Ancorché escluso dall’ambito di applicazione del codice, l’affidamento di un contratto attivo che offra all’affidatario un’opportunità di guadagno deve avvenire, secondo quanto dispone l’art. 13 co. 5, osservando i principi di cui agli articoli 1, 2 e 3 del Codice, e dunque, oltre che dei princìpi del risultato (art. 1) e della fiducia (art. 2), anche del principio di accesso al mercato (art. 3), nel rispetto dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità. L’affidamento di tali contratti deve dunque garantire l’interpello del mercato e il confronto concorrenziale, nel rispetto della disciplina di cui alla legge di contabilità generale dello Stato e del relativo regolamento di attuazione.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 764 del 12 agosto 2025


Il TAR Brescia ritiene non condivisibile la tesi del Comune resistente per la quale tra i “sopravvenuti motivi di pubblico interesse” richiesti dall’art. 11, comma 4, l. n. 241/1990 per recedere da un accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento si dovrebbero includere anche le valutazioni sulla legittimità originaria dell’accordo e del provvedimento a monte. Tale tesi, infatti, contrasta con il dato normativo che parla di motivi “sopravvenuti” e di “pubblico interesse”, facendo quindi riferimento a ragioni sopravvenute rispetto all’accordo che riguardano non la legittimità ma il merito e l’opportunità dell’azione amministrativa. Ne è dimostrazione il fatto che l’art. 11, comma 4, l. n. 241/1990 prevede la corresponsione di un indennizzo al privato, al pari della revoca di cui all’art. 21 quinques l. n. 241/1990 e a differenza dell’annullamento d’ufficio di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990, che non contempla invece alcun indennizzo essendo fondato sull’illegittimità del provvedimento emesso. La tesi del Comune resistente comporterebbe l’elusione dei limiti legali all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio in autotutela previsti dall’art. 21 nonies l. n. 241/1990, ovvero il rispetto, a tutela dell’affidamento dei privati, di “un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione del provvedimento illegittimo diverso dal mero ripristino della legalità violata.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 724 del 29 agosto 2024


Il TAR Milano esclude che la previsione di un diritto di prelazione a favore di un promotore di una procedura di partenariato costituisca una violazione del principio di stretta interpretazione delle norme eccezionali e della riserva legislativa statale in materia di concorrenza (art. 117, comma 2, lett. m) Cost.), in quanto si tratta di uno schema già conosciuto dal legislatore che riconosce la legittimità di una posizione “speciale” di un concorrente che oltre a partecipare alla gara si accolla anche la fase ideativa della stessa (fattispecie relativa a una procedura di sponsorizzazione tecnica).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 196 del 29 gennaio 2024


Il TAR Milano, a fronte del diniego di concludere un accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 al fine di regolarizzare le difformità esistenti nell’immobile, in ragione dell’accertata carenza dei presupposti richiesti dalla legge per addivenire ad un tale accordo, osserva che il provvedimento risulta legittimo per un triplice ordine di ragioni, ovvero per l’assenza di una previsione che imponga all’Amministrazione di addivenire ad un accordo ex art. 11, sulla necessità del perseguimento di un interesse pubblico e per la mancanza di discrezionalità in capo agli Uffici comunali nell’applicazione della normativa in ambito edilizio, che di regola si presenta vincolata.

Aggiunge quindi il TAR che:
<<L’art. 11, comma 1, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che, “in accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”. La predetta disposizione, in primo luogo, non impone affatto la conclusione di accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento amministrativo, ma lascia la facoltà di scelta in capo all’Amministrazione procedente (“può concludere”), che senza dubbio può determinarsi in senso negativo con riguardo alla loro stipulazione. Al di là di tale aspetto, comunque dirimente, deve poi potersi riscontrare, quale elemento necessario per poter utilizzare lo strumento convenzionale, il perseguimento dell’interesse pubblico, riferito ad attività di natura discrezionale e non vincolata, non potendosi “contrattare” con soggetti privati l’esercizio di un potere già conformato dal legislatore e quindi condizionato nella sua esplicazione (ad esempio, la potestà sanzionatoria)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2588 del 22 novembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti sono certamente applicabili alle convenzioni urbanistiche, quali accordi tra privati e Amministrazione, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, sottoposti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; all’interno delle convenzioni di urbanizzazione risulta prevalente il profilo della libera negoziazione, quindi, sebbene sia innegabile che la convenzione urbanistica, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, non può negarsi che in questo si assista all’incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale retta dal codice civile.
Aggiunge il TAR che la necessità di salvaguardare l’equilibrio del rapporti contrattuali anche in fase di esecuzione, in ossequio ai canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del rapporto di sinallagmaticità, impone di assumere come lesiva della posizione giuridica del ricorrente e dei suoi interessi la determinazione comunale che ha preteso di ricalcolare il costo di costruzione, interpretando diversamente la pertinente normativa regionale e comunale, trattandosi di una indebita variazione unilaterale delle obbligazioni assunte contrattualmente; del resto, anche laddove il riequilibrio delle previsioni della convenzione si renda necessario al fine di assicurare il rispetto delle disposizioni normative sopravvenute, ciò non può avvenire sulla base di un intervento unilaterale e autoritativo dell’Amministrazione, bensì soltanto in esito alla rinegoziazione tra le parti, secondo buona fede, delle prestazioni oggetto delle obbligazioni che non possano più essere adempiute nel modo originariamente convenuto.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1166 del 23 giugno 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte di Giustizia UE in tema di accordo di cooperazione tra comuni e affidamento del servizio in house, così statuisce:

«1) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretato nel senso che un accordo in base al quale i comuni aderenti all’accordo stesso affidino ad uno di essi la responsabilità dell’organizzazione di servizi a vantaggio dei comuni medesimi, costituendo un trasferimento di competenza, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, come interpretato nella sentenza del 21 dicembre 2016, Remondis (C‑51/15, EU:C:2016:985), è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva stessa. 
2) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18 dev’essere interpretato nel senso che un accordo di cooperazione in base al quale i comuni aderenti all’accordo stesso trasferiscano ad uno di essi la responsabilità dell’organizzazione di servizi a vantaggio dei comuni medesimi, consente di considerare detto comune, ai fini delle aggiudicazioni successive al trasferimento, quale amministrazione aggiudicatrice, consentendogli di affidare ad un organismo in house, senza provvedere ad un confronto concorrenziale, servizi volti a soddisfare non solo le proprie esigenze, bensì anche quelle degli altri comuni aderenti all’accordo, laddove, in assenza di tale trasferimento di competenze, i comuni medesimi avrebbero dovuto provvedere in proprio alle rispettive esigenze».

Corte di Giustizia UE, Sez. IV, del 18 giugno 2020 (causa C-328/19).
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia.


La Corte di Giustizia UE, con riferimento alla problematica relativa all’assoggettamento dei contratti conclusi tra enti nel settore pubblico alla disciplina delle norme relative agli appalti pubblici, ha statuito che:
«L’articolo 12, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che non sussiste una cooperazione tra amministrazioni aggiudicatrici qualora un’amministrazione aggiudicatrice, responsabile sul proprio territorio di una missione di interesse pubblico, non svolga essa stessa interamente tale missione che in forza del diritto nazionale incombe soltanto su di essa e che richiede il compimento di più operazioni, bensì incarichi un’altra amministrazione aggiudicatrice, che non dipende da essa e che è anch’essa responsabile di tale missione di interesse pubblico sul proprio territorio, di effettuare dietro remunerazione una delle operazioni necessarie».

Corte di Giustizia UE, Sez. IX, del 4 giugno 2020 (causa C-429/19).
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia.



Il TAR Milano afferma che i doveri di correttezza, lealtà e buona fede hanno un ampio campo applicativo, anche rispetto all’attività procedimentalizzata dell’Amministrazione, operando pure nei procedimenti non finalizzati alla conclusione di un contratto con un privato, e afferendo sia ad atti e comportamenti “espressi” sia a contegni silenti, omissivi, ovvero reticenti.
Al riguardo precisa che:
- nello svolgimento della propria azione autoritativa, è in primis la Amministrazione ad essere tenuta al puntuale rispetto delle norme che ne conformano e ne governano la azione, con la pregnante soglia di diligenza e di professionalità che per certo è esigibile proprio in capo a soggetti esplicanti potestates pubbliche, istituzionalmente preordinate al perseguimento di interessi metaindividuali di natura pubblica (CdS, a.p., 4 maggio 2018, n. 5; Cass., I, 12 luglio 2016, n. 14188; TAR Lombardia, I, 6 novembre 2018, n. 2501);
- l’azione amministrativa, ordinariamente regolata dalla normazione di diritto pubblico, non può non sfuggire ai generali doveri di correttezza e di lealtà che, gravando su tutti i consociati anche in funzione solidaristica (art. 2 Cost.), massimamente devono informare l’agere dei pubblici poteri, istituzionalmente funzionali al soddisfacimento di interessi generali;
- il diritto positivo domestico, recependo principi sovranazionali per vero già direttamente applicabili, ovvero in ogni caso conformanti l’attività esegetica degli organi statuali chiamati ad applicare l’ordinamento nazionale, ha espressamente introdotte regole quali, ad esempio: i) art. 1 l. 241/90 che espressamente assoggetta l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario tra i quali assume un rilievo primario la tutela dell’affidamento legittimo (a far data da CGUE 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer); da ultimo, sulla valenza di regola generale, fondante il diritto dell’Unione, da attribuire al principio della tutela dell’affidamento, CGUE, 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet; cfr., CGUE 14 marzo 2013 C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle (TAR Lombardia, I, 15 novembre 2019, n. 2421); ii) artt. 21-nonies e 21-quinquies l. 241/90 sui presupposti del potere di autotutela, che deve sempre considerare l’affidamento del privato rispetto a un precedente provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica e sul quale basa una precisa strategia imprenditoriale; iii) art. 2-bis, comma 1, l. 241/90, sul danno da ritardo;
- assai significativa della evoluzione del quadro normativo nel senso di assegnare sempre più rilevanza al valore del “tempo” nello svolgimento dei contatti e/o dei rapporti tra Amministrazione e consociati, e dell’affidamento che in tal guisa può ingenerarsi nella parte “debole” del rapporto (id est nell’amministrato), è altresì la norma di cui all’art. 19, comma 4, l. 241/90 in tema di segnalazione certificata di inizio attività (siccome introdotta, nella sua attuale versione, dall’art. 6, comma 1, lett. a), l. 124/15) a mente della quale il potere inibitorio è esercitabile, una volta decorso il termine “fisiologicamente assegnato”, soltanto in presenza dei presupposti previsti dell’art. 21-nonies; il decorso del tempo, con la mancata attivazione da parte dell’Amministrazione, è fatto ex se idoneo ad ingenerare un affidamento nel privato, suscettibile di tutela nelle medesime forme, procedimentali e sostanziali, contemplate per il caso di riesame in autotutela di situazioni in cui vi è stata una positiva manifestazione di volontà provvedimentale (favorevole);
- non revocabile in dubbio, indi, è lo status “professionalmente qualificato” che per definizione riveste il soggetto pubblico nei rapporti con i consociati, ciò che vale a: i) gravare l’Autorità di pregnanti obblighi di diligenza, correttezza e clare loqui (TAR Lombardia, 15 novembre 2019, n. 2421); ii) conformare l’esercizio del potere amministrativo in funzione della tutela dell’affidamento legittimamente riposto dal privato in costanza di un rapporto ovvero a seguito di un contatto qualificato con la P.A. (Tar Lombardia, I, 6 novembre 2018, n. 2501; Id., id., 1637/18, cit.)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 515 del 17 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


 Il TAR Milano, esaminando un ricorso con il quale il ricorrente contesta la legittimità dell’adesione da parte di una A.S.S.T. al contratto stipulato tra altra amministrazione aggiudicatrice e il controinteressato all’esito dell’aggiudicazione disposta in favore di quest’ultimo con procedura aperta, precisa che:
- «la questione giuridica all’attenzione del Collegio riguarda la legittimità di un’adesione che involga prestazioni ulteriori rispetto a quelle oggetto della dialettica competitiva tra operatori del mercato in cui si sostanzia la procedura di gara. Prestazioni aggiuntive derivanti in parte dall’utilizzo da parte dell’originaria stazione appaltante della facoltà prevista dalla previsione di cui all’articolo 106, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 50/2016, e, in altra parte, dalla negoziazione di ulteriori prestazioni tra l’aderente e l’aggiudicatario parte del contratto»,
- il punto di equilibrio e contemperamento tra i principi applicabili alla fattispecie è individuato «nella necessaria e congiunta ricorrenza dei presupposti legittimanti il ricorso all’istituto. Sono tali: a) l’individuazione preventiva della possibilità di estensione della prestazione e l’indicazione delle Amministrazioni abilitate ad aderire; b) l’individuazione del valore economico massimo delle eventuali adesioni ed estensioni consentite; c) la sussistenza di prestazioni sostanzialmente omologhe con conseguente irrilevanza di modifiche meramente marginali. In presenza di simili presupposti, le esigenze dell’Amministrazione trovano compiuta realizzazione senza urtare gli ulteriori principi che vengono in rilievo. Infatti, in tal modo, l’appalto oggetto di estensione, “non viene sottratto al confronto concorrenziale, a valle, ma costituisce l’oggetto, a monte, del confronto tra le imprese partecipanti alla gara, poiché queste nel prendere parte ad una gara, che preveda la c.d. clausola di estensione, sanno ed accettano […] che potrebbe essere loro richiesto di approntare beni, servizi o lavori ulteriori, rispetto a quelli espressamente richiesti dalla lex specialis, purché determinati o determinabili a priori, al momento dell’offerta, secondo requisiti né irragionevoli né arbitrari, tanto sul piano soggettivo – per caratteristiche e numero delle Amministrazioni eventualmente richiedenti – che su quello oggettivo – per natura, tipologia e quantità dei beni o delle prestazioni aggiuntive eventualmente richieste entro un limite massimo” (Consiglio di Stato, sez. III, 4 febbraio 2016, n. 442)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 174 del 24 gennaio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia chiarisce che se per gli accordi di programma ex art. 34 il principio della necessaria unanimità consensuale trova fondamento – e, prima ancora, logica giustificazione – nelle peculiarità che assistono la configurazione di tale istituto (nonché la prefigurazione funzionale dello stesso all’attuazione delle finalità per esso previste), non assimilabile ratio assiste gli accordi – ex art. 15 della legge 241, piuttosto che ex art. 30 del T.U.E.L. – diversamente preordinati ad esigenze di carattere organizzativo-funzionale, con ricadute anche di carattere finanziario, che consentono alle Amministrazioni di imprimere ai servizi e alle attività alle medesime facenti capo modalità attuative e di svolgimento coinvolgenti una pluralità di attori istituzionali.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 497 del 20 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia Ue statuisce, in materia di accordi quadro tra amministrazioni aggiudicatrici, che:
L’articolo 1, paragrafo 5, e l’articolo 32, paragrafo 2, quarto comma, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, devono essere interpretati nei seguenti termini:
– un’amministrazione aggiudicatrice può agire per sé stessa e per altre amministrazioni aggiudicatrici, chiaramente individuate, che non siano direttamente parti di un accordo quadro, purché i requisiti di pubblicità e di certezza del diritto e, pertanto, di trasparenza siano rispettati, e
– è escluso che le amministrazioni aggiudicatrici che non siano firmatarie di tale accordo quadro non determinino la quantità delle prestazioni che potranno essere richieste all’atto della conclusione da parte loro degli accordi che gli danno esecuzione o che la determinino mediante riferimento al loro ordinario fabbisogno, pena violare i principi di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori economici interessati alla conclusione di tale accordo quadro”.

La sentenza della Corte di Giustizia UE, Ottava Sezione, del 19 dicembre 2018 (causa C-216/17) è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato chiarisce che gli accordi conclusi ai sensi dell'art. 11 della legge n. 241/90 sono atti che l’amministrazione pone in essere con il consenso del privato, ma comunque soggetti al vincolo di perseguimento dell’interesse pubblico; infatti, gli accordi in discorso, essendo un’alternativa al provvedimento, non possono non partecipare della sua stessa natura; a differenza di quanto accade nelle fattispecie contrattuali, l’interesse affidato alla cura di una delle due parti, il soggetto pubblico, assume all’interno dell’accordo un ruolo del tutto differente rispetto a quello del privato: l’accordo deve essere stipulato “in ogni caso nel perseguimento dell’interesse pubblico”; in altri termini, la validità dell’accordo e la sua vincolatività sono subordinate alla compatibilità con l’interesse pubblico, il quale ne diviene così elemento definitorio.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 7212 del 24 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE, con riferimento alla nozione di contratti a titolo oneroso e all’assoggettamento delle strutture convenzionate con il SSN alla disciplina in materia di appalti pubblici, statuisce i seguenti principi:

«1) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che la nozione di «contratti a titolo oneroso» ricomprende la decisione mediante la quale un’amministrazione aggiudicatrice attribuisce ad un determinato operatore economico direttamente, e dunque senza previo esperimento di una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, un finanziamento interamente finalizzato alla fabbricazione di prodotti destinati ad essere forniti gratuitamente da detto operatore a diverse amministrazioni, esentate dal pagamento di qualsiasi corrispettivo a favore dell’operatore stesso, ad eccezione del versamento, a titolo di spese di trasporto, di un importo forfettario di EUR 180 per ciascun invio.
2) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), e l’articolo 2 della direttiva 2004/18 devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, la quale, equiparando gli ospedali privati «classificati» a quelli pubblici, attraverso il loro inserimento nel sistema della programmazione pubblica sanitaria nazionale, regolata da speciali convenzioni, distinte dagli ordinari rapporti di accreditamento con gli altri soggetti privati partecipanti al sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie, li sottrae alla disciplina nazionale e a quella dell’Unione in materia di appalti pubblici, anche nei casi in cui tali soggetti siano incaricati di fabbricare e fornire gratuitamente alle strutture sanitarie pubbliche specifici prodotti necessari per lo svolgimento dell’attività sanitaria, quale corrispettivo per la percezione di un finanziamento pubblico funzionale alla realizzazione e alla fornitura di tali prodotti».

La sentenza della Ottava Sezione del 18 ottobre 2018 (causa C-606/17) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.



Precisa il TAR Milano che l’accordo di programma è una species dell’accordo tra pubbliche amministrazioni ex art. 15 della legge n. 241/90 e non degli accordi tra amministrazioni e privati ex art. 11 della legge n. 241/90; l'accordo di programma, infatti, consiste nel consenso unanime delle amministrazioni statali e locali e degli altri soggetti pubblici interessati, senza che ad esso partecipino i privati che, invece, possono essere coinvolti nella sua attuazione, con la conseguenza che i diritti soggettivi di questi, derivanti dalla proprietà delle aree o da concessioni edilizie, restano affievoliti, essendo l'indicato accordo di programma espressione di poteri pubblicistici nei loro confronti; laddove i privati siano legittimati all’intervento, ad esempio da leggi regionali, non assumono la qualifica di “parti” del procedimento organizzatorio, riservata, invece, esclusivamente ai soggetti pubblici.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2123 del 21 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato aderisce all’orientamento giurisprudenziale di prime cure (TAR Puglia – Bari, sez. I, 4 giugno 2013, n. 899), secondo cui dal tenore letterale del comma 2 dell'art. 11 della legge n. 241 del 1990 si può ricavare un principio di rigorosa tassatività delle regole privatistiche applicabili agli accordi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 (e cioè unicamente quelle richiamate dal menzionato comma 2: ossia i principi in materia di obbligazioni e contratti di cui al libro IV del codice civile, peraltro con il duplice limite della compatibilità e dell'inesistenza di una disciplina speciale difforme); il citato comma 2, inoltre, non richiama direttamente le disposizioni del Libro IV del codice civile, ma unicamente i principi: ne consegue che la disciplina privatistica contenuta in leggi speciali, ivi compresa la legge fallimentare e in particolare l'art. 72 del r.d. n. 267 del 1942, non è applicabile agli accordi amministrativi (nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato si trattava di una convenzione urbanistica).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 4251 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte di Cassazione precisa che la forma scritta ad substantiam, che è propria dei contratti della Pubblica Amministrazione, può dirsi osservata non solo nel caso in cui il vincolo contrattuale sia consacrato in un unico documento contrattuale recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, potendo essa realizzarsi anche con lo scambio delle missive contenenti rispettivamente la proposta e l'accettazione, vale a dire di distinte scritture formalizzate e inscindibilmente collegate, entrambe sottoscritte, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell'accordo, secondo lo schema della formazione del contratto tra assenti.

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Prima, n. 25631 del 27 ottobre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, alla Sezione SentenzeWeb


La Corte di Giustizia dell'Unione Europea esaminando il caso di un consorzio intercomunale ha così statuito:
"L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che non costituisce un appalto pubblico un accordo concluso tra due enti territoriali, quale quello di cui trattasi nel procedimento principale, sulla base del quale questi ultimi adottano uno statuto che istituisce un consorzio intercomunale, persona giuridica di diritto pubblico, e trasferisce a tale nuovo ente pubblico talune competenze di cui tali enti erano investiti fino ad allora e che sono ormai proprie di tale consorzio intercomunale.
Tuttavia, un tale trasferimento di competenze riguardante l’espletamento di compiti pubblici può sussistere soltanto se riguarda sia le responsabilità connesse alla competenza trasferita sia i poteri che sono il corollario di quest’ultima, in modo che la nuova autorità pubblica competente disponga di un’autonomia decisionale e finanziaria, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare".

La sentenza della Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, del 21 dicembre 2016 (causa C-51/15) è consultabile sul sito della Corte di Giustizia.


Con sentenza C‑159/11 del 19.12.2012 la Corte di Giustizia Europea ha posto un stop agli accordi stipulati tra pubbliche amministrazioni (nella specie ASL e Università) al fine della realizzazione di servizi di  progettazione (nella specie, consistenti nella valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere).

Era stato il Consiglio di Stato, investito della vicenda a seguito dell'accoglimento in primo grado del ricorso presentato dalle associazioni degli ingegneri e degli architetti, a rimettere la questione alla Corte di Giustizia Europea, chiedendosi
se la conclusione di un accordo tra pubbliche amministrazioni non sia contraria al principio della libera concorrenza qualora una delle amministrazioni interessate possa essere considerata un operatore economico, qualità riconosciuta ad ogni ente pubblico che offra servizi sul mercato, indipendentemente dal perseguimento di uno scopo di lucro, dalla dotazione di una organizzazione di impresa o dalla presenza continua sul mercato. 
e decidendo di sospendere il procedimento, sottoponendo alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se la [direttiva 2004/18], ed in particolare l’articolo 1, paragrafo 2, lettere a) e d), l’articolo 2, l’articolo 28 e l’allegato II [A], categorie 8 e 12, ostino ad una disciplina nazionale che consente la stipulazione di accordi in forma scritta tra due amministrazioni aggiudicatrici per lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica di strutture ospedaliere da eseguirsi alla luce delle normative nazionali in materia di sicurezza delle strutture ed in particolare degli edifici strategici, verso un corrispettivo non superiore ai costi sostenuti per l’esecuzione della prestazione, ove l’amministrazione esecutrice possa rivestire la qualità di operatore economico».
Le norme sottoposte all'attenzione della Corte sono:

  • l’articolo 15, primo comma, della legge n. 241 del 7 agosto 1990, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (GURI n. 192, del 18 agosto 1990, pag. 7), secondo cui «le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune»;
  • l’articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 dell’11 luglio 1980, recante riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica (Supplemento ordinario alla GURI n. 209, del 31 luglio 1980).

Premesso che le tipologie di appalti conclusi da enti pubblici che non rientrano nell'ambito di applicazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici, sono:

  • contratti di appalto stipulati da un ente pubblico con un soggetto giuridicamente distinto da esso, quando detto ente eserciti su tale soggetto un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e, al contempo, il soggetto in questione realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti che lo controllano;
  • contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune a questi ultimi;

la Corte ha fissato il seguente principio di diritto:
Il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici osta ad una normativa nazionale che autorizzi la stipulazione, senza previa gara, di un contratto mediante il quale taluni enti pubblici istituiscono tra loro una cooperazione, nel caso in cui – ciò che spetta al giudice del rinvio verificare – tale contratto non abbia il fine di garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune agli enti medesimi, non sia retto unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico, oppure sia tale da porre un prestatore privato in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.

La sentenza 19.12.2012 n. C-159/11 è disponibile sul sito al seguente indirizzo: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62011CJ0159:IT:HTML