Il TAR Milano a fronte di una censura che postula l’assenza di un presupposto normativo per lo svolgimento del procedimento finalizzato alla valutazione di incidenza su sito di importanza comunitaria (SIC), osserva che la stessa si pone in evidente e chiara contraddizione con la richiesta inoltrata dalla stessa ricorrente e finalizzata, per l’appunto, proprio ad ottenere la valutazione di incidenza sul sito importanza comunitaria, sulla base della sua ritenuta necessità.
Precisa, al riguardo, il TAR che: «un siffatto comportamento, con il quale, sostanzialmente, la ricorrente agisce in giudizio negando lo stesso presupposto sul quale aveva invece basato la propria iniziativa in sede amministrativa, costituisce, ad avviso del Collegio, una palese violazione dei canoni della buona fede e correttezza “che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico […] con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes” (T.A.R. Lazio Roma Sez. stralcio, 09/09/2019, n. 10797), integrando un’ipotesi di abuso del diritto (processuale) vietata dall’ordinamento, per come da tempo sancito dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale (Consiglio di Stato, sez. V, 27/3/2015, n. 1605; idem, 27 aprile 2015, n. 2064; Sez. III, 13-04-2015, n. 1855; T.A.R. Lazio Roma Sez. stralcio, 09/09/2019, n. 10797; TAR Campania, III, 10 gennaio 2018, n. 154; T.A.R. Lombardia, I, 19 novembre 2018, n. 2603 per cui: “Espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, […]è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium”).
Circostanza, che, in applicazione del principio per cui, un diritto, se esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge, cessa di ricevere tutela, comporta, “l’inammissibilità, prima ancora che l’infondatezza della doglianza” (T.A.R. Lazio, cit.)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1 del 30 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che il canone della buona fede rileva non solo sul piano sostanziale e/o procedimentale, ma anche su quello processuale, allorquando le tesi giudiziali collidano, all’evidenza, con il comportamento tenuto dalla parte nella fase precedente del rapporto e/o del contatto, sostanziale e/o processuale.
Al riguardo osserva che:
«2.6.5. Gli obblighi di buona fede e correttezza che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes, ovvero nelle fasi giurisdizionali successive alla prima.
2.6.6. Di talchè, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti, in sede sostanziale, procedimentale o giurisdizionale.
2.6.7. La giurisprudenza (CdS, V, 27/3/2015, n. 1605; CdS, V, 27 aprile 2015, n. 2064; Cass., 7 maggio 2013, n. 10568; TAR Lombardia, I, 19 novembre 2018, n. 2603; TAR Campania, III, 10 gennaio 2018, n. 154) da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge.
2.6.8. Il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale.
Espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, quale è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium (TAR Lombardia, I, 28 agosto 2019, n. 1929; Id. id., 14 giugno 2019, n. 1376; Id., id. 2810/18)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 546 del 24 marzo 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che il canone della buona fede rileva non solo sul piano sostanziale e/o procedimentale, ma anche su quello processuale, allorquando le tesi giudiziali collidano, all’evidenza, con il comportamento tenuto dalla parte nella fase precedente del rapporto e/o del contatto; gli obblighi di buona fede e correttezza, che devono sempre e comunque informare la condotta dei soggetti avvinti da un rapporto giuridico, si dispiegano con continuità anche nella (eventuale) successiva fase giurisdizionale, costituente il segmento finale del rapporto e del contatto inter partes; di talchè, le iniziative processuali, la meritevolezza e l’ammissibilità dell’interesse che le sostiene, vanno disvelate e poste in rilievo anche in forza dell’apprezzamento degli antecedenti comportamenti e/o manifestazioni di volontà posti in essere dalle parti.
Aggiunge il TAR Milano che la giurisprudenza da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2 della Costituzione e dalla Carta di Nizza, si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale; espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, quale è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1929 del 28 agosto 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano aderisce all’orientamento giurisprudenziale che riconosce la vigenza nel sistema giuridico di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge; orientamento che correla la tematica dell’abuso del diritto a quella della buona fede, quest’ultima intesa come criterio per stabilire un limite alle pretese e ai poteri del titolare di un diritto.
Secondo il TAR Milano, espressione dell’abusivo esercizio di un potere, anche processuale, qual è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium (nella fattispecie, l’aggiudicataria di un appalto, dopo aver tenuto comportamenti oggettivamente, alla luce del canone ermeneutico della buona fede, espressivi dell’intenzione di aderire alla richiesta della stazione appaltante di produrre il contratto di avvalimento, quale unico titolo cui correlare la disponibilità di un progettista, indispensabile ai fini della partecipazione alla gara per un appalto integrato, ha utilizzato successivamente, in modo strumentale, il potere di sollevare eccezioni, negando la necessità di utilizzare l’istituto dell’avvalimento, che pure ha impiegato nel corso della gara senza sollevare alcuna obiezione a fronte del soccorso istruttorio esercitato dalla stazione appaltante).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 2603 del 19 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, l’espressione dell’abusivo esercizio di un potere è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium; la situazione ora descritta è da rinvenirsi, per il TAR Milano, nell’ipotesi in cui il ricorrente, dopo aver tenuto comportamenti oggettivamente, anche alla luce del canone ermeneutico della buona fede, espressivi dell’intenzione di addivenire alla stipulazione di un contratto d’appalto, nonostante la scadenza del termine di 60 giorni di cui all’art. 11, comma 9, d.lgs. 163/2006, abbia utilizzato strumentalmente il potere di recesso, venendo contra factum proprium e cercando, in tal modo, di celare la propria sopravvenuta incapacità di procedere nell’esecuzione del rapporto, in ragione della messa in liquidazione volontaria, circostanza verificatasi tre mesi prima dell’esercizio del recesso e mai comunicata all’amministrazione, in violazione, quanto meno, del canone di correttezza e di lealtà, che informa il dovere di buona fede.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1700 del 16 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - in sede di impugnazione di una decisione del Consiglio di Stato, secondo la quale integra un abuso di processo la contestazione della giurisdizione in sede di appello da parte del ricorrente che abbia optato per tale giurisdizione in primo grado - ha enunciato il seguente principio di diritto: “L’attore che abbia incardinato la causa dinanzi a un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato a interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto”.


La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 21260 del 20 ottobre 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione.