Il TAR Milano ricorda che l’art. 5, comma 2, del n. 175/2016 prescrive che gli enti locali sottopongono lo schema di atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite a forme di consultazione pubblica, secondo modalità da essi stessi disciplinate. L’ente è quindi chiamato a disciplinare e individuare lo strumento (“forme”) in grado di assicurare la consultazione degli operatori e ciò implica, necessariamente, sia la previa pubblicazione dello schema di atto deliberativo tramite mezzi di comunicazione in grado di garantire l’effettiva diffusione della scelta amministrativa agli operatori sia la previsione di un termine entro cui poter formulare, da parte degli interessati, osservazioni di metodo e di merito a quella scelta. Ad avviso del Collegio, la pubblicazione all’albo pretorio e sul sito web del Comune, senza indicazione di un termine per le osservazioni, non costituisce una “forma” idonea di “consultazione pubblica” ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 175/2016, non assicurando infatti che gli operatori del settore possano venire a conoscenza della volontà del Comune di procedure all’affidamento di un proprio servizio tramite il modulo dell’in house. Tale forma di comunicazione è infatti generica in quanto è riservata, per legge, alla pubblicazione degli atti deliberativi del Comune, mentre il legislatore ha imposto, per il procedimento di affidamento in house, una forma di comunicazione specifica sia in relazione al contenuto sia in relazione ai suoi destinatari. Inoltre, agli operatori non viene offerta la possibilità di presentare osservazioni, né vien indicata la forma e il termine entro cui le osservazioni possono essere presentate.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1973 del 25 giugno 2024


In una controversia avanti al TAR Milano la ricorrente, società operante nel settore del recupero e riciclo di rifiuti, nello specifico ambito del trattamento dei rifiuti organici (FORSU) provenienti dalla raccolta differenziata, ha impugnato la delibera di un Comune avente ad oggetto l’affidamento diretto “in house providing” del servizio di smaltimento trattamento e recupero della frazione organica “FORSU” e relativa produzione e cessione di biogas e di biometano a titolo di servizio di interesse economico generale di livello locale in concessione.
Il TAR ritiene infondato il motivo di ricorso nella parte in cui ritiene l’assenza di privativa comunale preclusiva all’assunzione del servizio da parte del Comune. Osserva, al riguardo, che se la ricorrente ha ragione nell’affermare che il recupero della FORSU avviene sul libero mercato, non può però da ciò desumere l’impossibilità del Comune di acquisire il servizio. Infatti, l’assenza di un regime di privativa comporta l’obbligo dell’amministrazione competente, che nella Regione Lombardia è il Comune, di acquisire il servizio con idonea motivazione. Il venir meno della privativa comunale alle attività di recupero dei rifiuti urbani non comporta infatti la sottrazione delle medesime attività dall’alveo dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Deve, quindi, concludersi che la mancanza di privativa comunale non esclude la possibilità del Comune di acquisire il servizio di recupero della FORSU alla mano pubblica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2331 del 16 ottobre 2023


Il TAR Milano osserva che, ai fini della configurabilità di un "controllo analogo", non è necessaria la ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di un potere di controllo individuale del singolo socio affidante sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell'art. 2359 c.c. o dall’art. 2383 c.c. con riferimento alla nomina degli amministratori; ciò che è imprescindibile è solo che il controllo della mano pubblica sull'ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati, anche se ottenuto tramite strumenti diversi. Pertanto, nel caso di società partecipata da più enti pubblici è consentito nell’ambito e ai fini dell’in house istituire organi speciali, come un comitato unitario per l’esercizio del controllo analogo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2540 del 30 ottobre 2023


Il TAR Milano, dopo aver effettuato la ricognizione del quadro normativo che disciplina l’affidamento in house, osserva che:
<<La giurisprudenza, interna ed eurounitaria, formatasi sul tema dell’affidamento in house, ha chiarito che la legittima applicazione dell’istituto postula l’effettiva sussistenza di un “controllo analogo”, anche nelle declinazioni del controllo a cascata e del controllo analogo congiunto, con la precisazione che esso si sostanzia in una forma di eterodirezione della società, tale per cui i poteri di governance non appartengono agli organi amministrativi, ma “al socio pubblico controllante”, che si impone a questi ultimi con le proprie decisioni (così Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 6460/2020).
Il controllo analogo è tale se, per effetto della sua concreta modulazione, la società affidataria non è terza rispetto all’ente affidante, ma una sua articolazione, sicché tra socio pubblico controllante e società sussiste “una relazione interorganica e non intersoggettiva”, perché il controllo esercitato deve corrispondere a quello che l’ente pubblico esplica sui propri servizi.
La giurisprudenza eurounitaria specifica che tale relazione deve intercorrere tra soci affidanti e società, “non anche tra la società e altri suoi soci (non affidanti o non ancora affidanti), rispetto ai quali la società sarebbe effettivamente terza” (Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 febbraio 2020 cause C-89/19 e C-91/19).
Va, inoltre, osservato che le norme citate, laddove si riferiscono al “controllo analogo congiunto”, confermano quanto già stabilito dalla Corte di Giustizia (sin dalla sentenza 18 novembre 1999, C-107/98 - Teckal), la quale ha ammesso che, in caso di società partecipata da più enti pubblici, il controllo analogo possa essere esercitato in forma congiunta (cfr. anche sentenza 13 novembre 2008 nella causa C-324/07 - Coditel Brabant SA).
La Corte precisa che a tal fine non possono ritenersi adeguati i poteri a disposizione dei soci secondo il diritto comune, sicché è necessario dotare i soci affidanti di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società.
Il profilo ora introdotto – rilevante nel caso di specie – deve essere esaminato tenendo conto dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016, che ha introdotto il divieto per gli statuti delle società a controllo pubblico di “istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società”.
Nondimeno, la giurisprudenza esclude la riferibilità della disposizione agli organismi in house, sicché il controllo analogo può essere realizzato anche attraverso l’istituzione, ad opera dei soci pubblici, di organi speciali ad esso funzionali.
In tal senso, si sostiene (cfr. Consiglio di Stato, 30 aprile 2018, n. 2599 e 16 luglio 2020, n. 8028) che l’esclusione, per gli organismi in house, del divieto di istituire organi speciali discenda dai seguenti profili: a) il divieto è previsto in relazione alle “società a controllo pubblico” regolate appunto dall’art. 11 e non è ripetuto nell’art. 16 dedicato alle società in house, la cui disciplina risulta, pertanto, speciale e derogatoria; b) a differenza delle società a controllo pubblico, per le quali, l’art. 2, comma 1, lett. m), del d.l.vo n. 175 del 2016 richiede che il controllo si esplichi nelle forme dell’art. 2359 cod. civ., le società in house sono sottoposte a quella forma particolare di controllo pubblico che è costituita dal controllo analogo (come chiaramente precisato dall’art. 2, comma 1, lett. o) d.lgs. n. 175 del 2016).
Il tema è rilevante, in quanto la giurisprudenza ha precisato che una partecipazione “pulviscolare” sia in principio inidonea a consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere effettivamente sulle decisioni strategiche della società, cioè di realizzare una reale interferenza sul conseguimento del c.d. fine pubblico di impresa in presenza di interessi potenzialmente contrastanti e, quindi, a palesare la sussistenza di un controllo analogo almeno congiunto.
Nondimeno, proprio in ragione della non riferibilità dell’art. 11, comma 9, lett. d), del citato d.l.vo n. 175 del 2016 agli organismi in house, si è chiarito che i soci pubblici ben possono sopperire a detta debolezza stipulando patti parasociali al fine di realizzare un coordinamento tra loro, in modo da assicurare il “loro controllo sulle decisioni più rilevanti riguardanti la vita e l’attività della società partecipata” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 23 gennaio 2019, n. 578).
La tipizzazione normativa e l’elaborazione giurisprudenziale hanno condotto ad enucleare diverse “forme di in house” connotate da specificità rispetto all’ in house “tradizionale” (sul punto Consiglio di Stato, sez. I, 26 giugno 2018, n. 1645).
Si è già detto che l’art. 5, comma 2, del d.l.vo 2016 n. 50 introduce il c.d. “in house a cascata” caratterizzato dalla presenza di un controllo analogo “indiretto”, ossia esercitato da una persona giuridica diversa da quella affidante, ma a sua volta controllata allo stesso modo da quest’ultima.
In altri termini, l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su un ente che a propria volta esercita un controllo analogo sull’organismo in house; anche se tra la l’amministrazione aggiudicatrice e l’organismo in house non sussiste una relazione diretta è comunque ammesso l’affidamento diretto.
Sul punto, vale ricordare che già in passato la Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE 11 maggio 2006 C-340/04) configurava un legittimo controllo analogo anche in caso di partecipazione pubblica indiretta, in cui il pacchetto azionario non è detenuto direttamente dall’ente pubblico di riferimento, ma indirettamente mediante una società per azioni capogruppo (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo, determinandosi così un in house a cascata.
E’ configurabile, inoltre, il c.d. “in house frazionato o pluripartecipato”, che trova fondamento positivo nel citato art. 5, commi 4 e 5, ed è centrato sul concetto di “controllo congiunto”, i cui caratteri sono definiti dalle disposizioni appena richiamate.
Si definisce “in house invertito o capovolto” quello descritto dall’art. 5, comma 3, del d.l.vo 2016 n. 50, che si verifica quando il soggetto controllato, essendo a sua volta amministrazione aggiudicatrice, affida un contratto al soggetto controllante senza procedura di evidenza pubblica.
Questa ipotesi evidenzia una sorta di bi-direzionalità dell’in house; la cui giustificazione risiede nel fatto che mancando una relazione di alterità, i rapporti tra i due soggetti sfuggono al principio di concorrenza qualunque sia la “direzione” dell’affidamento.
Diverso è il c.d. “in house orizzontale”, che presuppone la presenza di tre soggetti.
Un soggetto A aggiudica un appalto o una concessione a un soggetto B, ma tanto A quanto B sono controllati da un altro soggetto C, secondo i canoni propri del controllo analogo.
In tale ipotesi non vi è alcuna relazione diretta tra A e B, ma entrambi sono in relazione di in house con il soggetto C, che così controlla sia A, sia B. Insomma, l’amministrazione aggiudicatrice esercita un controllo analogo su due operatori economici distinti di cui uno affida un appalto all’altro (cfr. giur cit.).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2535 del 15 novembre 2022.


Il TAR Milano ricorda che, in presenza di una partecipazione pulviscolare di diverse amministrazioni al capitale dell’organismo affidatario, il riconoscimento di una situazione di controllo analogo congiunto sostanziale ed effettivo non può prescindere dalla presenza, in via diretta o per rappresentazione, di tutte le P.A. affidanti negli organi decisionali del soggetto affidatario. In tal senso: «A proposito nell'in house pluripartecipato, le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali dell'organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti; […]. […] partecipazione del socio minoritario agli organi direttivi, requisito questo che la giurisprudenza comunitaria richiede perché in caso di "in house frazionato" sussista il controllo analogo; in caso contrario, infatti, i soci di maggioranza sono in grado di imporre le proprie scelte al socio di minoranza, già a partire dalla nomina dell'organo amministrativo (Corte Giustizia UE, III sez., 29.11.2012, n. 182). […] Le decisioni strategiche e più importanti dovrebbero essere sottoposte all'approvazione della totalità degli enti pubblici soci; in caso contrario, neppure i soci pubblici di maggioranza hanno effettivo potere di orientare le scelte determinanti della società (v. Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514; id., sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092; 11 agosto 2010, n. 5620;8 marzo 2011, n. 1447)» (Consiglio di Stato, III, 27 aprile 2015 n. 2154; cfr: V, 30 aprile 2018, n. 2599).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2437 del 3 novembre 2022.


Il TAR Brescia osserva che 
ai fini dell’affidamento “in house” di un servizio non è necessario il possesso da parte dell’Amministrazione affidante di una quota minima del capitale sociale della società affidataria (cfr., C.d.S., Sez. V, sentenza n. 2599/2018). Nondimeno, in caso di partecipazione pulviscolare (la quota del Comune di … è pari allo 0,008% del capitale della società …), affinché alla modestia della partecipazione non corrisponda una debolezza sia assembleare, sia amministrativa, è necessaria la previsione di strumenti (anche in deroga alle regole di diritto comune, ex articolo 16, comma 2, D.Lgs. n. 175/2016) che, rafforzando l’azione collettiva delle singole Amministrazioni partecipanti, garantisca loro di incidere sulle decisioni più rilevanti della vita e dell’azione societaria (cfr., C.d.S., Sez. V, sentenza n. 578/2019; C.d.S., Sez. III, sentenza n. 1564/2020).
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 280 del 23 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia osserva come <<risulti oramai superato l’orientamento tradizionale che considerava l’autoproduzione attraverso società “in house”, da un lato, e il ricorso al mercato attraverso l’aggiudicazione all’esito di una procedura di evidenza pubblica, dall’altro lato, due modelli alternativi di svolgimento del servizio, perfettamente equiparati.
Come osservato dalla giurisprudenza più recente, «L’articolo 192, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016 colloca senz’altro «gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefici per la collettività connessi a tale forma di affidamento» (così, C.d.S., Sez. V, ordinanza n. 138/2019).
Tale preferenza riservata all’evidenza pubblica, peraltro, è stata ritenuta non contrastare né con il diritto dell’Unione europea, né con la Carta costituzionale. Invero, la Corte di Giustizia ha chiarito che, come il diritto dell’Unione Europea non obbliga gli Stati membri a esternalizzare la prestazione dei servizi, così non li obbliga a ricorrere sempre e comunque all’autoproduzione, ben potendo questa essere subordinata dal legislatore nazionale a una serie di ulteriori condizioni (v. ordinanza 6.02.2020 nelle cause riunite C-89/19, C-90/19 e C-91/19). Al contempo, la Corte costituzionale, nell’affermare l’infondatezza delle questioni di illegittimità costituzionale dell’articolo 192, comma 2, D.Lgs. n. 50/2016 in relazione all’articolo 76 Cost. e all’articolo 1, comma 1, lettere a) ed eee), L. n. 11/2016, ha osservato che detta disposizione «è espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali» e che essa «risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza» (v. sentenza n. 100/2020)>>.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 281 del 23 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





La Corte di Giustizia UE in tema di accordo di cooperazione tra comuni e affidamento del servizio in house, così statuisce:

«1) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretato nel senso che un accordo in base al quale i comuni aderenti all’accordo stesso affidino ad uno di essi la responsabilità dell’organizzazione di servizi a vantaggio dei comuni medesimi, costituendo un trasferimento di competenza, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, come interpretato nella sentenza del 21 dicembre 2016, Remondis (C‑51/15, EU:C:2016:985), è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva stessa. 
2) L’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18 dev’essere interpretato nel senso che un accordo di cooperazione in base al quale i comuni aderenti all’accordo stesso trasferiscano ad uno di essi la responsabilità dell’organizzazione di servizi a vantaggio dei comuni medesimi, consente di considerare detto comune, ai fini delle aggiudicazioni successive al trasferimento, quale amministrazione aggiudicatrice, consentendogli di affidare ad un organismo in house, senza provvedere ad un confronto concorrenziale, servizi volti a soddisfare non solo le proprie esigenze, bensì anche quelle degli altri comuni aderenti all’accordo, laddove, in assenza di tale trasferimento di competenze, i comuni medesimi avrebbero dovuto provvedere in proprio alle rispettive esigenze».

Corte di Giustizia UE, Sez. IV, del 18 giugno 2020 (causa C-328/19).
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia.



La Corte Costituzionale, rigettando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti danno conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato, osserva:
 <<il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie (il cosiddetto gold plating) è imposto da tale criterio direttivo e dalle norme da esso richiamate, ma non è un principio di diritto comunitario, il quale, come è noto, vincola gli Stati membri all’attuazione delle direttive, lasciandoli liberi di scegliere la forma e i mezzi ritenuti più opportuni per raggiungere i risultati prefissati (salvo che per le norme direttamente applicabili).
Il termine gold plating, tuttavia, compare nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, dell’8 ottobre 2010, che reca delle riflessioni e delle proposte per il raggiungimento dell’obiettivo di una legiferazione «intelligente», comunitaria e degli Stati membri, in grado di ridurre gli oneri amministrativi a carico dei cittadini e delle imprese.
Tra le iniziative che la Commissione ha adottato per migliorare la qualità della legislazione vigente vi è quella di richiedere «una relazione sulle migliori pratiche negli Stati membri per un’attuazione meno onerosa della legislazione UE», contestualmente impegnandosi ad approfondire «l’analisi del fenomeno delle “regole aggiuntive” (il cosiddetto “gold plating”)».
Nella comunicazione si precisa che «[i]l termine gold-plating si riferisce alla prassi delle autorità nazionali di regolamentare oltre i requisiti imposti dalla legislazione UE, in sede di recepimento o di attuazione in uno Stato membro».
4.1.− Nel nostro ordinamento il divieto di gold plating è stato introdotto dall’art. 15, comma 2, lettera b), della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge di stabilità 2012)», con l’inserimento nell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), dei commi 24-bis, ter e quater.
Il comma 24-bis recita: «[g]li atti di recepimento di direttive comunitarie non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salvo quanto previsto al comma 24-quater».
Il comma 24-ter, poi, puntualizza quali debbano intendersi livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie, ovvero: «a) l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive; b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive».
Il comma 24-quater, infine, dispone che [l’]amministrazione dà conto delle circostanze eccezionali, valutate nell’analisi d’impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria. Per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, le Amministrazioni utilizzano comunque i metodi di analisi definiti dalle direttive di cui al comma 6 del presente articolo».
5.− Ebbene, da tali disposizioni emerge con chiarezza che la ratio del divieto, assurto a criterio direttivo nella legge delega n. 11 del 2016, è quella di impedire l’introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all’amministrazione e segue una direttrice proconcorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato.
La rilevanza di questa finalità è riconosciuta anche dall’Adunanza della commissione speciale del Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 1° aprile 2016, relativo allo schema di decreto legislativo recante «Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 gennaio 2016, n. 11», in cui si osserva che «il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione degli “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive».>>

Corte Costituzionale n. 100 del 27 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.


Il Consiglio di Stato, Quinta Sezione, rimette alla Corte di giustizia UE i seguenti quesiti interpretativi in materia di affidamenti in house:
se il diritto dell’Unione europea (e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche) osti a una normativa nazionale (come quella dell’articolo 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, decreto legislativo n. 50 del 2016) il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo comunque all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a tale forma di affidamento”.
se il diritto dell’Unione europea (e in particolare l’articolo 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/UE in tema di affidamenti in house in regìme di controllo analogo congiunto fra più amministrazioni) osti a una disciplina nazionale (come quella dell’articolo 4, comma 1, del Testo Unico delle società partecipate – decreto legislativo n. 175 del 2016 -) che impedisce a un’amministrazione pubblica di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intende comunque acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell’Organismo pluripartecipato”.

L’ordinanza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 138 del 7 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano chiarisce che in caso di società in house pluripartecipata, ai fini del controllo analogo congiunto, non ogni singolo Comune deve poter individualmente condizionare tutti gli atti di portata generale della società in house, ma è sufficiente che gli Enti Comunali possano condizionare congiuntamente ogni atto fondamentale della partecipata, nonché vincolare individualmente, mediante poteri di veto, tutte le decisioni che hanno ricadute dirette sul rispettivo territorio.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2746 del 6 dicembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato si pronuncia in sede consultiva sulla richiesta di parere della Regione Piemonte in merito alla possibilità per una società in house providing, costituita ai sensi dell’art. 5 della legge della Regione Piemonte 11 luglio 2016, n. 14, di ricevere affidamenti diretti dall’Amministrazione regionale, pur acquisendo partecipazioni private, purché nel limite di un terzo del capitale sociale e senza riconoscimento di nessun potere di veto né di influenza dominante.

Il parere del Consiglio di Stato, Sezione Prima, numero 02583/2018 del 8 novembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato, le impugnazioni di affidamenti in house di contratti pubblici di lavori servizi e forniture sono soggetti al “rito appalti” di cui agli artt. 119, comma 1, lett. a), e 120 del codice del processo amministrativo, con il corollario del dimezzamento del termine per proporre il ricorso di primo grado, ai sensi del comma 5 di quest’ultima disposizione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 2533 del 29 maggio 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Cassazione, Sezione Prima civile, con la sentenza n. 3196 depositata il 7 febbraio 2017 (udienza 20 dicembre 2016) afferma che anche nel regime antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 175 del 2016 (“Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”) le società c.d. in house erano soggette a fallimento.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Prima civile, n. 3196 depositata il 7 febbraio 2017 è consultabile sul sito della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


Il TAR Milano precisa che nel c.d. “in house pluripartecipato” le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali dell'organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti; b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell'organismo controllato; c) l'organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2474 del 23 dicembre 2016 è consultabile sul sito di Giustizia Amministrativa.


La Corte di Giustizia UE, in materia di affidamenti diretti di appalti pubblici a società in house e al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga la sua attività prevalente per l’amministrazione aggiudicatrice, enuncia i seguenti principi:
«Nell’ambito dell’applicazione della giurisprudenza della Corte in materia di affidamenti diretti degli appalti pubblici detti «in house», al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per l’amministrazione aggiudicatrice, segnatamente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che lo controllino, non si deve ricomprendere in tale attività quella imposta a detto ente da un’amministrazione pubblica, non sua socia, a favore di enti territoriali a loro volta non soci di detto ente e che non esercitino su di esso alcun controllo. Tale ultima attività deve essere considerata come un’attività svolta a favore di terzi.
Al fine di stabilire se l’ente affidatario svolga l’attività prevalente per gli enti territoriali che siano suoi soci e che esercitino su di esso, congiuntamente, un controllo analogo a quello esercitato sui loro stessi servizi, occorre tener conto di tutte le circostanze del caso di specie, tra le quali, all’occorrenza, l’attività che il medesimo ente affidatario abbia svolto per detti enti territoriali prima che divenisse effettivo tale controllo congiunto».

La sentenza della Corte di Giustizia UE, Quarta Sezione, in data 8 dicembre 2016 (causa C 553/15) è consultabile sul sito della Corte di Giustizia UE