Il TAR Milano, con riferimento ai principi, di origine civilistica, di correttezza e buona fede nei rapporti tra cittadino e PA, osserva che:
«In sintesi, il rapporto giuridico amministrativo deve essere riguardato in modo unitario, e cioè esso non si risolve nel provvedimento e nel conseguente rispetto delle regole di validità dell’atto, ma va sempre valutato nella prospettiva delle regole di comportamento secondo buona fede, la cui violazione importa responsabilità.
Sul piano del diritto positivo, la surriferita impostazione ha trovato un riscontro nella novellazione dell’art. 1, comma 2 bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, disposta dall’art. 12, comma 1, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120, che espressamente ha disposto che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede.”.
Secondo autorevole dottrina, la citata norma ha codificato la buona fede pubblicistica, quale precipitato logico giuridico del principio di imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97, comma 2, Costituzione.
Si osserva ancora come il principio di leale collaborazione e di buona fede sono declinati dalla norma in esame in forma biunivoca, e cioè essi trovano applicazione con riferimento ad entrambe le parti, pubblica e privata, che compongono il rapporto giuridico amministrativo; si realizza, dunque, per effetto della disposizione in esame, l’implementazione di un “nuovo” modello relazionale tra soggetti pubblici e privati, che investe tutti gli aspetti del rapporto che tra detti soggetti si instaurano.
Anche il privato è tenuto a comportarsi lealmente e secondo buona fede nel momento in cui entra in contatto con la pubblica amministrazione, e per esso vale, in detta ottica, anche il principio di autoresponsabilità.
9.4 Nella descritta prospettiva è oramai ius receptum l’affermazione che riconosce una responsabilità dell’amministrazione per lesione del legittimo affidamento riposto dal privato nella correttezza dell’agere pubblico, attraverso la valorizzazione della predetta dicotomia tra regole di validità e regole di responsabilità.
9.5 Il legittimo affidamento si traduce in una particolare accezione di buona fede soggettiva, e cioè come la situazione di incolpevole ignoranza in cui versi un soggetto di fronte ad un comportamento affidante di altro soggetto (contrario ai canoni comportamentali riconducibili invece ad un concetto di buona fede oggettiva), che abbia generato una aspettativa giuridicamente rilevante andata delusa.
9.6 Come è noto, da ultimo l’Adunanza plenaria, con un gruppo di pronunce (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenze del 29 novembre 2021, nn. 19, 20 e 21), ha posto le coordinate ermeneutiche relative alla responsabilità dell’amministrazione per lesione del legittimo affidamento riposto dal privato.
In particolare, l’Adunanza plenaria ha enunciato il seguente principio di diritto: “la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sulla sua legittimità sia sorto un ragionevole convincimento, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento».” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 19/2021 citata).».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2847 del 29 novembre 2023


Il TAR Brescia precisa che <<È pacifico in giurisprudenza che le convenzioni urbanistiche concretizzino un accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento previsto e disciplinato dall’articolo 11 L. n. 241/1990 (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, sentenza n. 1525/2018; T.A.R. Piemonte, Sez. II, sentenza n. 1090/2019; C.d.S., Sez. II, sentenza n. 5318/2020).
Come tali, le convenzioni urbanistiche sono assoggettate, ove non diversamente stabilito e nei limiti della compatibilità, ai principi generali in materia di obbligazioni e contratti, e, in particolare, quelli di correttezza e buona fede nell’esecuzione dell’accordo (cfr., C.d.S., Sez. III, sentenza n. 293/2014), e di tutela dell’affidamento della controparte sulla situazione venutasi a creare per effetto della conclusione dell’accordo medesimo (cfr., T.A.R. Abruzzo – Pescara, sentenza n. 107/2015). Il che vale, in particolar modo, nell’esercizio dell’autotutela decisoria, che va a incidere su un esistente assetto dei rapporti tra interesse pubblico e interesse privato, tra Amministrazione e amministrati (cfr., T.A.R. Sardegna, Sez. I, sentenza n. 214/2019).
Le convenzioni urbanistiche, ancorché dirette al perseguimento dell’interesse pubblico, presentano un ineludibile profilo negoziale, scaturendo dall’incontro di due volontà. L’interesse del privato concorre anch’esso a comporre la causa del negozio, e va salvaguardato nella fase esecutiva (cfr., T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, sentenza n. 1166/2020). Di conseguenza, la modifica delle condizioni convenzionali deve essere accettata da entrambi i patiscenti secondo i comuni principi civilistici (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 7298/2019).
Questo non significa che sia in assoluto precluso all’Amministrazione che è parte dell’accordo sostitutivo di rideterminarsi unilateralmente, ma implica che ove la rideterminazione sia collegata a una sopravvenienza, essa debba assumere le forme e le modalità dal recesso di cui al comma 4 del già citato articolo 11 della L. n. 241/1990, che essa contempli l’indennizzo per il contraente privato, e che sia assoggettata a un onere motivazionale rinforzato in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico, proprio in ragione dell’affidamento ingenerato nella controparte>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 157 del 16 febbraio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano <<l’impresa che partecipa ad una gara deve osservare una diligenza qualificata, ex art. 1176, comma 2, c.c., poiché la partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica è espressione dell’attività economica svolta in modo professionale.
Il professionista deve commisurare la propria condotta non al criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, ma a quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., (cfr. tra le tante, Cassazione civile, sez. III, 10 giugno 2016, n. 11906), quale modello astratto di condotta che si estrinseca, tanto se l’interessato è un professionista, quanto se è un imprenditore, nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse della controparte, nonché ad evitare possibili eventi dannosi.
Va ribadito che, per costante giurisprudenza, la diligenza “si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità” (cfr. Cassazione civile, 31 maggio 2006, n. 12995) e deve valutarsi in concreto avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata e alle circostanze concrete del caso, in coerenza con il richiamato art. 1176, comma 2, c.c. (cfr. per tutte, Cassazione civile, sez. III, 15 giugno 2018, n. 15732).
Il grave errore, rilevante ex art. 80, comma 5 lett. c), attiene a vicende professionali in cui, per varie ragioni, è stata contestata all’operatore “una condotta contraria a norma” o, comunque, si è verificata “la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti” (cfr. tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407).
Si è già evidenziato che l’ampiezza della formulazione, sia della norma nazionale, sia dell’art. 57, comma 4 lett. c), della direttiva 2014/24, conduce a ricomprendere nella nozione di “grave illecito professionale” ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 24 gennaio 2019, n. 591; Consiglio di Stato, III, n. 4192/17 e Id. n. 7231/2018).
E in tale concetto è sicuramente sussumibile la condotta del rappresentante legale, che in sede di partecipazione ad una gara, si accorda con altri operatori per la spartizione dei lotti da assegnare, così da vanificare la funzione della procedura ad evidenza pubblica.
Si tratta di una condotta non solo diametralmente opposta al dovere di buona fede, che informa l’azione degli operatori che partecipano ad una gara, ma, prima ancora, palesemente contraria ai parametri della diligenza qualificata che connotano l’attività di un operatore professionale>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 247 del 27 gennaio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che il canone della buona fede rileva non solo sul piano sostanziale e/o procedimentale, ma anche su quello processuale, allorquando le tesi giudiziali collidano, all’evidenza, con il comportamento tenuto dalla parte nella fase precedente del rapporto e/o del contatto, sostanziale e/o processuale.
Al riguardo osserva che:
«2.6.5. Gli obblighi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes, ovvero nelle fasi giurisdizionali successive alla prima.
2.6.6. Di talchè, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti, in sede sostanziale, procedimentale o giurisdizionale.
2.6.7. La giurisprudenza (CdS, V, 27/3/2015, n. 1605; CdS, V, 27 aprile 2015, n. 2064; Cass., 7 maggio 2013, n. 10568; TAR Lombardia, I, 19 novembre 2018, n. 2603; TAR Campania, III, 10 gennaio 2018, n. 154) da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge.
2.6.8. Il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale.
Espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, quale è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium (TAR Lombardia, I, 28 agosto 2019, n. 1929; Id. id., 14 giugno 2019, n. 1376; Id., id. 2810/18)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 546 del 24 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano afferma che i doveri di correttezza, lealtà e buona fede hanno un ampio campo applicativo, anche rispetto all’attività procedimentalizzata dell’Amministrazione, operando pure nei procedimenti non finalizzati alla conclusione di un contratto con un privato, e afferendo sia ad atti e comportamenti “espressi” sia a contegni silenti, omissivi, ovvero reticenti.
Al riguardo precisa che:
- nello svolgimento della propria azione autoritativa, è in primis la Amministrazione ad essere tenuta al puntuale rispetto delle norme che ne conformano e ne governano la azione, con la pregnante soglia di diligenza e di professionalità che per certo è esigibile proprio in capo a soggetti esplicanti potestates pubbliche, istituzionalmente preordinate al perseguimento di interessi metaindividuali di natura pubblica (CdS, a.p., 4 maggio 2018, n. 5; Cass., I, 12 luglio 2016, n. 14188; TAR Lombardia, I, 6 novembre 2018, n. 2501);
- l’azione amministrativa, ordinariamente regolata dalla normazione di diritto pubblico, non può non sfuggire ai generali doveri di correttezza e di lealtà che, gravando su tutti i consociati anche in funzione solidaristica (art. 2 Cost.), massimamente devono informare l’agere dei pubblici poteri, istituzionalmente funzionali al soddisfacimento di interessi generali;
- il diritto positivo domestico, recependo principi sovranazionali per vero già direttamente applicabili, ovvero in ogni caso conformanti l’attività esegetica degli organi statuali chiamati ad applicare l’ordinamento nazionale, ha espressamente introdotte regole quali, ad esempio: i) art. 1 l. 241/90 che espressamente assoggetta l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario tra i quali assume un rilievo primario la tutela dell’affidamento legittimo (a far data da CGUE 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer); da ultimo, sulla valenza di regola generale, fondante il diritto dell’Unione, da attribuire al principio della tutela dell’affidamento, CGUE, 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet; cfr., CGUE 14 marzo 2013 C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle (TAR Lombardia, I, 15 novembre 2019, n. 2421); ii) artt. 21-nonies e 21-quinquies l. 241/90 sui presupposti del potere di autotutela, che deve sempre considerare l’affidamento del privato rispetto a un precedente provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica e sul quale basa una precisa strategia imprenditoriale; iii) art. 2-bis, comma 1, l. 241/90, sul danno da ritardo;
- assai significativa della evoluzione del quadro normativo nel senso di assegnare sempre più rilevanza al valore del “tempo” nello svolgimento dei contatti e/o dei rapporti tra Amministrazione e consociati, e dell’affidamento che in tal guisa può ingenerarsi nella parte “debole” del rapporto (id est nell’amministrato), è altresì la norma di cui all’art. 19, comma 4, l. 241/90 in tema di segnalazione certificata di inizio attività (siccome introdotta, nella sua attuale versione, dall’art. 6, comma 1, lett. a), l. 124/15) a mente della quale il potere inibitorio è esercitabile, una volta decorso il termine “fisiologicamente assegnato”, soltanto in presenza dei presupposti previsti dell’art. 21-nonies; il decorso del tempo, con la mancata attivazione da parte dell’Amministrazione, è fatto ex se idoneo ad ingenerare un affidamento nel privato, suscettibile di tutela nelle medesime forme, procedimentali e sostanziali, contemplate per il caso di riesame in autotutela di situazioni in cui vi è stata una positiva manifestazione di volontà provvedimentale (favorevole);
- non revocabile in dubbio, indi, è lo status “professionalmente qualificato” che per definizione riveste il soggetto pubblico nei rapporti con i consociati, ciò che vale a: i) gravare l’Autorità di pregnanti obblighi di diligenza, correttezza e clare loqui (TAR Lombardia, 15 novembre 2019, n. 2421); ii) conformare l’esercizio del potere amministrativo in funzione della tutela dell’affidamento legittimamente riposto dal privato in costanza di un rapporto ovvero a seguito di un contatto qualificato con la P.A. (Tar Lombardia, I, 6 novembre 2018, n. 2501; Id., id., 1637/18, cit.)”.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 515 del 17 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


In un ricorso promosso in sede giurisdizionale al fine di sentire accertare la violazione dei doveri di correttezza e buona fede ex articoli 1337 e 1338 c.c., e per la condanna del Comune al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata stipula della convenzione di cui al permesso di costruire in deroga a suo tempo approvato in sede consiliare, il TAR Milano - pur rigettando il ricorso per non avere l'operatore privato positivamente riscontrato le richieste svolte dagli uffici in sede istruttoria - sottolinea che la favorevole deliberazione del Consiglio comunale impone la stipula della relativa convenzione e il rilascio del titolo edilizio pur residuando in capo all’organo tecnico comunale il necessario potere/dovere di verifica dei relativi presupposti del titolo edilizio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 416 del 4 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che il canone della buona fede rileva non solo sul piano sostanziale e/o procedimentale, ma anche su quello processuale, allorquando le tesi giudiziali collidano, all’evidenza, con il comportamento tenuto dalla parte nella fase precedente del rapporto e/o del contatto; gli obblighi di buona fede e correttezza, che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico, si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes; di talchè, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti.
Aggiunge il TAR Milano che la giurisprudenza da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale; espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, quale è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1929 del 28 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano chiarisce che non può annullarsi un provvedimento amministrativo (nella fattispecie uno strumento urbanistico) per la violazione del dovere di buona fede e correttezza atteso che, se è vero che tali canoni operano anche in relazione all’attività autoritativa della pubblica amministrazione, la loro violazione può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza; infatti, le regole pubblicistiche e privatistiche, pur operando in maniera contemporanea e sinergica hanno diverso oggetto e diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione: le regole di diritto pubblico hanno ad oggetto il provvedimento (l’esercizio diretto e immediato del potere) e la loro violazione determina, di regola, l’invalidità del provvedimento adottato; al contrario, le regole di diritto privato hanno ad oggetto il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla P.A.; la loro violazione non dà vita a invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 7 del 3 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano rammenta che la giurisprudenza, sia civile sia amministrativa, ha in più occasioni affermato come, anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione sia tenuta a rispettare, non soltanto, le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza; la violazione di queste ultime, quindi, può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 2267 del 12 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento cfr. anche  la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima n. 2501 del 6 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato osserva che anche nello svolgimento dell’attività autoritativa l’amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4912 del 10 agosto 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, l’espressione dell’abusivo esercizio di un potere è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium; la situazione ora descritta è da rinvenirsi, per il TAR Milano, nell’ipotesi in cui il ricorrente, dopo aver tenuto comportamenti oggettivamente, anche alla luce del canone ermeneutico della buona fede, espressivi dell’intenzione di addivenire alla stipulazione di un contratto d’appalto, nonostante la scadenza del termine di 60 giorni di cui all’art. 11, comma 9, d.lgs. 163/2006, abbia utilizzato strumentalmente il potere di recesso, venendo contra factum proprium e cercando, in tal modo, di celare la propria sopravvenuta incapacità di procedere nell’esecuzione del rapporto, in ragione della messa in liquidazione volontaria, circostanza verificatasi tre mesi prima dell’esercizio del recesso e mai comunicata all’amministrazione, in violazione, quanto meno, del canone di correttezza e di lealtà, che informa il dovere di buona fede.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1700 del 16 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.