I pannelli solari hanno assunto la caratteristica di componente ordinaria del paesaggio, con elevato livello di diluizione della relativa percezione. La loro visibilità, pertanto, rappresenta caratteristica ordinaria e non può essere assunta ad elemento ostativo o limitativo secondo criteri di assolutezza. L’incompatibilità dell’opera, o la sua parziale compatibilità, con i valori oggetto di tutela deve essere evidenziata dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo mediante una valutazione calibrata sulla concreta situazione di fatto e non limitata ad affermazioni generiche e stereotipate. Ciò che viene richiesto all’amministrazione è di specificare le ragioni della parziale compatibilità, previo esame delle sue caratteristiche concrete e l’analitica individuazione degli elementi di contrasto con il vincolo da tutelare, al di là della mera visibilità dalla strada che non può costituire, ex se considerata, ragione giustificatrice, sul piano della compiutezza valutativa rispetto ad un pur legittimo obiettivo di “migliore inserimento nel contesto paesaggistico”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2702 del 17 luglio 2025


In materia di fonti energetiche rinnovabili, la giurisprudenza amministrativa riconosce che la normativa statale e sovranazionale che regola la materia manifesta un favor per l’allestimento di tali risorse, ponendo le condizioni per una adeguata diffusione dei relativi impianti produttivi, ciò in quanto la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è un’attività di interesse pubblico che contribuisce anch’essa non solo alla salvaguardia degli interessi ambientali, ma, sia pure indirettamente, anche a quella dei valori paesaggistici. Ciò non significa, tuttavia, che l’interesse pubblico alla realizzazione di siffatti impianti debba sistematicamente risultare prevalente rispetto alla tutela dell’interesse paesaggistico o culturale, determinando l’illegittimità di qualsiasi provvedimento che ne vieti l’installazione in zone vincolate, ma impone in capo all’Amministrazione un più incisivo e stringente obbligo motivazionale che dia evidenza di aver operato un effettivo bilanciamento dei vari interessi in gioco.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 645 del 7 luglio 2025


Con la sentenza n. 251 del 2022, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 16 dicembre 2021, n. 23, che, in assenza di un piano paesaggistico elaborato congiuntamente dallo Stato e dalla Regione, consentiva l’ampliamento della superficie dei fabbricati da destinare ad attività agrituristica.
Secondo la Corte, il rischio di pregiudicare scelte di tutela del paesaggio che devono essere necessariamente condivise comporta la violazione della competenza statale stabilita art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Corte Costituzionale n. 251 del 19 dicembre 2022.


Il TAR Brescia ribadisce che la tutela paesaggistica non è ancillare alla pianificazione urbanistica; si tratta di poteri distinti che perseguono obiettivi di interesse pubblico diversi e che, pur potendo venire a intersecarsi, mantengono la loro autonomia; in linea generale, come l’affermazione della compatibilità paesaggistica di un intervento edilizio non implica automaticamente la sua conformità alla strumentazione urbanistica, così l’approvazione di una convenzione urbanistica relativa a un’area assoggettata al vincolo paesaggistico non comporta un obbligo per la Soprintendenza di consentire sempre e comunque l’edificazione.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 907 del 22 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia ribadisce che «la tutela paesaggistica non è ancillare alla pianificazione urbanistica: all’attribuzione da parte del Comune di capacità edificatoria a una determinata area assoggetta a vincolo non corrisponde l’obbligo della Soprintendenza di consentire senz’altro l’edificazione, quasi che questa possa esprimersi solo sul quomodo, e non anche sull’an. L’assegnazione di una determinata volumetria a un ambito paesaggisticamente protetto non garantisce in automatico la possibilità di fruire di quella volumetria, dovendosi l’edificazione conformare alle esigenze di tutela del paesaggio, e dunque non genera alcuna aspettativa qualificata in capo al proprietario dell’area medesima».
Aggiunge il TAR che a conclusioni diverse non può giungersi nemmeno assumendo che il presupposto piano attuativo (nella fattispecie approvato nel 1995) abbia tenuto conto anche dei profili paesaggistici dell’intervento; e invero «Anche ove così fosse, deve, infatti, ritenersi che il lungo lasso di tempo intercorso, la trasformazione del contesto (con gli edifici nel frattempo realizzati), l’evoluzione della sensibilità paesaggistica e della normativa di settore imponevano necessariamente una nuova valutazione da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo: nuova valutazione che comprendeva anche in ipotesi del divieto di sfruttare la volumetria residua pure prevista dalla strumentazione urbanistica».
In conclusione e in linea generale per il TAR «di per sé la c.d. opzione zero, ovverossia l’incompatibilità della tutela paesaggistica di un determinato ambito con qualsivoglia tipo di edificazione, non è illegittima, salvo un obbligo motivazionale rafforzato, in considerazione del sacrificio imposto al privato proprietario dell’area medesima».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 738 del 27 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Con riguardo ai poteri di pianificazione urbanistica e di verifica di compatibilità ambientale, il TAR Brescia osserva che: «I due poteri, pianificatorio e di verifica della compatibilità ambientale, oltre ad essere esercitati da due soggetti diversi, si fondano su diversi presupposti e incontrano limiti diversi. La pianificazione dell’uso del territorio, rimessa al Comune, è la sede nella quale esigenze di tipo conservativo del paesaggio possono trovare compensazione, senza tuttavia mai recedere completamente, con quelle connesse allo sviluppo edilizio e, quindi, alle aspettative dei proprietari dei terreni (Consiglio di Stato, sentenza n. 7839/2019). Per converso, come chiarito nella stessa sentenza ora citata, <<l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico deve trovare, nei casi in cui la disciplina urbanistica consenta l’esercizio dello ius aedificandi, il giusto contemperamento nel rilasciare o denegare il necessario assenso al formarsi del titolo autorizzatorio; vicendevolmente, il potere di pianificazione urbanistica, via via evoluto in senso propulsivo di miglioramento della vivibilità del suolo (si pensi alla tutela dei centri storici e, più settorialmente ma in maniera egualmente incisiva, a tutte le disposizioni di legge speciale che hanno valorizzato il potere di limitare in senso qualitativo gli insediamenti, anche commerciali, per migliorare il “decoro” e la vivibilità delle città) può rafforzare i limiti, anche conservativi, ampliando la soglia della tutela, ma mai prescinderne, condizionandola.>>».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 683 del 5 ottobre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano con riferimento alla nozione di paesaggio precisa che:
«come osservato dalla Sezione, la nozione di paesaggio non può che tener conto delle indicazioni provenienti dalla Convenzione europea del 2000 (entrata in vigore sul piano internazionale il 1° settembre 2006), la cui ratifica ed esecuzione è effettua in Italia con L. n. 14 del 2006. La disposizione contenuta all’interno dell’articolo 1 dell’atto normativo internazionale definisce il paesaggio come “una determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Nozione che testimonia la peculiare polisemia del concetto in esame al cui interno sono ricompresi sia sostrati naturalistici (il territorio è, infatti, inteso come res extensa), sia elementi prettamente culturali. Lo conferma la disamina delle considerazioni inserite nel Preambolo della Convenzione ove si afferma che: a) il “paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all'attività economica e che salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro”; b) “il paesaggio concorre all'elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità europea” (cfr., T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 24 aprile 2019, n. 932).
26.6. La Convenzione europea adotta, pertanto, una nozione ampia di paesaggio che è inteso come “elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle area urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana”. Tale concetto non ricomprende, soltanto, le c.d. bellezze naturali (al pari di quanto avviene, in precedenza, in forza della previsione di cui all’articolo 1 della L. 29 giugno 1939 n. 1497; nella giurisprudenza di legittimità costituzionale, cfr. Corte Costituzionale, 29 maggio 1968 n. 56; Id., 24 luglio 1972 n. 141; Id., 3 agosto 1976 n. 210), o il solo patrimonio storico, archeologico e artistico (come può inferirsi dalle previsioni di contenute nella legge 26 aprile 1964 n. 310), o ancora i c.d. beni ambientali (come emerge dal d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 che colloca il paesaggio nel pur ampio crinale tra l’ambiente e il governo del territorio). Al contrario, si tratta di nozione che supera le sovrapposizioni spesso presenti nella legislazione interna tra ambiente, paesaggio e beni culturali, e che reclama un’autonomia del paesaggio riconoscendo, al contempo, la necessità di una visione integrale ed olistica del concetto in esame. In sostanza, il paesaggio descrive un patrimonio di risorse identitarie non riducibili alle sole bellezze naturali in sé o alle testimonianze storico-artistiche di eccezionale valenza ma assume rilievo ogni qual volta sussistano elementi morfologici a cui sia attribuibile una valenza estetica (cfr., ancora, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 24 aprile 2019, n. 932)».
Il TAR aggiunge inoltre con riguardo al rapporto tra paesaggio e pianificazione urbanistica che: 
«26.7. Alla tutela di simile valore concorre la materia della pianificazione territoriale. Difatti, secondo la più recente evoluzione giurisprudenziale, all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (Consiglio di Stato, IV, 21 dicembre 2012, n. 6656; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309). E ciò in quanto, come affermato dalla Sezione, “l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano, appunto, quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione” (T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, IV, 10 maggio 2012, n. 2710; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18 giugno 2018, n. 1534). Argomentazioni condivise dal Collegio che ritiene di rilievo l’ulteriore notazione compiuta dalla sentenza in esame secondo cui “la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano” (cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 830; T.A.R. Lombardia – Sede di Milano, Sez. II, 22 gennaio 2019, n. 122). Al contrario, anche laddove si sia al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, “non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale” (v., ancora, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14 febbraio 2020, n. 309; cfr., inoltre, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 5 novembre 2018, n. 2479)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 751 del 7 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza è prevalentemente orientata a ritenere che il vigente art. 167, comma 4, del D.lgs. 42/2004 preclude il rilascio di autorizzazioni postume, quando siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura, anche interrati: il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio si riferisce infatti a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, sia esso interrato o meno; rispetto al dato letterale della disposizione di cui all’art. 167, comma 4, lett. a), del D.lgs. 42/2004 non è, quindi, consentito all'interprete ampliare la portata di tale norma che costituisce eccezione al principio generale delle necessità del previo assenso codificato dal precedente art. 146, per ammettere fattispecie letteralmente, e senza distinzione alcune, escluse (fattispecie relativa a tre vasche interrate rialzate di 1,5 metri quanto all’argine di contenimento che, secondo il TAR, rientrano nel concetto di realizzazione di volumi e come tale non suscettibili di sanatoria paesaggistica).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1821 del 5 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che ad escludere la rilevanza paesistica dell’opera non può considerarsi sufficiente il requisito della poca visibilità dalla strada pubblica a fronte del principio, ormai consolidato, secondo cui ai fini della valutazione di compatibilità la nozione di “visibilità” dell'opera nel contesto paesaggistico tutelato non può ritenersi limitata a particolari punti di osservazione, ma deve riguardare l'apprezzamento puntuale e concreto dell'effettiva compatibilità dell'intervento e di tutti gli elementi che ne determinano l’impatto paesaggistico, con i valori ambientali propri del sito vincolato.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1523 del 1 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce, con riferimento all’ambito del procedimento di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a ogni nuova edificazione comportante creazione di volume, sicché in tali casi non è possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, essendo precluso, ai sensi dell’art. 167, comma 4, del D.Lgs. 42/2004, il rilascio di autorizzazioni in sanatoria qualora siano stati realizzati volumi di qualsiasi natura; né induce a diverse conclusioni l’addotto carattere pertinenziale dei manufatti, essendo notorio che le opere edilizie abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, quand’anche da ascrivere ad opere pertinenziali o precarie, si considerano comunque eseguite in totale difformità dall’eventuale titolo edilizio, e quindi soggette all’applicazione della sanzione demolitoria, ove non sia stata ottenuta la previa autorizzazione paesaggistica, il che rende applicabile nei medesimi termini la disciplina di cui all’art. 167 del D.Lgs. 42/2004.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1034 dell’8 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, l’esclusione dell’operatività del vincolo paesaggistico imposto per legge (c.d. vincolo Galasso) prevista dall’art. 1 del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito in legge con modificazioni, con l’art.1 della l. n. 431 del 1985 - secondo il quale «Il vincolo di cui al precedente comma non si applica alle zone A, B e - limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ai centri edificati perimetrati ai sensi dell’art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865» (disposizione poi riprodotta nell’art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999 e quindi nell’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004, così come sostituito dall'art. 12, comma 1, d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157, successivamente integrato e modificato dal d.lgs. n. 63 del 2008) - riguarda solo le opere avviate o previste alla data del 6 settembre 1985 e non i lavori autonomamente e abusivamente realizzati successivamente, non intendendo la norma introdurre un’eccezione all’applicazione dei vincoli per i centri storici, quanto quello di non bloccare l’esecuzione di piani urbanistici approvati prima dell’introduzione del vincolo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 979 del 2 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che la nozione di paesaggio delineata dall'art. 1 della Convenzione europea del 2000, entrata in vigore sul piano internazionale il 1° settembre 2006 e la cui ratifica ed esecuzione è effettua in Italia con L. n. 14 del 2006, definisce il paesaggio come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”; nozione che testimonia la peculiare polisemia del concetto in esame al cui interno sono ricompresi sia sostrati naturalistici (il territorio è, infatti, inteso come res extensa), sia elementi prettamente culturali; lo conferma la disamina delle considerazioni inserite nel Preambolo della Convenzione ove si afferma che: a) il “paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all'attività economica e che salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro”; b) “il paesaggio concorre all'elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità europea”.
Secondo il TAR, la Convenzione europea adotta, pertanto, una nozione ampia di paesaggio che è inteso come “elemento importante della qualità della vita delle popolazioni nelle area urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana”; tale concetto non ricomprende, soltanto, le c.d. bellezze naturali, o il solo patrimonio storico, archeologico e artistico, o ancora i c.d. beni ambientali: al contrario, si tratta di nozione che supera le sovrapposizioni spesso presenti nella legislazione interna tra ambiente, paesaggio e beni culturali, e che reclama un’autonomia del paesaggio riconoscendo, al contempo, la necessità di una visione integrale e olistica del concetto in esame; in sostanza, il paesaggio descrive un patrimonio di risorse identitarie non riducibili alle sole bellezze naturali in sé o alle testimonianze storico-artistiche di eccezionale valenza, ma assume rilievo ogni qual volta sussistano elementi morfologici a cui sia attribuibile una valenza estetica; a questo contesto non è certamente estranea la materia del Governo del territorio che, al contrario, costituisce uno degli strumenti attraverso il quale la Repubblica realizza la tutela del bene in esame (fattispecie relativa alla rilevanza paesaggistica di un intervento di recupero del sottotetto all’interno di una corte).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda n. 932 del 26 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Brescia precisa che nel caso in cui l’incremento volumetrico realizzato prescindendo dalla dovuta autorizzazione paesaggistica si rivela di modesta entità l’esigenza di tutela dell’interesse pubblico deve trovare attento e rigoroso bilanciamento con l’applicazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 1167 del 6 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano aderisce all’orientamento del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. II, parere 9.8.2016 n. 1794) che ha riconosciuto che, nel caso di superamento del termine di quarantacinque giorni fissato dall’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 per l’espressione del parere sulla compatibilità paesaggistica da parte della Soprintendenza, non si determina né la perdita del relativo potere, né alcuna ipotesi di silenzio qualificato o significativo; ben può, pertanto, il suddetto parere essere emesso tardivamente, anche in considerazione della rilevanza dei valori alla cui tutela la Soprintendenza è preposta; l’effetto che, in siffatta ipotesi, si produce è quello della prescindibilità dello stesso parere, con la conseguenza che la decisione viene rimessa alla esclusiva responsabilità dell’Ente territoriale.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2738 del 5 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Brescia con riferimento alla installazione di pannelli fotovoltaici in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, precisa che:
- la mera visibilità di pannelli fotovoltaici da punti di osservazione pubblici non configura ex se un’ipotesi di incompatibilità paesaggistica, in quanto la presenza di impianti fotovoltaici sulla sommità degli edifici – pur innovando la tipologia e morfologia della copertura – non è più percepita come fattore di disturbo visivo, bensì come un'evoluzione dello stile costruttivo accettata dall'ordinamento e dalla sensibilità collettiva;
- il favor legislativo per le fonti energetiche rinnovabili richiede di concentrare l'impedimento assoluto all'installazione di impianti fotovoltaici in zone sottoposte a vincolo paesistico unicamente nelle “aree non idonee” (in quanto tali, espressamente individuate), mentre negli altri casi, la compatibilità dell'impianto fotovoltaico con il suddetto vincolo deve essere esaminata tenendo conto del fatto che queste tecnologie sono ormai considerate elementi normali del paesaggio;
- la presenza di pannelli sulla sommità degli edifici non può più essere percepita soltanto come un fattore di disturbo visivo, ma anche come un'evoluzione dello stile costruttivo accettata dall'ordinamento e dalla sensibilità collettiva, purché non sia modificato l'assetto esteriore complessivo dell'area circostante, paesisticamente vincolata.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 1148 del 30 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento si veda il precedente post.


Il Consiglio di Stato precisa che oggetto dei compiti di tutela dell’Amministrazione dei beni culturali previsti dall’art. 152  del D.Lgs n. 42/2004 nel caso di aperture di strade e di cave, di posa di condotte per impianti industriali e civili e di palificazioni sono i procedimenti autorizzatori  concernenti gli interventi descritti dalla norma, sia che si intenda realizzare gli stessi “nell’ambito” delle aree indicate dall’art. 136, sia che tali interventi si intendano realizzare “in vista” delle aree o “in prossimità” degli immobili indicati dal medesimo art. 136, ai quali occorre aggiungere anche i beni “tutelati per legge”, di cui all’art. 142 T.U.; sarebbe illogico che tale sistema di ulteriore protezione (indiretta) dei beni paesaggistici assistesse unicamente quelli sottoposti a dichiarazione di notevole interesse pubblico (le cui categorie sono contemplate dall'art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e non invece i beni paesaggistici previsti dalla legge (art. 142), in cui il valore paesaggistico compendiato nel vincolo ex lege che li assiste è una qualità correlata originariamente al bene, non suscettibile di una protezione giuridica di minore intensità; quando vengono in rilievo opere infrastrutturali di grande impatto visivo il paesaggio, quale bene potenzialmente pregiudicato dalla realizzazione di opere di rilevante impatto ambientale, si manifesta in una proiezione spaziale più ampia di quella rinveniente dalla sua semplice perimetrazione fisica consentita dalle indicazioni contenute nel decreto di vincolo.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5191 del 4 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Per il Consiglio di Stato sussiste la piena legittimità, e anzi il carattere dovuto, degli ordini di inibizione dei lavori emanati dalla Soprintendenza sul corretto rilievo della insussistenza di un valido titolo abilitativo alla loro realizzazione e della necessità di apprestare comunque (indipendentemente cioè dalla questione del titolo) una tutela cautelare e preventiva-interinale, da riferire alle disposizioni circa i poteri cautelari generali in materia, vale a dire gli artt. 28 (Misure cautelari e preventive, per i beni culturali) e 150 (Inibizione o sospensione dei lavori, per il paesaggio) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, a salvaguardia dal pregiudizio ai valori culturali e paesaggistici compendiati nei luoghi oggetto dei distinti interventi; la circostanza, poi, che il comma 2 dell’art. 150 del D.Lgs n. 42/2004 preveda il termine di cessazione dell’efficacia dei provvedimenti di inibizione o di sospensione, collegandolo all’avvio del procedimento per l’imposizione del vincolo, se disciplina lo specifico caso in cui il potere venga esercitato su bene che, pur possedendo intrinsecamente valore paesaggistico, non risulta tuttavia ancora oggetto di vincolo, non per questo esclude che il potere possa (anzi debba) essere esercitato, ed a maggior ragione, per la tutela di beni già vincolati (o, per l’effetto del c.d. irradiamento, su beni ad essi contermini).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5191 del 4 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, preso atto che la tutela paesaggistica ha ad oggetto la “forma” del territorio, nei suoi profili di pregio estetico e testimoniale, poiché – secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale – il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo, precisa che il dato da prendere in considerazione al fine di stabilire l’idoneità potenziale dell’intervento eseguito in assenza o in difformità dal titolo a causare un pregiudizio nei confronti del valore tutelato consiste nella percepibilità visiva delle opere; ne consegue che la conservazione delle strutture murarie originarie, testimonianti lo stile costruttivo caratteristico dei luoghi, costituisce un aspetto propriamente valutabile sotto il profilo paesaggistico solo laddove tali strutture siano riconoscibili esteriormente come tali; al contrario, la mera conservazione delle murature quale elemento identitario, indipendentemente dalla percepibilità esteriore, potrebbe essere valutata in presenza di un vincolo di tipo culturale, ossia imposto ai sensi della Parte Seconda del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1067 del 23 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 92 del 20 aprile 2018, il decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34 “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali”.

Il testo del decreto legislativo n. 34 del 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Gazzetta Ufficiale al seguente indirizzo.


Il TAR Milano richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003 (c.d. terzo condono), le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo; pertanto, ai sensi della legge n. 326 del 2003, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, non può essere condonato.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 743 del 19 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.