Mentre l’ordinanza di rimozione dei rifiuti di cui all’art. 192, comma 3, d.lgs. 152/2006, può essere emessa nei confronti del proprietario dell’area solo se viene accertato, in contradditorio con lo stesso, che egli è corresponsabile dell’abbandono dei rifiuti a titolo di dolo o colpa, l’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50, comma 5, d.lgs. 267/2000 prescinde dalla colpevolezza del destinatario e dall’accertamento di eventuali sue responsabilità, e presuppone soltanto che costui abbia la disponibilità dell’area e sia, per ciò solo, in grado di provvedere immediatamente all’esecuzione degli interventi urgenti che si rendono necessari a tutela della salute pubblica; nell’ottica dell’ordinanza contingibile e urgente, la questione della responsabilità di chi ha causato la situazione di urgenza è da affrontare eventualmente ex post, ai fini della rivalsa dei costi sostenuti dal destinatario dell’ordinanza per ottemperare alla stessa.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 408 del 12 maggio 2025


La responsabilità della curatela fallimentare in ordine a alla rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/06 – ricollegata dalla Adunanza Plenaria non alla posizione del curatore quale avente causa del fallito ma alla sua qualifica di detentore dell’immobile inquinato – non può essere affermata laddove i rifiuti risultino dalla pregressa attività della società fallita ma siano collocati in un’area di proprietà di un soggetto terzo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1642 del 13 maggio 2025


La caratterizzazione del rifiuto spetta al produttore e non al gestore dell’impianto, che non è tenuto ad avere contezza dei processi che hanno portato alla formazione del rifiuto e che, in una logica di prossimità e ragionevolezza, non può essere identificato come il soggetto deputato all’attività di caratterizzazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 897 del 17 marzo 2025


L'ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati, adottata ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, stante la rilevanza dell’eventuale apporto procedimentale che tali soggetti possono fornire, quanto meno in riferimento all’ineludibile accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti, salvo che non vi sia già stata una complessa e specifica interlocuzione con il Comune.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 134 del 17 febbraio 2025


Il TAR Milano precisa che la diffida ex art. 208, comma 13, d.lgs. n. 152 del 2006, prevista in caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e recupero rifiuti, non si configura come una mera comunicazione di avvio del procedimento volto all'adozione di un provvedimento di sospensione o revoca dell'autorizzazione stessa, ossia come un atto endoprocedimentale impugnabile solo unitamente all'eventuale provvedimento di sospensione o di revoca dell'autorizzazione, bensì come un provvedimento autonomamente lesivo della sfera giuridica del soggetto autorizzato, e come tale immediatamente impugnabile. Ciò in quanto, con la diffida vengono imposti o ribaditi obblighi di fare, all'inadempimento dei quali può conseguire, a seconda della gravità dell'inadempimento, l'avvio di un autonomo procedimento volto all'adozione di un provvedimento di sospensione o di revoca dell'autorizzazione.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2381 del 6 settembre 2024


Il TAR Brescia osserva che la responsabilità dell’abbandono di rifiuti ex art. 192, comma 3, d.lgs. 152/2006 va accertata secondo il criterio del “più probabile che non”, nel senso che il nesso eziologico ipotizzato dall’amministrazione deve essere più probabile della sua negazione, e non secondo il più rigoroso criterio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” valevole in ambito penalistico: in questo senso si esprime la giurisprudenza, ormai consolidata, sull’accertamento della responsabilità per la contaminazione ex artt. 242-244 d.lgs. 152/2006, ma i medesimi principi valgono anche per l’accertamento della responsabilità per l’abbandono di rifiuti sul suolo, nel suolo e nelle acque ex art. 192, comma 3, d.lgs. 152/2006, vertendosi in entrambi i casi nella medesima materia ambientale, informata al principio “chi inquina paga”, sancito dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Tale accertamento può essere compiuto anche mediante presunzioni semplici.

TAR Lombardia, Brescia, I, n. 739 del 12 settembre 2024





Il TAR Milano esamina un motivo di ricorso con il quale la ricorrente deduce la violazione dell’art. 208, c. 13, lett. c), d.lgs. n. 152/2006, che a suo dire, ai fini della revoca, richiederebbe in ogni caso la verifica di una situazione di pericolo per la salute pubblica e l’ambiente che la violazione della precedente diffida ha prodotto, non essendo invece sufficiente il mero inadempimento alle prescrizioni imposte dalla stessa, essendo quindi necessario il ricorrere di due differenti e cumulativi presupposti, il primo dei quali è costituito dall’inadempimento alle prescrizioni imposte da una specifica diffida, e il secondo integrato dalla violazione di ulteriori disposizioni che mettano in pericolo la salute pubblica e l’ambiente. Secondo il TAR, il motivo è infondato atteso che, in base al tenore letterale della stessa norma asseritamente violata, l’autorità competente provvede alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida, non potendosi affermare che la revoca sia consentita soltanto in presenza di comprovate situazioni di pericolo per la salute pubblica e l’ambiente, trattandosi di previsione distinta e alternativa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2029 del 28 giugno 2024


Secondo il TAR Milano, le disposizioni del D.M. 5.2.1998, in materia di recupero rifiuti non pericolosi, non possono essere lette come derogatorie alla disciplina generale di cui al d.lgs. n. 152/2006 che continua a trovare applicazione anche qualora, in virtù delle stesse, i rifiuti non pericolosi abbiano trovato impiego nell’attività costruttiva.

TAR Lombardia, Milano, III, n. 1816 del 14 giugno 2024


Il TAR Brescia ricorda che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, sono illegittimi gli ordini di smaltimento dei rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua mera qualità e in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’Amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di un’esauriente motivazione, dell’imputabilità soggettiva della condotta. In tale quadro normativo, tutto incentrato sulla tipicità dell’illecito ambientale, non vi è spazio per una responsabilità oggettiva, nel senso che per essere ritenuti responsabili della violazione dalla quale è scaturita la situazione di inquinamento, occorre quantomeno la colpa. E tale regola di imputabilità a titolo di dolo o colpa non ammette eccezioni, anche in relazione ad una eventuale responsabilità solidale del proprietario dell’area ove si è verificato l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 818 del 6 novembre 2023


Il TAR Brescia, in merito ad una segnalazione di deposito incontrollato di rifiuti rivolta ad un Comune, osserva che il ricevimento di un esposto relativo all’abbandono di rifiuti vincola il Comune a procedere a verifiche sulla natura del materiale abbandonato e ad attivare la procedura di rimozione ex art. 192, comma 3, del Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152. Analogo obbligo di verifica e controllo sussiste quando vengano segnalati manufatti o depositi all’interno della fascia di rispetto stradale, perché occorre sempre stabilire se le innovazioni introdotte in prossimità della strada possano creare ostacoli o insidie alla circolazione. Tuttavia, l’autore della segnalazione non ha un’aspettativa qualificata a essere parte dei suddetti procedimenti di verifica, in quanto la sua posizione non è differenziabile da quella del resto della collettività.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 848 del 20 novembre 2023


Il TAR Milano precisa che le norme tecniche che disciplinano la messa in riserva dei rifiuti non pericolosi sono contenute nell’allegato 5 al d.m. 2 febbraio 1998; stabilisce tale allegato che negli impianti ove vengono messi in riserva i rifiuti destinati al recupero devono essere distinte le aree di stoccaggio dei rifiuti stessi da quelle utilizzate per lo stoccaggio delle materie prime; si precisa inoltre che il settore della messa in riserva deve essere organizzato in aree distinte ed opportunamente separate per ciascuna tipologia di rifiuto. Queste norme hanno l’evidente finalità di assicurare l’adeguata separazione dei rifiuti e, quindi, la loro tracciabilità in modo da garantire la possibilità di risalire alla singola tipologia di rifiuto utilizzata per produrre materia prima attraverso l’operazione di recupero.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n.1792 del 12 luglio 2023 


Il TAR Milano premette che presupposto imprescindibile affinché il proprietario di un terreno possa essere chiamato a rispondere dell’evento inquinante tipico, in solido con chi lo ha cagionato, è, se non il dolo, quantomeno la sua colpa, ossia l’essere stato negligente, imprudente e non sufficientemente attento, in proporzione alle sue capacità e concrete possibilità, nell’evitare l’immissione di rifiuti in situ; ciò premesso, nel caso di specie, il Collegio ritiene che in linea teorica potrebbe venire in evidenza una ipotesi di responsabilità colposa a carico del proprietario del terreno, il quale è soggetto operante professionalmente proprio nel settore industriale del trasporto, trattamento, bonifica e recupero di terreni e altre sostanze o materiali inquinati; tuttavia, ciò che manca nell’atto impugnato è la rigorosa declinazione di elementi indiziari tali, da far emergere anche in concreto detto profilo di colpa; in conclusione, se la carriera professionale e le conoscenze, capacità e competenze del proprietario del terreno nel loro insieme, costituiscono un buon fondamento teorico di un’ipotesi di sua responsabilità colposa per il deposito di rifiuti che si è verificato nel suo terreno, è comunque necessario e imprescindibile che essa venga dimostrata dall’amministrazione in sede di motivazione del provvedimento impugnato.



Il TAR Brescia precisa che la valutazione di compatibilità ambientale che sta alla base dell’intero procedimento di autorizzazione di una discarica di rifiuti definisce i limiti e i parametri tecnici nel rispetto dei quali l’impianto viene ritenuto idoneo a non arrecare danno all’ambiente circostante; tra questi, assumono un rilievo prioritario quelli afferenti alla capacità produttiva dell’impianto, intesa come capacità volumetrica dell’invaso destinato ad ospitare i rifiuti, e all’altezza massima raggiungibile dal corpo rifiuti in vista della successiva rinaturalizzazione del sito alla chiusura dell’impianto. Tali parametri sono fissati in termini numerici, dal momento che deve trattarsi di soglie certe, non opinabili né rimesse a future quantificazioni; e ciò sia al fine di consentire i periodici controlli sulla corretta gestione dell’impianto da parte degli enti competenti, sia al fine di stabilire quando l’impianto abbia raggiunto la quantità massima di conferimenti ritenuti compatibili con l’ambiente e con lo specifico contesto territoriale in cui l’impianto è inserito.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 326 del 11 aprile 2023


Il TAR Milano precisa che rientrano nella nozione di “rifiuti di estrazione”, come tali esclusi dall’applicazione delle ordinarie norme sui rifiuti, esclusivamente i materiali che, oltre ad essere derivati dallo sfruttamento delle cave, restino altresì entro il ciclo produttivo dell'estrazione e connessa pulitura.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 329 in data 8 febbraio 2023.


Il TAR Brescia esamina una controversia che verte essenzialmente sulla possibilità per l’amministrazione regionale di autorizzare l’attività della ricorrente, nonostante i materiali prodotti, asseritamente qualificati come end of waste, non siano contemplati in nessuno specifico regolamento ministeriale.
La Regione Lombardia aveva archiviato l’istanza con provvedimento emanato il 15 ottobre 2019.
Il TAR Brescia osserva che la Regione Lombardia si è illegittimamente rifiutata di esercitare il potere-dovere di cui già disponeva ai sensi dell’art. 184 ter d.lgs. n. 152/2006, nel testo all’epoca vigente; rifacendosi a un’interpretazione giurisprudenziale della normativa previgente, e quindi ormai inattuale, si è limitata ad archiviare l’istanza, senza assumersi la responsabilità di esaminarne il merito, in attesa di regole ulteriori ministeriali non necessarie.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 390 del 2 maggio 2023.


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2021 ha mutato prospettiva in merito alla responsabilità della Curatela fallimentare statuendo che il presupposto per la sua responsabilità non sia più costituito dalla “detenzione dei rifiuti”, ma unicamente dalla “detenzione dell’area” su cui i rifiuti insistono e che tale particolare rapporto di disponibilità del sito non sussiste se la Curatela non ha inserito l’area in questione nell’inventario dei beni del fallito ai sensi degli artt. 87 e seguenti della Legge Fallimentare, applica alla fattispecie in esame i suddetti principi, traendo le seguenti conclusioni:
<<- la ricorrente Curatela non può essere ritenuta responsabile dell’abbandono dei rifiuti né come successore del fallito (giacché essa non è qualificabile in tali termini), né come co-autore o agevolatore dell’abbandono dei rifiuti perché i cumuli sono stati prodotti unicamente dal fallito prima della dichiarazione del Fallimento e la Curatela non ha continuato l’esercizio dell’impresa fallita;
- la Curatela non può neppure essere ritenuta responsabile della rimozione dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del D.lgs n. 152/06 perché essa non ha mai acquisito la “detenzione” dell’area su cui sono situati tali rifiuti perché detta area (peraltro neppure di proprietà del fallito) al momento della dichiarazione di fallimento non è stata inserita nell’inventario dei beni dell’impresa fallita ai sensi degli articoli 87 e seguenti della Legge Fallimentare e la mancanza di “detenzione” dell’area su cui insistono i rifiuti, comporta l’estraneità della Curatela agli obblighi di smaltimento dei rifiuti medesimi perché abbandonati da altri e situati su un’area detenuta da terzi.>>
TAR Lombardia, Milano, IV, n. 733 del 24 marzo 2023


Il TAR Brescia, con riferimento alla nozione di sottoprodotto, precisa che:
<<la qualificazione di un materiale come sottoprodotto non attiene alle caratteristiche intrinseche di quel materiale, ma al soddisfacimento di una serie di condizioni giuridiche. Uno stesso materiale può costituire rifiuto o sottoprodotto a seconda che siano o meno soddisfatte le condizioni stabilite dall’articolo 184 bis D.L.gs. n. 152/2006.
Nello specifico, è necessario al contempo:
a) che il materiale in questione origini da un processo di produzione, di cui costituisca parte integrante, ancorché lo scopo primario del processo produttivo non sia la produzione di tale materiale;
b) che sia certo che detto materiale sia utilizzato nel corso del medesimo processo produttivo o in altro processo produttivo, da parte del produttore o di un terzo;
c) che tale materiale possa essere utilizzato direttamente, senza necessità di alcun trattamento che in qualche modo lo modifichi;
d) che l’utilizzo di detto materiale sia legale e non abbia impatti negativi sull’ambiente o sulla salute umana.>>
TAR Lombardia, Brescia, I, n. 211 del 8 marzo 2023


Il TAR Milano, con riferimento alla nozione di rifiuto riferita a dei cumuli di materiale inerte frantumato da demolizione, osserva che:
<<viene in rilievo l’art. 183, comma 1, lett. a), dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che come tale deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi. La giurisprudenza ha chiarito che la definizione fornita da tale norma si basa sul dato funzionale, con la conseguenza che, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, non occorre individuarne gli elementi intrinseci che ne determinano la qualificazione, ma occorre piuttosto far riferimento appunto alla sua funzione, essendo rifiuto tutto ciò da cui il detentore non tragga alcuna utilità e di cui, quindi, si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo (cfr. Cass. Penale, Sez. III, 20 gennaio 2015, n. 29069; id, 23 aprile 2008, n. 22245). La Corte di Giustizia UE ha poi precisato che l’espressione “disfarsi” (utilizzata anche nella definizione di “rifiuto” fornita dalla direttiva 2006/12/CE) deve essere intesa in senso non restrittivo dovendosi tener conto dell’obiettivo di tale direttiva che, ai sensi del suo considerando 2, consiste nella tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. I, 12 dicembre 2013, cause riunite C‑241/12 e C‑242/12, par 38).
Si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che un bene o una sostanza (soprattutto se privi di apprezzabile valore economico) debbano essere considerati rifiuto non solo quando questi vengano abbandonati dal detentore, ma anche quando questi li depositi nell’ambiente assegnando ad essi una funzione che non è loro propria senza ricavarne alcuna apprezzabile utilità all’evidente fine quindi di sottrarsi dall’obbligo di recupero o smaltimento.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 477 del 23 febbraio 2023.


Il TAR Milano osserva che:
<<Come noto, l’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, dopo aver disposto al primo comma il divieto di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, stabilisce, al terzo comma, che, qualora tale divieto sia stato infranto, il sindaco ordina all’autore della violazione, <<…in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa>>, di procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti stessi ed al ripristino dello stato dei luoghi.
Come è agevole rilevare, in base a questa norma, il proprietario non autore materiale dell’abbandono dei rifiuti non può essere chiamato ad intervenire per il solo fatto di essere proprietario, essendo a tal fine necessario che egli abbia concorso nella violazione a titolo di dolo o colpa, e che quindi abbia consapevolmente tollerato la condotta illecita posta in essere da altri oppure l’abbia ignorata per negligenza, omettendo di effettuare i doverosi controlli sul bene di sua proprietà.
Per ciò che concerne in particolare la posizione del proprietario di un bene immobile concesso in locazione a terzi, la giurisprudenza, valorizzando la funzione sociale della proprietà al fine di contrastare il fenomeno dell'abbandono incontrollato dei rifiuti, ha ampliato il contenuto del dovere di diligenza esigibile dal proprietario stesso, arrivando a configurare una responsabilità di tipo colposo omissivo quando vi sia trascuratezza o incuria nella gestione del bene, e ciò anche con specifico riguardo alla condotta di abbandono materialmente eseguita dal conduttore (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 27 settembre 2016, n. 1074; Tar Piemonte, Sez. I, 15 luglio 2016, n. 994; Consiglio di Stato, Sez. V, 11 gennaio 2016, n. 58; Tar Campania, Napoli, Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1692).
Tuttavia, costituisce requisito indefettibile per poter configurare una tale responsabilità la dimostrazione, anche mediante elementi logici meramente presuntivi, purché precisi e concordanti, della consapevolezza del proprietario dello svolgimento dell'attività di illecito abbandono dei rifiuti da parte del conduttore o perlomeno la sussistenza di un suo comportamento negligente di disinteresse riguardo al proprio bene>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 302 del 3 febbraio 2023.


Il TAR Brescia precisa che non si deve confondere il produttore di rifiuti con il produttore di terre e rocce da scavo, ovvero di un sottoprodotto che rifiuto non è (cfr. art. 2 del d.P.R. 120/2017 cit.); se, poi, il materiale scavato contiene rifiuti (nella fattispecie amianto), oltre a terre e rocce, ed è perciò complessivamente rifiuto, il soggetto non è più realizzatore di un sottoprodotto, ma non diviene per questo transitivamente produttore di rifiuti: è soltanto il soggetto che li ha portati alla luce, perché l’amianto celato nel terreno non si trasforma in un rifiuto solo quando diventa visibile.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 70 del 24 gennaio 2023.