e ha invece rinviato per relationem ad altri atti processuali esterni al giudizio, quantomeno depositare in giudizio gli atti a cui fa riferimento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 917 del 9 aprile 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che «il richiamo generico, nell’epigrafe del ricorso, alla richiesta di annullamento degli atti presupposti, connessi e conseguenti, non è sufficiente, per giurisprudenza consolidata, a radicarne l'impugnazione, in quanto i provvedimenti impugnati devono essere puntualmente inseriti nell’oggetto della domanda e a questi devono essere direttamente collegate le specifiche censure».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2601 del 28 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva in ordine ai rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale:
«- la Corte di Giustizia con la sentenza indicata ha affermato il principio secondo cui il diritto europeo relativo alle procedure di ricorso in materia di procedure di affidamento di appalti pubblici “osta a che un ricorso principale, proposto da un offerente che abbia interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto (...) ed inteso ad ottenere l’esclusione di un altro offerente, venga dichiarato irricevibile in applicazione delle norme o delle prassi giurisprudenziali procedurali nazionali disciplinanti il trattamento dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione, quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorsi”;
- il principio di diritto sopra richiamato è stato espresso in una controversia relativa ad una procedura di gara alla quale “abbiano partecipato più imprese e le stesse non siano state evocate in giudizio (e comunque avverso le offerte di talune di queste non sia stata proposta impugnazione)” (cfr. paragrafo 19 della sentenza della Corte di Giustizia; in cui è riportata la questione pregiudiziale sollevata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza dell’11 maggio 2018, n. 6);
- la Corte precisa che “anche quando, come nella controversia di cui al procedimento principale, altri offerenti abbiano presentato offerte nell’ambito della procedura di affidamento e i ricorsi intesi alla reciproca esclusione non riguardino offerte siffatte classificate alle spalle delle offerte costituenti l’oggetto dei suddetti ricorsi per esclusione” (paragrafo 26), nondimeno, in base al principio dell’efficacia dei ricorsi in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici, deve comunque essere esaminato nel merito il ricorso di ogni concorrente che “può far valere un legittimo interesse equivalente all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere alla scelta di un’offerta regolare” (paragrafo 24);
- in tal senso, viene configurato come risultato utile comunque conseguibile e meritevole di tutela, quello consistente nello stimolo indotto dalla pronuncia giurisdizionale di annullamento al potere di autotutela della stazione appaltante, la quale, vistasi invalidare le offerte oggetto delle contrapposte impugnazioni, tra cui quella dell’aggiudicataria, “potrebbe prendere la decisione di annullare la procedura e di avviare una nuova procedura di affidamento a motivo del fatto che le restanti offerte regolari non corrispondono sufficientemente alle attese dell’amministrazione stessa” (paragrafo 28);
- nell’affermare il principio sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale così sintetizzato, la Corte di giustizia ha dato continuità alla propria precedente giurisprudenza, espressa nelle sentenze del 4 luglio 2013, C-100/12 (Fastweb) e 5 aprile 2016, C-689/13 (Puligienica Facility Esco s.p.a. - PFE), che già avevano chiarito che “il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi, come pure il numero di partecipanti che hanno presentato ricorsi nonché la divergenza dei motivi dai medesimi dedotti, non sono rilevanti” ai fini dell’applicazione del principio sopra enunciato (paragrafo 30):
- la Corte di giustizia ha precisato che il medesimo principio non incontra ostacolo nell’apparente contraria regola affermata in propri precedenti, ed in particolare nella sentenza 21 dicembre 2016, C-355/15, Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung und Caverion Österreich). Ciò in ragione del fatto che in quel caso l’esclusione dalla gara del ricorrente si era ormai consolidata, e precisamente: “era stata confermata da una decisione che aveva acquistato forza di giudicato prima che il giudice investito del ricorso contro la decisione di affidamento dell’appalto si pronunciasse, sicché il suddetto offerente doveva essere considerato come definitivamente escluso dalla procedura di affidamento dell’appalto pubblico in questione” (paragrafo 31);
- i principi fissati dalla Corte di giustizia conducono a ritenere che nei giudizi di impugnazione di atti di procedure di affidamento di contratti pubblici l’interesse ad agire in giudizio può avere sostanza in un’utilità non immediatamente ritraibile dalla decisione di accoglimento del ricorso, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza nazionale in relazione all’art. 100 cpc, ma può essere anche intermediato dall’esercizio di un potere amministrativo di cui sia paradigmatico il carattere discrezionale, quale quello di autotutela;
- resta preclusa al giudice davanti al quale i contrapposti ricorsi siano stati proposti la possibilità di alterare la parità delle parti, che nel processo amministrativo ha peraltro valore di principio generale (ex art. 2 cpa), per effetto della diversa posizione in graduatoria di due concorrenti portatori di un uguale e contrapposto interesse legittimo all’altrui esclusione dalla gara;
- fino a che un’esclusione non si sia consolidata, per effetto di un provvedimento dell’amministrazione non impugnato o la cui impugnazione sia stata respinta con sentenza definitiva, non è possibile pregiudicare il diritto ad un ricorso efficace, secondo il diritto europeo sugli appalti pubblici, sulla base della posizione in gara del concorrente e dell’ordine con cui in sede giurisdizionale i ricorsi sono trattati, perché deve comunque essere considerato il suo interesse strumentale alla rinnovazione della gara, ancorché condizionato dal potere di autotutela della stazione appaltante (cfr. per tali considerazioni si veda di recente Consiglio di Stato, sez. V, 9 aprile 2020, n. 2330)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1527 del 4 agosto 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri



Il TAR Milano condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non può affermarsi, in via generale, che un parere vincolante, una volta espresso, possa (anzi debba) essere oggetto di immediata e autonoma impugnazione entro il termine decadenziale previsto per il ricorso giurisdizionale; affermare il contrario significherebbe, in primo luogo, negare la distinzione tra funzione di amministrazione attiva e funzione consultiva, pur mantenuta dalla norma; in secondo luogo, determinerebbe un "trasferimento" di potestà provvedimentale che, per un verso, annullerebbe la categoria stessa dei pareri vincolanti (rendendo questi atti sostanziale espressione di amministrazione attiva); per altro verso, svuoterebbe programmaticamente di contenuto il potere provvedimentale, di fatto trasferendolo in capo ad organi diversi da quelli individuati dalla legge, in evidente contraddizione con il principio di legalità in senso formale (fattispecie in tema di parere della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio reso in un procedimento di richiesta di compatibilità paesaggistica).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2545 del 28 novembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano dichiara inammissibile un ricorso in quanto è stata depositata in atti soltanto una procura generale alle liti del legale rappresentante della società ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 40, comma 1, lett. g), c.p.a. che esige che, per il caso di ricorso sottoscritto dal solo difensore, quest’ultimo sia munito di procura speciale, non essendo evidentemente la procura generale sufficiente per l’attribuzione della rappresentanza tecnica nel processo amministrativo.
A diverse conclusioni, secondo il TAR, non può giungersi neppure richiamando la disciplina dell’art. 182, secondo comma, c.p.c., atteso che l’art. 39 c.p.a. rinvia alle norme del c.p.c. soltanto “in quanto compatibili o espressione di principi generali”, per cui l’art. 182, comma 2, c.p.c. non può essere ritenuto applicabile al processo amministrativo; tale norma, infatti, in primo luogo non è espressione di un principio generale, in quanto il processo amministrativo, a differenza di quello civile – che ammette anche il conferimento di un mandato generale alle liti – impone il conferimento del mandato speciale prima della sottoscrizione del ricorso da parte del difensore, trattandosi di processo strutturato come prevalentemente di impugnazione; inoltre, il predetto art. 182, comma 2, c.p.c. non può ritenersi compatibile con i principi propri del processo amministrativo, atteso che la previsione di un termine decadenziale per la notifica del ricorso presuppone necessariamente il previo conferimento del mandato speciale, con riferimento allo specifico atto oggetto di impugnazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1578 del 25 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

Si veda, in senso conforme, la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1091 del 26 aprile 2018 e il relativo post qui pubblicato.

Per l'applicabilità al processo amministrativo dell'art. 182, comma 2, c.p.c. si veda l’ordinanza del TAR Lombardia, Milano, Sezione III, n. 979 del 2 maggio 2017 e il relativo post qui pubblicato.


Il TAR Milano respinge un’eccezione di nullità del ricorso per mancata sottoscrizione digitale del medesimo, atteso che, in caso di ricorso sottoscritto mediante firma autografa, anziché mediante firma digitale, così come prescritto dall'art. 136, comma 2 bis, c.p.a., e successivamente notificato a mezzo del servizio postale, l'atto notificato è comunque inequivocabilmente riferibile al difensore munito di apposito mandato laddove rechi la sottoscrizione della procura in calce e delle relazioni di notifica, dovendosi pertanto, in applicazione del principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo, escludere la nullità assoluta del ricorso, ex art. 40 c.p.a.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1485 del 12 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano dichiara inammissibile un ricorso presentato dal difensore munito di procura generale e non speciale; osserva, al riguardo, il TAR Milano che la procura speciale si caratterizza, rispetto alla procura generale, per avere ad oggetto uno o più atti giuridici singolarmente determinati, il che presuppone che il soggetto il quale rilascia la procura abbia contezza del contenuto dell'atto oggetto del potere rappresentativo conferito, il quale, quindi, deve essere formato prima o contestualmente al rilascio della procura; a diverse conclusioni non potrebbe giungersi neppure richiamando l’art. 182, comma 2, c.p.c., atteso che l’art. 39 c.p.a. rinvia alle norme del c.p.c. soltanto in quanto compatibili o espressione di principi generali e detta disposizione non è espressione di un principio generale e comunque non può ritenersi compatibile con i principi propri del processo amministrativo, atteso che la previsione di un termine decadenziale per la notifica del ricorso presuppone necessariamente il previo conferimento del mandato speciale, con riferimento allo specifico atto oggetto di impugnazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1091 del 26 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Il TAR Milano ritiene che il mutamento della graduazione dell’ordine dei motivi effettuato con semplice memoria non notificata sia inammissibile; invero, nel giudizio innanzi al TAR la parte può graduare, esplicitamente ed in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di annullamento e ciò significa che la stessa parte può scegliere quali effetti privilegiare nel caso di accoglimento, orientando così la condotta processuale – e anche extra processuale - delle altre parti; modificare in corso di giudizio la graduazione equivale a modificare tali potenziali effetti, introducendo in tal modo un petitum diverso da quello originario, e operando dunque una vera e propria mutatio libelli, la quale richiede la formale instaurazione del contraddittorio mediante la notificazione dell’atto che contiene il nuovo ordine dei motivi già proposti alle altre parti, anche non costituite, o almeno l’espressa accettazione del contraddittorio, da parte dei convenuti, sul nuovo ordine stabilito.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 323 del 3 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che qualunque impugnazione non può che riferirsi ad atti esistenti al momento della sua notificazione; la preclusione alla possibilità di impugnative a effetto ultrattivo - la cui portata possa estendersi, cioè, ad atti ad essa non contestuali, ma posteriori - non può essere aggirata, in caso di impugnazione di atti di una procedura di gara, neppure facendo leva sul carattere “derivato” dei vizi appuntati sul provvedimento di aggiudicazione, per ricavarne che l’aggiudicazione doveva intendersi contestata sulla base delle illegittimità dedotte nei confronti dei pregressi atti della procedura di gara; l’aggiudicazione definitiva non può essere, infatti, considerata come atto meramente confermativo o esecutivo, non necessitante di specifica impugnazione, trattandosi, al contrario, di provvedimento che, quand’anche recettivo dei risultati dell'aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova e autonoma valutazione degli interessi pubblici sottostanti e, quindi, onera la parte interessata a contestarne gli effetti attraverso una specifica e autonoma impugnazione.


La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 569 del 26 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo non produce, di per sé, l'effetto di travolgere anche il ricorso per motivi aggiunti, là dove questo sia configurabile come autonomo atto impugnatorio ritualmente proposto avverso un nuovo atto; a tal fine il ricorso per motivi aggiunti deve però essere autosufficiente e conforme al contenuto indicato dall’art. 40 c.p.a.
Per il TAR, il contenuto dei motivi aggiunti da valutarsi quale ricorso autonomo non può essere ritenuto rispondente ai requisiti essenziali di cui all’art. 40 c.p.a. nel caso in cui si componga formalmente solo di un’esposizione in fatto e le deduzioni argomentative ivi contenute consistano nell’esposizione degli atti intervenuti unitamente a una sequenza di commenti e valutazioni personali che non consentono di estrapolare i motivi specifici su cui si fonderebbe il ricorso proposto.
Aggiunge il TAR che lo scopo delle disposizioni è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e di porre argine a una prassi in cui i ricorsi, oltre a essere poco sintetici, non contengono una esatta suddivisione tra fatto e motivi, con il conseguente rischio che trovino ingresso i c.d. "motivi intrusi", ossia i motivi inseriti nelle parti del ricorso dedicate al fatto, che, a loro volta, ingenerano il rischio della pronuncia di sentenze che non esaminano tutti i motivi per la difficoltà di individuarli in modo chiaro e univoco e, di conseguenza, incorrano nel rischio di revocazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1753 in data 8 agosto 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.