Il TAR Milano precisa che i principi guida per la redazione della pianificazione estrattiva, tra cui in primis quello del contenimento del consumo di suolo, non integrano dei vincoli specificamente cogenti per le singole disposizioni pianificatorie, o per ciascuno dei siti da queste interessati; tali principi devono infatti caratterizzare il piano complessivamente considerato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2043 del 16 agosto 2023.


Il TAR Milano precisa che rientrano nella nozione di “rifiuti di estrazione”, come tali esclusi dall’applicazione delle ordinarie norme sui rifiuti, esclusivamente i materiali che, oltre ad essere derivati dallo sfruttamento delle cave, restino altresì entro il ciclo produttivo dell'estrazione e connessa pulitura.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 329 in data 8 febbraio 2023.


Il TAR Milano precisa che la successione prevista dalla normativa civilistica nell’obbligo sorto a seguito della stipula di una convenzione collegata a un provvedimento di autorizzazione allo svolgimento di attività estrattiva opera anche in assenza di voltura dell’autorizzazione.
Il successore a titolo particolare o a titolo universale del soggetto che (avendo esercitato attività di coltivazione di una cava) si era obbligato al ripristino ambientale è, pertanto, tenuto ad adempire a tale obbligo e ciò anche nel caso in cui egli non abbia chiesto od ottenuto la voltura dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’attività estrattiva.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 495 del 27 febbraio 2023.


Secondo il TAR Brescia, l’attività estrattiva non è un’attività economica liberamente esercitabile (cfr., C.d.S., Sez. V, n. 6383/2012, a mente della quale «l’attività estrattiva di cava, pur non essendo assoggettata al previo rilascio del permesso di costruire, coinvolge interessi super individuali e valori costituzionali (ambiente, paesaggio, territorio, salute, iniziativa economica), incidendo sul governo del territorio sia per il suo rilevante impatto ambientale che per le esigenze economiche proprie dell’impresa esercente connesse allo sfruttamento delle sempre più scarse risorse naturali disponibili, con la conseguenza che, al pari dell’attività edilizia, non è mai completamente libera ma deve inserirsi in un contesto di interventi pianificati»), ma è soggetta a limitazioni funzionali – tra l’altro - a preservare una risorsa non rinnovabile. Il potere di pianificazione in tutti gli ambiti in cui viene esercitato (si pensi, per fare un parallelo, alla pianificazione urbanistica) crea per definizione delle differenziazioni, che non sono di per sé illegittime, se corrispondono alla logica di fondo che sta alla base delle scelte fatte dal Pianificatore.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 72 del 25 gennaio 2023.


Il TAR Milano approfondisce i rapporti tra il provvedimento di approvazione del progetto di gestione produttiva di una cava, il provvedimento concernente la VIA e l’autorizzazione paesaggistica nella disciplina precedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 104 del 2017 al c.d. codice dell’ambiente (d.lgs. n. 152 del 2016) e precisa che l’approvazione da parte della provincia del progetto di gestione produttiva della cava non sostituisce l’autorizzazione paesaggistica né impedisce all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico di esprimersi negativamente una volta che l’autorizzazione venga richiesta, posto che l’interesse paesaggistico non viene preso in specifica considerazione in sede di approvazione del progetto di gestione produttiva della cava.
Aggiunge il TAR che analogo discorso può essere svolto con riferimento ai rapporti fra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione paesaggistica; a questo proposito osserva il TAR che, in base all’art. 4, quarto comma, lett. b), del d.lgs. n. 152 del 2006, la valutazione ambientale dei progetti ha la finalità di proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto risorse essenziali per la vita; si tratta pertanto di finalità del tutto diversa rispetto a quella perseguita dall’autorizzazione paesaggistica il cui specifico scopo è assicurare che l’attività svolta sul bene sottoposto a vincolo non incida sul valore paesaggistico che quest’ultimo esprime.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 820 del 12 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano è illegittima l’approvazione dell'aggiornamento e revisione del piano cave ove la deliberazione di adozione del piano non sia stata pubblicata sul sito dell’ente e sulla stampa, ai sensi dell’art. 7, comma 3, della l.r. n. 14/1998.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1377 del 31 maggio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ritiene legittima una prescrizione contenuta in un’autorizzazione alla escavazione con la quale si è imposta la realizzazione di una pavimentazione di tipo fonoassorbente e la relativa manutenzione per il tragitto stradale percorso dai mezzi per l’accedere alla cava, con riferimento all’impatto relativo alla consunzione del manto stradale e all’impatto della variazione del clima acustico lungo la viabilità di accesso alla cava.
Precisa al riguardo il TAR che l’attività di escavazione produce un aggravamento dell’impatto ambientale negativo – e dei connessi oneri anche in termini di costi di manutenzione – su tutte le variabili (e quindi anche sulle strutture viarie esistenti) su cui va ad incidere; né esistono nell’ordinamento nazionale e in quello comunitario norme o principi che limitino in astratto l’imposizione di oneri sul privato che voglia esercitare un’attività imprenditoriale che incida sul bene ambiente e che debba essere contemperata con la tutela dei connessi interessi pubblici sensibili (e che quindi, come tale, sia altresì oggetto di preveniva autorizzazione); nel caso di specie, poi, le esigenze di tutela ambientale (che trovano diretta e indiretta copertura costituzionale negli artt. 9 e 32 della Carta costituzionale, oltre che nel richiamo ai limiti di utilità sociale della proprietà e dell’impresa privata) sono sussistenti nel massimo grado, in ordine ad una attività che ha un forte impatto sugli ecosistemi limitrofi e sulla vita quotidiana dei residenti, e che, in quanto tale, è interessata da tutta una serie di valutazioni e precauzioni di ordine pubblico; si può in definitiva sostenere che la prestazione di facere imposta dalla P.A. trae diretta origine (e ragionevole motivazione) dal progetto presentato dall’operatore economico interessato e non mero pretesto in esso, al fine di traslare su un soggetto privato (come tale non tenuto) oneri di natura esclusivamente pubblica, senza una precisa disposizione di legge che ciò consenta.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2307 del 1 dicembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



La Corte Costituzionale, dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni legislative della Regione Liguria in materia paesaggistica, precisa che:
  • un vincolo di mero raccordo del piano regionale delle attività estrattive al piano territoriale di coordinamento paesistico comporta una significativa alterazione del principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico, sancito dall'art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio; 
  • non può ritenersi ammissibile che una disposizione di legge regionale limiti o alteri, in qualsivoglia forma, il principio di gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, che va considerato valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale; 
  • l’esclusione del rapporto ambientale dalla fase di adozione del progetto di piano regionale delle attività estrattive integra una violazione della prescrizione contenuta nella seconda parte del comma 3 dell’art. 13 del d.lgs. n. 152 del 2006;
  • la legislazione regionale non può prevedere «margini di flessibilità» della autorizzazione paesaggistica per l’esecuzione e l’autorizzazione all'esercizio dell’attività estrattiva; l’espressione «margini di flessibilità» non risulta contemplata dalla normativa statale e il rapporto di necessaria presupposizione, stabilito dall'art. 146, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, tra l’autorizzazione paesistica e l’autorizzazione all'esercizio dell’attività estrattiva, impone che quest’ultima non possa avere dei contenuti, come i detti «margini di flessibilità», che non risultino già previsti e disciplinati nell'autorizzazione paesistica, non essendo consentito al legislatore regionale di introdurre, ex novo, categorie concettuali ed istituti idonei, per la loro indeterminatezza, a cagionare l’elusione dei precetti statali; 
  • la regolamentazione del riempimento delle cave mediante rifiuti da estrazione spetta, in via esclusiva, alla Stato e non è consentito alle Regioni di introdurre norme che deroghino, in senso peggiorativo, rispetto alla disciplina statale, in particolare, permettendo di effettuare negli impianti a servizio dell’attività di cava il recupero e la lavorazione di materiali di provenienza esterna, senza richiamare, in modo analitico, le condizioni poste in materia dalla disciplina statale, e subordinandole a semplice SCIA, senza stabilire che questa debba essere successiva e condizionata al rilascio delle autorizzazioni ambientali; 
  • la previsione normativa secondo la quale le modifiche al piano regionale delle attività estrattive non comportanti variante al piano territoriale di coordinamento paesistico o modifica alla tipologia di cava sono approvate dalla Giunta regionale previo parere dei comuni, della Città metropolitana e delle province territorialmente interessati, non prevedendo alcuna partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti da essa disciplinati, si pone in contrasto con la previsione dell’art. 145, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, che stabilisce, invece, che la regione disciplina il procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo; 
  • la previsione che consente alla Regione di rilasciare autorizzazioni aventi ad oggetto un incremento sino a una determinata percentuale della superficie dell’areale di cava e/o la modifica della tipologia normativa, sulla base della presunzione ex lege che tali incrementi non comportino mai variazioni al PTCP, deve costituire, per quanto concerne le zone soggette a vincolo paesaggistico sulla base di previsione di legge o di specifico provvedimento, oggetto di specifico accordo tra la Regione e il Ministero dei beni e delle attività culturali, secondo quanto previsto, in materia, dagli artt. 135, 143 e 156 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che sanciscono il principio inderogabile della pianificazione congiunta.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 210 del 16 settembre 2016 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.