La responsabilità della curatela fallimentare in ordine a alla rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/06 – ricollegata dalla Adunanza Plenaria non alla posizione del curatore quale avente causa del fallito ma alla sua qualifica di detentore dell’immobile inquinato – non può essere affermata laddove i rifiuti risultino dalla pregressa attività della società fallita ma siano collocati in un’area di proprietà di un soggetto terzo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1642 del 13 maggio 2025


È illegittimo l’ordine rivolto a un Fallimento che non ha mai avuto la disponibilità del compendio immobiliare in cui sono stati realizzati gli abusi edilizi e alla data di adozione dell’ordinanza impugnata aveva già reciso ogni rapporto con la detentrice dell’immobile, avendo altresì sciolto il contratto di leasing con la proprietaria del predetto bene; la demolizione di un abuso edilizio deve infatti essere ingiunta all’attuale proprietario dell’immobile, che risponde non a titolo di responsabilità effettiva, bensì per il suo rapporto materiale con il manufatto, essendo la sanzione ripristinatoria finalizzata a rimuovere una situazione di fatto obiettivamente antigiuridica, nonché a restaurare l’ordine urbanistico violato. Tale conclusione trova conferma, a contrario, nel diverso regime applicabile allorquando tra la commissione dell’abuso e l’irrogazione delle misure sanzionatorie e repressive il proprietario dell’immobile abusivo è stato dichiarato fallito, poiché l’ordine di demolizione può essere legittimamente rivolto anche alla curatela fallimentare che è nelle condizioni di eseguirla, in quanto, anche se non ha realizzato l’abuso, è tuttavia la detentrice dell’immobile, di cui ha la materiale disponibilità, ed è nelle condizioni di poter restaurare il corretto assetto urbanistico del territorio.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1533 del 2 maggio 2025


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2021 ha mutato prospettiva in merito alla responsabilità della Curatela fallimentare statuendo che il presupposto per la sua responsabilità non sia più costituito dalla “detenzione dei rifiuti”, ma unicamente dalla “detenzione dell’area” su cui i rifiuti insistono e che tale particolare rapporto di disponibilità del sito non sussiste se la Curatela non ha inserito l’area in questione nell’inventario dei beni del fallito ai sensi degli artt. 87 e seguenti della Legge Fallimentare, applica alla fattispecie in esame i suddetti principi, traendo le seguenti conclusioni:
<<- la ricorrente Curatela non può essere ritenuta responsabile dell’abbandono dei rifiuti né come successore del fallito (giacché essa non è qualificabile in tali termini), né come co-autore o agevolatore dell’abbandono dei rifiuti perché i cumuli sono stati prodotti unicamente dal fallito prima della dichiarazione del Fallimento e la Curatela non ha continuato l’esercizio dell’impresa fallita;
- la Curatela non può neppure essere ritenuta responsabile della rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del D.lgs n. 152/06 perché essa non ha mai acquisito la “detenzione” dell’area su cui sono situati tali rifiuti perché detta area (peraltro neppure di proprietà del fallito) al momento della dichiarazione di fallimento non è stata inserita nell’inventario dei beni dell’impresa fallita ai sensi degli articoli 87 e seguenti della Legge Fallimentare e la mancanza di “detenzione” dell’area su cui insistono i rifiuti, comporta l’estraneità della Curatela agli obblighi di smaltimento dei rifiuti medesimi perché abbandonati da altri e situati su un’area detenuta da terzi.>>
TAR Lombardia, Milano, IV, n. 733 del 24 marzo 2023


Il TAR Milano richiama il proprio orientamento secondo il quale l’art. 72 della legge fallimentare, che attribuisce al curatore il potere di liberare il fallimento da eventuali vincoli contrattuali in atto attraverso lo scioglimento del contratto, non trova applicazione nei confronti delle convenzioni urbanistiche, poiché le stesse sono soggette ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, e soggiacciono conseguentemente alla previsione dell’art. 1372, primo comma, del codice civile, ossia al principio generale in base al quale il contratto ha forza di legge tra le parti: la ratio derogatoria dell’art. 72 della legge fallimentare è indubbiamente quella di non penalizzare oltremodo gli interessi del ceto creditorio dal possibile vulnus derivante dalla necessità del curatore fallimentare di far fronte agli impegni contrattuali assunti dal fallito precedentemente alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, tali esigenze non possono essere enfatizzate fino al punto da riconoscere al curatore il potere di sciogliersi da una convenzione precedentemente stipulata dalla società fallita ai sensi dell’art. 11 L. 241/1990. Verrebbe infatti attribuita una posizione poziore agli interessi della massa creditoria rispetto a quelli sottesi all’esecuzione di una prestazione dettata dall’interesse pubblico, come tale ascrivibile alla più ampia collettività degli amministrati. La concreta possibilità di realizzazione dell’interesse pubblico, di cui l’Amministrazione è istituzionalmente portatrice, verrebbe infatti pregiudicata dalle scelte del curatore fallimentare ancorché mosso da esigenze individualistiche, così palesandosi una precisa gerarchia di valori priva di fondamento normativo siccome innescata dall’interferenza tra due norme (l’art. 72 della legge fallimentare e l’art. 11 della legge n. 241 del 1990) aventi una ben diversa collocazione topografica e temporale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2261 del 14 ottobre 2022.




Il TAR Milano, con riferimento a una fattispecie nella quale non è contestato che il fenomeno di produzione dei rifiuti sia connesso all’esercizio di un’attività economica da parte della società fallita, che si è verificata prima della nomina del curatore fallimentare, il quale, a sua volta, non è stato autorizzato a svolgere attività d’impresa né l’ha svolta in concreto né risulta dagli atti possessore o detentore del sito inquinato, precisa:
<<che la fattispecie in esame non è sovrapponibile a quella esaminata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 3 del 2021, la quale ha ritenuto sussistente la responsabilità del fallimento proprio in ragione del fatto che esso subentra nella detenzione dell’immobile in cui sono allocati i rifiuti abbandonati.
Il Collegio si riporta quindi alla consolidata giurisprudenza secondo cui in merito agli obblighi dei curatori, fatta salva la eventualità di univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore fallimentare sull’abbandono dei rifiuti, la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 05.01.2016).
Deve quindi escludersi una responsabilità del curatore del fallimento ai sensi del terzo comma dell'art. 192 d.lgs 152/2006 secondo il quale l’autore della condotta di abbandono incontrollato di rifiuti “è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”. Infatti egli non è l’autore della condotta di abbandono incontrollato di rifiuti nè titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area.
Come chiarito dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2014 n. 3274) si pone la questione di stabilire se il Fallimento possa essere considerato alla stregua di un soggetto “subentrato nei diritti” della società fallita.
Orbene, il Fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare.
La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento (art. 42 R.D. n. 267/1942: “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento”; art. 44: “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”).
Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942: “Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite”).
Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 R.D. n. 267/1942), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cassazione civile, sez. I, 23/06/1980, n. 3926).
Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 192, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa (TAR Lombardia, Milano, 15/02/2017 n. 520).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 911 del 27 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia, dopo aver ricordato che l’abusività dell’opera legittima il provvedimento di rimozione dell’abuso che è di regola atto dovuto che prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso medesimo, aderisce all'orientamento secondo il quale la trasposizione di tali principi alle fattispecie nelle quali tra la commissione dell’abuso e l’irrogazione delle misure sanzionatorie e repressive sia stato dichiarato fallito il proprietario dell’immobile abusivo, comporta che l’ordine di demolizione possa essere legittimamente rivolto anche alla curatela fallimentare che è nelle condizioni di eseguirla, in quanto, anche se non ha realizzato l’abuso, è tuttavia la detentrice dell’immobile di cui ha la materiale disponibilità ed è nelle condizioni di poter restaurare il corretto assetto urbanistico del territorio.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 422 del 10 maggio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano condivide l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui << l’art. 72 della legge fallimentare, che attribuisce al curatore il potere di liberare il fallimento da eventuali vincoli contrattuali in atto attraverso lo scioglimento del contratto, non trova applicazione nei confronti delle convenzioni urbanistiche, poiché le stesse sono soggette ai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”, e soggiacciono conseguentemente alla previsione dell’art. 1372, primo comma, del codice civile, ossia al principio generale in base al quale il contratto ha forza di legge tra le parti: “la ratio derogatoria [dell’art. 72 della legge fallimentare] è indubbiamente quella di non penalizzare oltremodo gli interessi del ceto creditorio dal possibile vulnus derivante dalla necessità del curatore fallimentare di far fronte agli impegni contrattuali assunti dal fallito precedentemente alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, tali esigenze non possono essere enfatizzate fino al punto da riconoscere al curatore il potere di sciogliersi da una convenzione precedentemente stipulata dalla società fallita ai sensi dell’art. 11 L. 241/1990. Verrebbe infatti attribuita una posizione poziore agli interessi della massa creditoria rispetto a quelli sottesi all’esecuzione di una prestazione dettata dall’interesse pubblico, come tale ascrivibile alla più ampia collettività degli amministrati. La concreta possibilità di realizzazione dell’interesse pubblico, di cui l’Amministrazione è istituzionalmente portatrice, verrebbe infatti pregiudicata dalle scelte del curatore fallimentare ancorché mosso da esigenze individualistiche, così palesandosi una precisa gerarchia di valori priva di fondamento normativo siccome innescata dall’interferenza tra due norme (l’art. 72 della legge fallimentare e l’art. 11 della legge n. 241 del 1990) aventi una ben diversa collocazione topografica e temporale” (Consiglio di Stato, IV, 12 luglio 2018, n. 4251; anche T.A.R. Veneto, II, 26 novembre 2020, n. 1136; T.A.R. Lazio, Roma, II, 5 marzo 2020, n. 2962; T.A.R. Toscana, I, 14 giugno 2019, n. 873)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 839 del 30 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano «Soltanto l’impresa già ammessa al concordato non ha bisogno di avvalimento (così il comma 5 dell’art. 110), che invece appare necessario non solo in caso di deposito dell’istanza di concordato prima della partecipazione, ma anche qualora l’istanza sia presentata nel corso della procedura di gara e financo dopo l’aggiudicazione.
Non si ravvisano, infatti, differenze fra le citate situazioni tali da giustificare la possibilità di non utilizzare nel caso di specie l’avvalimento, che risponde invece ad esigenze di tutela della serietà dell’offerta e quindi di garanzia dell’affidabilità del contraente della pubblica amministrazione».

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1462 del 29 luglio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano precisa che il curatore fallimentare è sì un pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 30 del R.D. 16/03/1942, n. 267, ma ciò non fa di lui un soggetto privato esercente una funzione di pubblico interesse assimilabile ad una pubblica amministrazione e non soggiace pertanto alla disciplina prevista dagli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990 in materia di accesso agli atti, trattandosi piuttosto di un ausiliario del giudice, nominato con la sentenza di fallimento o con decreto del Tribunale, che amministra il patrimonio del fallito nell’ambito di una procedura concorsuale disciplinata dalla legge, sotto la vigilanza del giudice delegato; la stessa legge fallimentare, del resto, disciplina specificatamente l’accesso da parte dei terzi, agli atti e ai documenti per i quali sussiste un loro specifico e attuale interesse, prevedendo all’uopo la previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il curatore.

TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 2374 del 11 novembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte di Giustizia UE, in materia di cause di esclusione da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico di operatore che sia in stato di concordato preventivo statuisce che:
L’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico un operatore economico che, alla data della decisione di esclusione, ha presentato un ricorso al fine di essere ammesso al concordato preventivo, riservandosi di presentare un piano che prevede la prosecuzione dell’attività”.

La sentenza della Decima Sezione del 28 marzo 2019 (causa C-101/18) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.



Secondo il Consiglio di Stato, la domanda dell’impresa di ammissione alla procedura concorsuale costituisce una diretta e inequivocabile ammissione del suo stato di crisi e dunque costituisce una procedura “in corso” a norma dell'art. 38 D.lgs. n. 163/2006, che inibisce la partecipazione alla gara, fatta salva la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’art. 186-bis della Legge Fallimentare; quest’ultima disposizione consente, in via di eccezione, in mantenimento dei requisiti di capacità di cui all’art. 38 lett. a) del d.lgs. 163 cit., alle imprese che o sono già state ammesse al concordato con continuità aziendale ovvero alle società che abbiano presentato l’istanza di ammissione al concordato preventivo "in bianco" o "con riserva" ex art. 161 comma 6 L.F. condizionatamente però all’assolvimento di determinati oneri .

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5966 del 18 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato aderisce all’orientamento giurisprudenziale di prime cure (TAR Puglia – Bari, sez. I, 4 giugno 2013, n. 899), secondo cui dal tenore letterale del comma 2 dell'art. 11 della legge n. 241 del 1990 si può ricavare un principio di rigorosa tassatività delle regole privatistiche applicabili agli accordi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 (e cioè unicamente quelle richiamate dal menzionato comma 2: ossia i principi in materia di obbligazioni e contratti di cui al libro IV del codice civile, peraltro con il duplice limite della compatibilità e dell'inesistenza di una disciplina speciale difforme); il citato comma 2, inoltre, non richiama direttamente le disposizioni del Libro IV del codice civile, ma unicamente i principi: ne consegue che la disciplina privatistica contenuta in leggi speciali, ivi compresa la legge fallimentare e in particolare l'art. 72 del r.d. n. 267 del 1942, non è applicabile agli accordi amministrativi (nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato si trattava di una convenzione urbanistica).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 4251 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TRGA Trento esamina la posizione della curatela fallimentare in riferimento ai beni del fallito - acquisiti dalla procedura - direttamente definibili rifiuti o comunque contenenti fattori di inquinamento ambientale tali da richiedere, secondo la normativa di settore, un intervento di bonifica e dopo aver provveduto alla ricostruzione sistematica del rapporto intercorrente fra la legislazione fallimentare (e del ruolo assunto nell’ambito della stessa dal curatore) e quella dettata dal legislatore in materia di tutela ambientale dai rifiuti, aderisce all’orientamento secondo il quale nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 194, comma 4, d.lgs. n. 152/2006, della legittimazione passiva che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o in colpa.

La sentenza del TRGA, Sezione di Trento, n. 93 del 20 marzo 2017 è consultabile sul sito di Giustizia Amministrativa.


La Corte di Cassazione, Sezione Prima civile, con la sentenza n. 3196 depositata il 7 febbraio 2017 (udienza 20 dicembre 2016) afferma che anche nel regime antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 175 del 2016 (“Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”) le società c.d. in house erano soggette a fallimento.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima civile, n. 3196 depositata il 7 febbraio 2017 è consultabile sul sito della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


Il TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, dopo aver accertato che nella fattispecie non era stato autorizzato né svolto l'esercizio provvisorio dell’impresa da parte del curatore fallimentare, precisa che in merito agli obblighi dei curatori fallimentari la giurisprudenza ha chiarito che, fatta salva l'eventualità di univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore fallimentare sull'abbandono dei rifiuti, la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti.

Il testo della sentenza n. 1 del 5 gennaio 2016 della Sezione Terza del TAR Lombardia, Milano, è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.


Il TAR Lombardia, Milano, con la sentenza della III Sezione n. 1353 del 27 maggio 2014, ha statuito che: 
  • un comune, nel chiedere il fallimento di una società controllata, esercita una potestà di diritto privato rispetto alla quale l’ex amministratore della società non è titolare di alcuna posizione differenziata né qualificata che lo legittimi a sindacare l’azione della pubblica amministrazione;
  • rispetto all’esercizio dei poteri che spettano al socio di maggioranza di società pubblica, sia pur nelle forme amministrative, l’ex amministratore della società non vanta alcuna posizione di diritto tutelabile avanti al giudice amministrativo che gli consenta di impedirne l’esercizio;
  • la circostanza che il procedimento pre-fallimentare presenti un’intrinseca natura giurisdizionale conferma l’insussistenza di un’attività amministrativa rispetto alla quale sussista, in capo all’ex amministratore della società controllata dal comune, una posizione di interesse legittimo a contrastare la decisione dell'ente locale di chiedere il fallimento della società controllata.
Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa: testo sentenza.