Il TAR Milano richiama le considerazioni della Corte costituzionale con riferimento alla questione della durata del piano e della convenzione di lottizzazione, secondo cui si è dinanzi a due atti diversi, per quanto connessi: il piano di lottizzazione, approvato dal comune, e la convenzione di lottizzazione, che del primo è eventuale attuazione, stipulata dall’ente locale e dal proprietario delle aree. Quanto ai termini di efficacia dell’uno e delle altre, l’art. 28, quinto comma, numero 3), della legge urbanistica del 1942 espressamente stabilisce che è la convenzione stessa a dover prevedere «i termini non superiori ai dieci anni» entro i quali devono essere ultimate le opere di urbanizzazione. Quanto ai piani di lottizzazione, la giurisprudenza amministrativa, in assenza di espressa indicazione legislativa, pacificamente applica agli stessi il termine decennale previsto dall’art. 16, quinto comma, della medesima legge per i piani particolareggiati.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2875 del 3 settembre 2025


L’assunzione, all’atto della stipulazione di una convenzione di lottizzazione, dell’impegno - per sé, per i propri eredi e per gli altri aventi causa - di realizzare una serie di opere di urbanizzazione del territorio e di costituire su una parte di quelle aree una servitù di uso pubblico, dà luogo ad una obbligazione propter rem, che grava quindi sia sul proprietario del terreno che abbia stipulato la convenzione di lottizzazione, sia su coloro che abbiano richiesto il rilascio della concessione edilizia nell'ambito della lottizzazione, sia infine sui successivi proprietari della medesima res, per cui l’avente causa del lottizzante assume tutti gli oneri a carico di quest'ultimo in sede di convenzione di lottizzazione, compresi quelli di urbanizzazione ancora dovuti, risultando inopponibile all'Amministrazione qualsiasi previsione contrattuale dal contenuto opposto e qualsiasi vicenda di natura civilistica riguardanti i beni in questione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2311 del 17 giugno 2025


Tra i due diversi orientamenti relativi agli effetti della scadenza dell'efficacia di un piano attuativo, appare  maggiormente coerente con il principio di legalità quello - ad oggi maggioritario - il quale ritiene che una volta scaduti i termini di validità della convenzione urbanistica, ovvero il diverso termine eventualmente stabilito dalle parti, l'esercizio di ogni azione legale per l'adempimento delle obbligazioni ivi contenute risulta prescritto se non esercitato entro il successivo termine di dieci anni.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 541 del 18 febbraio 2025


Il TAR Milano ricorda che quando il titolo convenzionale esista e sia efficace e non sia dichiarato nullo, né sia annullato o risolto o rescisso, l’istituto dell’indebito oggettivo non può trovare applicazione in relazione alla fattispecie della convenzione urbanistica, perché la prestazione patrimoniale rinviene la causa dell’obbligazione nell’accordo; ciò vale sia nelle ipotesi in cui la convenzione è ancora in tutto o in parte attuabile, anche in modo diverso rispetto all’intervento originariamente programmato, sia in quella in cui l’intervento non sarà mai attuato e dunque indipendentemente dall’effettiva trasformazione del territorio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3761 del 23 dicembre 2024


Il TAR Milano precisa che le convenzioni urbanistiche sono giuridicamente qualificate come “contratti di diritto pubblico o ad oggetto pubblico”, in quanto sono costituite da strumenti di natura pattizia, aventi ad oggetto l’esercizio di potestà di natura pubblicistica; ad esse si applicano, in quanto compatibili, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti (art. 11, comma 2, l. n. 241/1990 e s.m.i.). Dunque, in caso di inadempimento degli obblighi da ciascuna parte assunti con la stipula di siffatti accordi, il creditore deve poter contare su tutti i rimedi offerti dall'ordinamento al soggetto attivo del rapporto obbligatorio, onde poter realizzare coattivamente il proprio interesse, ivi compresa, pertanto, l’azione di esatto adempimento di cui all’art. 1453 c.c. Nella materia trova, poi, applicazione il noto principio di semplificazione in tema di onere della prova dell’inadempimento di una obbligazione, in ossequio al quale il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3038 del 5 novembre 2024


Il TAR Milano ricorda che in relazione al genus della convenzione di diritto pubblico, di cui quella urbanistica rappresenta una species, i principi civilistici sono applicabili nei limiti della compatibilità, essendo le convenzioni - similmente ai contratti ed ai negozi giuridici di diritto privato - basate sull'accordo e sullo scambio dei consensi. La ratio iuris dell'indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) è quella della restituzione di quanto è stato indebitamente percepito, perché oggettivamente non dovuto. L'istituto trova applicazione, dunque, nei soli limiti in cui venga accertata la mancanza del titolo dell'obbligazione, il che tipicamente accade quando il titolo non è mai venuto ad esistenza nel mondo giuridico; quando il titolo è affetto da nullità; ovvero quando l'efficacia del titolo è venuta retroattivamente meno (ad es. per causa di annullamento, di risoluzione o di rescissione), trascinando via con sé la causa giustificativa del trasferimento. In siffatte ipotesi, la prestazione va ripetuta nella stessa misura in cui è stata eseguita. Aggiunge che quando il titolo convenzionale esista e sia efficace e non sia dichiarato nullo, né sia annullato o risolto o rescisso, l'istituto dell'indebito oggettivo non può trovare applicazione in relazione alla fattispecie della convenzione urbanistica, perché la prestazione patrimoniale rinviene la causa dell'obbligazione nell'accordo. Ciò vale sia nelle ipotesi in cui la convenzione è ancora in tutto o in parte attuabile, anche in modo diverso rispetto all'intervento originariamente programmato, sia in quella in cui l'intervento non sarà mai attuato, e dunque indipendentemente dall'effettiva trasformazione del territorio. Non è nemmeno escluso che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2127 del 11 luglio 2024


Il TAR Milano ricorda che: a) gli impegni assunti in sede convenzionale - al contrario di quanto si verifica in caso di rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio - non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma a base dell'accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti; b) la causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione; c) non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1442 del 14 maggio 2024


Il TAR Milano osserva che per procedere all’interpretazione di una clausola di una convenzione urbanistica vanno applicati i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., i quali, oltre che per l’interpretazione dei contratti, degli atti unilaterali (in quanto compatibili, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ.), dei provvedimenti amministrativi (nei limiti della compatibilità), devono applicarsi anche agli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 1990, in ragione del richiamo, da parte del comma 2 della suddetta disposizione, ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti per quanto compatibili. Il primo e principale strumento di interpretazione della convenzione è il senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, da verificarsi alla luce dell’intero contesto, ponendo le singole clausole in correlazione tra loro ai sensi dell’art. 1363 cod. civ. in quanto per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale. Il giudice deve in proposito fare applicazione altresì degli ulteriori criteri dell’interpretazione funzionale (art. 1369 cod. civ.) e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza (art. 1366 cod. civ.), quali primari criteri di interpretazione soggettiva (e non già oggettiva) del negozio, il primo essendo volto a consentire di accertarne il significato in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta, il secondo consentendo di escludere interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole negoziali deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa del negozio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 202 del 29 gennaio 2024


Secondo il TAR Brescia, una controversia avente ad oggetto il lamentato inadempimento da parte dei soggetti attuatori di obbligazioni assunte con la sottoscrizione di una convenzione urbanistica accessoria a un piano attuativo, è da ascrivere alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo; il che vale anche nel caso in cui sia esercitata un’azione ex art. 2932 c.c. Questo comporta che quando nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo si controverta di posizioni di diritto soggettivo, l’onere della prova, come da regola generale, grava su chi agisce per ottenerne tutela. Laddove, infatti, il rapporto tra le parti non è asimmetrico come nella giurisdizione generale di legittimità, ma paritario, il principio dispositivo (o della piena prova) si riespande a scapito del sistema dispositivo con metodo acquisitivo (o del principio di prova) proprio dei giudizi aventi a oggetto interessi legittimi; in particolare, alle convenzioni urbanistiche si applicano, ex art. 11 L. n. 241/1990, le regole dettate dal codice civile in tema di obbligazioni e contratti.



Il TAR Milano ricorda come la giurisprudenza sia consolidata nel riconoscere alle obbligazioni assunte in una convenzione urbanistica la natura di obbligazioni propter rem (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 13 novembre 2020, n. 7024; 9 novembre 2020, n. 6894; II, 23 settembre 2019, n. 6282; IV, 14 maggio 2019, n. 3127; 9 gennaio 2019, n. 199) e precisa:
<<Difatti, «in ordine alla questione principale dell’individuazione dei soggetti obbligati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione previste da una convenzione di lottizzazione, [si è osservato] che:
a) al fine di individuare quali sono i legittimati passivi in caso di inadempimento è necessario, in via preliminare, definire la natura giuridica delle obbligazioni derivanti dalla convenzione stipulata con l’ente locale;
b) al riguardo, le convenzioni urbanistiche hanno lo scopo di garantire che all’edificazione del territorio corrisponda non solo l’approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche, ma anche il suo equilibrato inserimento in rapporto al contesto di zona che, nell’insieme, garantiscano la normale qualità del vivere in un aggregato urbano discrezionalmente, e razionalmente, individuato dall’autorità preposta alla gestione del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2009, n. 6947);
c) è in quest’ottica che devono essere letti ed interpretati gli obblighi dedotti nelle convenzioni urbanistiche e, per tale motivo, la Corte di cassazione ha sempre affermato che l’obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è di natura propter rem (cfr. Cass. civ., Sez. I, 20 dicembre 1994, n. 10947; nonché Cass. civ., Sez. II, 26 novembre 1988, n. 6382);
d) la natura reale dell’obbligazione comporta dunque che all’adempimento della stessa saranno tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono la concessione, quelli che realizzano l’edificazione ed i loro aventi causa (cfr. Cass. civ., 15 maggio 2007, n. 11196; Cass. civ., Sez. II, 27 agosto 2002, n. 12571);
e) in senso conforme è la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l’assunzione, all’atto della stipulazione di una convenzione di lottizzazione, dell’impegno - per sé, per i propri eredi e per gli altri aventi causa - di realizzare una serie di opere di urbanizzazione del territorio e di costituire su una parte di quelle aree una servitù di uso pubblico, dà luogo ad una obbligazione propter rem, che grava quindi sia sul proprietario del terreno che abbia stipulato la convenzione di lottizzazione, sia su coloro che abbiano richiesto il rilascio della concessione edilizia nell’ambito della lottizzazione, sia infine sui successivi proprietari della medesima res (T.a.r. Trento, sez. I, 6 novembre 2014, n. 394; in senso conforme, T.a.r. Campania, Napoli , sez. II, 9 gennaio 2017, n. 187; T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VIII, 16 aprile 2014, n. 2170; T.a.r. Lombardia, Brescia, 1 giugno 2007, n. 467; T.a.r. Sicilia, Catania, sez. I, 29 ottobre 2004, n. 3011), per cui l’avente causa del lottizzante assume tutti gli oneri a carico di quest’ultimo in sede di convenzione di lottizzazione, compresi quelli di urbanizzazione ancora dovuti (T.a.r. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 12 settembre 2013, n. 747), risultando inopponibile all’Amministrazione qualsiasi previsione contrattuale dal contenuto opposto e qualsiasi vicenda di natura civilistica riguardanti i beni in questione;
f) invero, il meccanismo dell’ambulatorietà passiva dell’obbligazione, proprio della natura propter rem, non trasforma ex se gli aventi causa dei lottizzanti in “parti” a pieno titolo del rapporto convenzionale, ma li rende semplicemente corresponsabili nell’esecuzione degli impegni presi (T.a.r., Brescia, sez. I, 23 giugno 2017, n. 843)» (Consiglio di Stato, IV, 9 gennaio 2019, n. 199; anche, T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile 2021, n. 1056).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2735 del 12 dicembre 2022.


Il TAR Brescia osserva che:
<<Come già chiarito nell’ordinanza cautelare n. 384/2020 di questo Tribunale, “le convenzioni urbanistiche sono contratti con effetti permanenti, a cui nessuna delle parti può sottrarsi unilateralmente. La previsione di un termine decennale costituisce un parametro temporale che qualifica come rilevante l’inadempimento delle parti rimaste inerti”.
La convenzione di lottizzazione, rientrando nel genus degli accordi ex art. 11 l. 241/1990, è, infatti soggetta ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti” e, quindi, anche alla disciplina in materia di risoluzione del contratto.
Non potendo trovare nel caso di specie applicazione l’art. 1457 c.c., non avendo le parti attribuito natura essenziale al termine decennale fissato in convenzione per l’esecuzione dei lavori, la semplice scadenza dello stesso non determina sic et simpliciter la risoluzione del contratto.
Piuttosto, a fronte di un inadempimento imputabile, qual è il ritardo nell’esecuzione dei lavori, potrebbe, ricorrendone i presupposti, trovare applicazione l’art. 1453 c.c. che attribuisce alla parte non inadempiente il potere di sciogliere il vincolo contrattuale.
Trattasi, tuttavia, di strada non percorribile da parte di -OMISSIS- giacché la mancata esecuzione dei lavori è alla stessa addebitabile.
Non risulta, parimenti, condivisibile l’affermazione per cui il contratto si sarebbe sciolto alla luce del venir meno della causa del contratto, non essendo state indicate sopravvenienze tali da consentire già in astratto di poter affermare essere venuta meno la ragione concreta a base della convenzione in esame; in ogni caso la causa del contratto non è data dalla somma degli opposti interessi ma dalla loro sintesi, motivo per cui il venir meno dell’interesse in capo alla ricorrente all’accordo concluso non determina, per ciò solo, il venir meno dell’elemento funzionale dell’accordo, soprattutto quando, come nel caso di specie, gli altri contraenti conservino un interesse alla realizzazione del programma negoziale, come del resto risulta dal fatto che i lottizzanti minori hanno chiesto al Comune di prorogare la convenzione.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1153 del 18 novembre 2022.


Il TAR Brescia osserva che:
<<pare opportuno operare l’analisi intorno all’applicabilità dell’art. 103, co. 2-bis, del D.L. n.18/2020 dal dato normativo; la norma in esame afferma che “Il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori previsti dalle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero dagli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché i termini dei relativi piani attuativi e di qualunque altro atto ad essi propedeutico, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, sono prorogati di novanta giorni. La presente disposizione si applica anche ai diversi termini delle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale nonché dei relativi piani attuativi che hanno usufruito della proroga di cui all'articolo 30, comma 3-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98”.
Mentre la prima parte della disposizione, ossia quella che dispone la proroga di 90 giorni, fa riferimento alle convenzioni la cui scadenza è fissata “tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020”, la seconda parte, che inerisce specificamente alle convenzioni che, come quella rilevane nel caso di specie, “hanno usufruito della proroga di cui all'articolo 30, comma 3-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69”, esordisce con la frase “La presente disposizione si applica anche ai diversi termini”.
Risulta evidente, quindi, come la cornice temporale fissata dalla prima parte della disposizione non vale per le convenzioni che “hanno usufruito della proroga di cui all'articolo 30, comma 3-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69”, diversamente non avrebbe alcun senso il riferimento “ai diversi termini”; sarebbe stato, infatti, sufficiente dire che “La presente disposizione si applica anche alle convenzioni di lottizzazione …”, ma così non è.
Evidente l’intento che sorregge l’intervento normativo, ossia quello di allargare la platea delle convenzioni per le quali opera la proroga.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 1153 del 18 novembre 2022.


Il TAR Milano, seguendo l'orientamento della Sezione (Sez. II, n. 2800 del 14 dicembre 2021), precisa che gli effetti obbligatori discendenti dalle convenzioni urbanistiche o dagli atti ad equiparati non sono soggetti a scadenza, a differenza del regime urbanistico conseguente alla pianificazione attuativa o al rilascio del titolo edilizio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2284 del 19 ottobre 2022.


Il TAR Milano richiama il proprio orientamento secondo il quale l’art. 72 della legge fallimentare, che attribuisce al curatore il potere di liberare il fallimento da eventuali vincoli contrattuali in atto attraverso lo scioglimento del contratto, non trova applicazione nei confronti delle convenzioni urbanistiche, poiché le stesse sono soggette ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, e soggiacciono conseguentemente alla previsione dell’art. 1372, primo comma, del codice civile, ossia al principio generale in base al quale il contratto ha forza di legge tra le parti: la ratio derogatoria dell’art. 72 della legge fallimentare è indubbiamente quella di non penalizzare oltremodo gli interessi del ceto creditorio dal possibile vulnus derivante dalla necessità del curatore fallimentare di far fronte agli impegni contrattuali assunti dal fallito precedentemente alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, tali esigenze non possono essere enfatizzate fino al punto da riconoscere al curatore il potere di sciogliersi da una convenzione precedentemente stipulata dalla società fallita ai sensi dell’art. 11 L. 241/1990. Verrebbe infatti attribuita una posizione poziore agli interessi della massa creditoria rispetto a quelli sottesi all’esecuzione di una prestazione dettata dall’interesse pubblico, come tale ascrivibile alla più ampia collettività degli amministrati. La concreta possibilità di realizzazione dell’interesse pubblico, di cui l’Amministrazione è istituzionalmente portatrice, verrebbe infatti pregiudicata dalle scelte del curatore fallimentare ancorché mosso da esigenze individualistiche, così palesandosi una precisa gerarchia di valori priva di fondamento normativo siccome innescata dall’interferenza tra due norme (l’art. 72 della legge fallimentare e l’art. 11 della legge n. 241 del 1990) aventi una ben diversa collocazione topografica e temporale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2261 del 14 ottobre 2022.




Il TAR Milano ricorda che gli impegni assunti in sede convenzionale - al contrario di quanto si verifica in caso rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio - non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti (Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2019, n. 1069).
La causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, quindi, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Con. Stato, Sez. V, 26 novembre 2013, n. 5603).
Pertanto il principio generale, secondo cui l'obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all'effettivo esercizio dello ius aedificandi, non vale rispetto ai casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un'obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell'ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (Cons. Stato, sentenza n. 6339 del 12 novembre 2018).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1985 del 9 settembre 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia a fronte di un ripensamento, contestato dal ricorrente, da parte di un Comune circa l’equilibrio economico di convenzione urbanistica e in particolare circa l'impropria compensazione delle opere di urbanizzazione con il contributo sul costo di costruzione, osserva: 
<<(a) l’argomento fondato sulla violazione dell’affidamento appare condivisibile, con le precisazioni che saranno sviluppate qui di seguito;
(b) le convenzioni urbanistiche, in quanto appartenenti alla categoria degli accordi sostitutivi ex art. 11 della legge 241/1990, definiscono un equilibrio discrezionale tra l’interesse pubblico e l’interesse privato, che ai sensi dell’art. 1372 c.c. ha il medesimo valore vincolante per la parte pubblica e per la parte privata. In mancanza di un’espressa clausola di rinegoziazione, nessuna delle parti può sottrarsi all’obbligo di dare adempimento al contratto, o chiedere controprestazioni superiori a quelle pattuite. L’amministrazione dispone del diritto di recesso per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ex art. 11 comma 4 della legge 241/1990, subordinatamente alla liquidazione di un indennizzo, ma non può modificare unilateralmente le clausole che a posteriori risultino poco convenienti;
(c) il punto è quindi l’esatta individuazione in via interpretativa dell’equilibrio tra le utilità pubbliche e le utilità private descritte nell’accordo sostitutivo. L’equilibrio non può essere modificato per decisione dell’amministrazione, ma può essere ristabilito correggendo l’interpretazione che aumenta senza giustificazione la spesa a carico delle finanze pubbliche. Sotto questo profilo, subisce una limitazione applicativa la regola ex art. 1362 comma 2 c.c. circa la rilevanza del comportamento delle parti posteriormente alla conclusione del contratto. Il recupero delle somme dovute dai privati consente infatti intimazioni di pagamento emesse anche a distanza di anni dalla stipula dell’accordo sostitutivo;
(d) l’affidamento della parte privata non può estendersi alle clausole contra legem, in quanto la discrezionalità dell’amministrazione non rende disponibili gli elementi di interesse pubblico che la legge qualifichi espressamente come indisponibili. Tuttavia, la caducazione di una clausola nulla per violazione di legge non fa diventare irrilevanti le prestazioni già eseguite dalla parte privata, se oggettivamente vantaggiose per la collettività. In questo caso, si verifica una fattispecie di arricchimento senza causa, e dunque l’amministrazione è tenuta a liquidare un indennizzo;
(e) peraltro, la compensazione delle opere di urbanizzazione con il contributo sul costo di costruzione non costituisce una clausola contra legem;
(f) la tradizionale distinzione tra oneri di urbanizzazione, standard qualitativi e contributo sul costo di costruzione è utile solo per associare un’autonoma base imponibile a ciascuna delle tariffe imposte ai privati, evitando una moltiplicazione opaca e irragionevole dei pesi sull’attività edificatoria. Se dunque gli oneri di urbanizzazione sono giustificati in quanto necessari a sostenere gli investimenti pubblici di infrastrutturazione del territorio, e gli standard qualitativi sono applicati normalmente alle edificazioni di maggiore impatto con finalità perequative, il contributo sul costo di costruzione può essere visto come un’imposta patrimoniale sulla ricchezza impiegata nell’attività di edificazione. Sono tutte forme di prelievo tributario, ma caratterizzate da una distanza progressivamente maggiore rispetto alla concreta attività di edificazione, ossia da un collegamento progressivamente decrescente con il concreto interesse del soggetto che risulterà proprietario di quanto edificato;
(g) lo stesso criterio può essere utilizzato per stabilire la legittimità della compensazione con i costi di esecuzione diretta delle opere. Per gli oneri di urbanizzazione non vi sono problemi, in quanto il meccanismo è codificato nell’art. 16 comma 2 del DPR 380/2001 e nell’art. 45 della LR 12/2005. Il legislatore presume che gli oneri di urbanizzazione siano sempre necessari per creare un contesto adeguato ai nuovi edifici, o per adeguare il contesto esistente. Più complesso è stabilire quando una richiesta di opere di urbanizzazione formulata dall’amministrazione quale condizione per approvare il piano attuativo sia ancora collegata alle esigenze della specifica attività edificatoria, e quando sia invece finalizzata a risolvere, con l’occasione della nuova edificazione, criticità urbanistiche preesistenti. Una volta individuata correttamente la seconda fattispecie, sulla base di una valutazione caso per caso, non vi sono poi ostacoli alla compensazione del contributo sul costo di costruzione, perché qui l’utilità delle opere appartiene chiaramente alla collettività nel suo insieme;
(h) un’ipotesi particolare di applicazione del suddetto criterio è stata codificata, successivamente ai fatti di causa, nell’art. 46 comma 1-bis della LR 12/2005. Tale norma consente la compensazione del contributo sul costo di costruzione quando siano realizzate attrezzature pubbliche e di interesse pubblico non correlate alle dotazioni minime previste dal piano dei servizi, e aggiuntive rispetto al fabbisogno generato dalle edificazioni previste;
(i) ricapitolando, la convenzione urbanistica deve essere inserita in via interpretativa entro lo schema sopra descritto, il quale, una volta esaurita la quota relativa agli oneri di urbanizzazione, ammette la compensazione del contributo sul costo di costruzione solo per le spese riguardanti opere di cui la collettività fruisca in misura chiaramente e significativamente maggiore rispetto ai soggetti che abitano o lavorano nel comparto. Il potere del Comune di ottenere il versamento del contributo sul costo di costruzione (in aggiunta alla quota già incamerata) è limitato alle opere che non superano questa soglia, e sono necessarie sostanzialmente per garantire i servizi indispensabili al comparto;
(j) incidentalmente, si osserva che questa seconda categoria di opere sarebbe comunque esclusa dall’indennizzo a carico del Comune per arricchimento senza causa, essendovi una concorrente e prevalente utilità per il soggetto attuatore della lottizzazione;>>

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 795 del 16 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che nell'ambito delle convenzioni urbanistiche, in base ad una analisi sistematica e non atomistica della complessiva operazione posta in essere, non è necessario un “perfetto equilibrio” tra prestazioni, in quanto non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nell'ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1562 del 2 luglio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia precisa che quando la fonte dell’obbligazione pecuniaria non è il singolo titolo edilizio, il cui contenuto, con riguardo agli oneri concessori è predeterminato, bensì la convenzione urbanistica, il cui contenuto è frutto di una negoziazione tra le parti, è irrilevante che non sia realizzato il progetto edificatorio per il quale il privato ha effettuato il pagamento a titolo di monetizzazione e di cui ora chiede la restituzione. La controprestazione pecuniaria a carico della ditta lottizzante è comunque dovuta, salvo che la convenzione urbanistica non sia risolta o rescissa, o annullata o dichiarate nulla (si vedano della Sezione le sentenze n. 942/2021 e n. 1108/2021, nonché i precedenti ivi citati).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 544 del 31 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che:
<<7. La giurisprudenza, richiamata anche dalla ricorrente, è costante nell’affermare che gli impegni assunti in sede convenzionale - al contrario di quanto si verifica in caso rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio - non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti (Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2019, n. 1069).
La causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, quindi, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Con. Stato, Sez. V, 26 novembre 2013, n. 5603).
Inoltre, occorre sottolineare che non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.
È stato quindi affermato che il principio generale, secondo cui l'obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all'effettivo esercizio dello ius aedificandi, non vale rispetto ai casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un'obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell'ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (Cons. Stato, sentenza n. 6339 del 12 novembre 2018).>>.
Nella fattispecie, a fronte di un impegno dei proprietari a cedere gratuitamente l’area in favore dell’amministrazione, a titolo di urbanizzazione secondaria, e a conferirne al Comune il possesso anticipato, per consentire l’immediata utilizzazione della stessa, il TAR osserva che:
<<poiché, per espressa volontà delle parti, l’obbligo avente ad oggetto la cessione gratuita dell’area in questione non è stato condizionato alla futura attività edificatoria, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, deve di conseguenza ritenersi che esso non venga meno in conseguenza dello scadere del termine previsto dal piano particolareggiato per la realizzazione dei lavori di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia della villa.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 649 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che la mancata attuazione degli impegni assunti attraverso un atto di asservimento (avente ad oggetto nella fattispecie la realizzazione di spazi per parcheggio ad uso pubblico) rende legittimo – e altresì necessario – l’intervento sanzionatorio comunale, attraverso il quale deve essere ripristinata – o posta in essere per la prima volta – la condizione, la cui realizzazione era stata assunta dalla parte istante, cui era subordinato il rilascio del titolo edilizio o la sua formazione in seguito al decorso del tempo (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 24 novembre 2021, n. 2603).
Aggiunge il TAR che:
<<Del resto, secondo una condivisibile giurisprudenza, “gli obblighi di facere (realizzare le opere di urbanizzazione) e di dare (…) sono assunti, infatti, a fronte dell’esercizio dell’attività di pianificazione da parte del comune e dei vantaggi astrattamente ritraibili dagli investitori dall’esercizio di questa potestà” (Consiglio di Stato, IV, 16 luglio 2021, n. 5358) e deve essere garantita la loro permanenza e attuazione nel corso del tempo, con la conseguenza che un inadempimento del privato determina uno squilibrio nell’assetto del territorio cui deve essere posto rimedio o dando attuazione ai ridetti obblighi o rimuovendo l’intervento edilizio e i suoi effetti>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2800 del 14 dicembre 2021.
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