Il TAR Brescia ritiene che il tempestivo inizio dei lavori in base al permesso di costruire che riguarda le opere da eseguire per prime in base al disegno di una convenzione urbanistica è utile anche per evitare la decadenza dei titoli collegati.
Osserva al riguardo che:
<<g) in primo luogo le convenzioni urbanistiche sono basate su un accordo che presuppone l’equilibrio tra l’utilità dei privati (edificazioni) e l’interesse pubblico (opere di urbanizzazione). I due elementi sono collegati fin dall’inizio, e rimangono collegati per tutta la durata del rapporto, in quanto, indipendentemente dal numero di titoli edilizi generati dalla convenzione urbanistica, l’attività edificatoria conserva carattere unitario. Una conferma si può rinvenire nell’art. 28-bis comma 4 del DPR 380/2001, che consente l’attuazione dei permessi di costruire convenzionati per stralci funzionali. In una convenzione urbanistica i singoli permessi di costruire hanno la stessa funzione degli stralci funzionali. Si può quindi ritenere che il tempestivo inizio dei lavori in base a uno dei titoli edilizi sia utile anche per evitare la decadenza dei titoli collegati;
(h) più precisamente, è utile a questo fine il permesso di costruire che riguarda le opere da eseguire per prime in base al disegno della convenzione urbanistica. Si tratta normalmente, ed è così anche nel caso in esame, delle opere di interesse pubblico, che garantiscono l’adeguato inserimento e la corretta utilizzazione delle edificazioni private. L’art. 3 comma 3 della convenzione urbanistica collega espressamente il termine di inizio lavori alle sole opere di urbanizzazione primaria, stabilendo per le stesse una corsia privilegiata rispetto alle edificazioni private. Questa soluzione è coerente con la previsione dell’art. 28-bis comma 5 del DPR 380/2001, che consente la modulazione del termine di validità del permesso di costruire convenzionato, quando sia attuato per stralci funzionali. È quindi evidente che il rispetto del termine di inizio lavori per le opere di urbanizzazione previste dalla convenzione urbanistica ha un effetto di trascinamento per il resto dell’attività edificatoria; >>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 871 del 14 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Brescia, con riferimento al rapporto tra sistemi di acquisizione regionali e nazionale precisa che:
<<sia la normativa statale che quella regionale sanciscono l’obbligo per gli enti del servizio sanitario regionale di approvvigionarsi utilizzando, in via prioritaria, le convenzioni e gli accordi quadro stipulati dalle centrali regionali di riferimento, e quindi a formulare le proprie richieste di fornitura agli appaltatori aggiudicatari delle procedure centralizzate svolte in sede regionale e ai prezzi convenzionati; peraltro, in mancanza di convenzioni regionali attive e capienti nello specifico settore di interesse, gli enti del servizio sanitario sono tenuti ad approvvigionarsi utilizzando, ove disponibili, le convenzioni e gli accordi quadro stipulati dalla centrale di committenza statale Consip s.p.a.;
...
Sulla scorta dei principi affermati da tali disposizioni normative, in giurisprudenza si è andato affermando e consolidando, negli ultimi anni, il principio della prevalenza dei sistemi di acquisizione regionali rispetto a quello nazionale e del ruolo meramente suppletivo (e cedevole) dell’intervento sostitutivo di Consip; ciò nel senso che, in via tendenziale, le gare per gli approvvigionamenti di interesse degli enti del SSN devono essere svolte dalle centrali di committenza regionali.
In via sostanzialmente suppletiva, e all’evidente fine di prevenire il rischio di possibili carenze in approvvigionamenti di estremo interesse e rilevanza, è possibile che la centrale di committenza nazionale attivi specifiche convenzioni-quadro, alle quali gli enti del servizio sanitario sono obbligati ad aderire in mancanza di convenzioni regionali disponibili nello specifico servizio o nella specifica fornitura di interesse; tale intervento suppletivo è definito “cedevole” in quanto, pur necessario nel perdurare dell’inoperatività di convenzioni e accordi quadro regionali, è destinato a perdere la sua ragion d’essere laddove la centrale regionale, ripristinando la fisiologica dinamica delineata dal legislatore, attivi i propri strumenti di acquisizione (Consiglio di Stato, sez. III, 26/02/2019, n. 1329; Consiglio di Stato , sez. V, 11/12/2017, n. 5826; T.A.R. Lazio-Roma, sez. III, 04/02/2021, n. 1457)>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 851 del 7 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Brescia:
<<il fatto che vi fosse una superfetazione che si collocava a una ridotta distanza dalla più vicina parete finestrata dei controinteressati, non dà diritto, una volta demolita tale superfetazione, alla possibilità di costruire alla stessa distanza ridotta in una diversa posizione e, dunque, in corrispondenza con una porzione dell’edificio che si collocava precedentemente a una distanza superiore. La sagoma, infatti, risulta essere completamente diversa, in questo caso e, quindi, non può operare la deroga che consente la costruzione a una distanza minore a quella minima di legge nel caso in cui essa preesistesse rispetto all’intervento di demolizione e ricostruzione>>.
TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 859 del 11 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Secondo il TAR Milano:
<<il concetto di “refuso” è quello di un mero errore materiale dovuto alla svista di un compilatore (in analogia con l’art. 1430 del codice civile sull’errore di calcolo), ma non può sostenersi che la scelta di una precisa formula matematica di attribuzione di punteggio costituisca un semplice errore materiale, come tale facilmente riconoscibile con l’ordinaria diligenza ed emendabile da chiunque (sulla rilevanza e sui limiti degli errori materiali nelle gare pubbliche si veda, fra le più recenti, TAR Lazio, Sezione II-bis, sentenza n. 9448/2021).
In conclusione, deve ribadirsi che, anche in caso di eventuali errori nella legge di gara, la commissione non ha alcun potere di modifica o di disapplicazione della stessa, dovendo semmai sospendere la procedura per porre la questione al Responsabile del Procedimento, per l’esercizio dei poteri riconosciutigli dalla legge (cfr. l’art. 31 del D.Lgs. n. 50/2016)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2205 del 11 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ritiene legittima l’ordinanza con quale un Comune ingiunge al ricorrente, acquirente di un fondo già interessato da abbandono rifiuti, nella sua qualità di obbligato in solido e proprietario dell'area, di provvedere alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti speciali, pericolosi e non, presenti presso gli immobili e le relative pertinenze ubicati presso l'area di proprietà del ricorrente, e al ripristino dello stato dei luoghi.
Osserva il TAR che il Comune ha correttamente individuato il ricorrente, acquirente di un fondo già interessato da abbandono rifiuti, quale soggetto obbligato ad eseguire l’intervento di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006 (si osserva peraltro che, nel caso concreto, l’area è stata acquistata corrispondendo un prezzo di molto inferiore al suo reale valore; ne consegue che la condotta del ricorrente deve ritenersi connotata da colpa, avendo questi perlomeno dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che al momento dell’acquisto erano su di essa presenti rifiuti abbandonati).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2191 del 8 ottobre 2021.
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Il TAR Milano aderisce alla più recente giurisprudenza secondo la quale «La presentazione di un’istanza di accertamento di conformità, quando è già stato instaurato un procedimento sanzionatorio, concretizzatosi nell’adozione di un’ingiunzione a demolire, ne comporta la perdita di efficacia solo temporaneamente, ossia per il tempo strettamente necessario alla definizione, anche solo tacita, della sanatoria. Di conseguenza, in caso di mancato accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità, il provvedimento sanzionatorio riacquista efficacia senza la necessità, per l’Amministrazione, di riadottare l’atto demolitorio […]» (Consiglio di Stato, II, 6 maggio 2021 n. 3545).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2152 del 6 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che sull’esistenza dell’unicità del centro decisionale, la giurisprudenza euro-unitaria (in particolare si veda Corte di Giustizia dell’Unione Europea-CGUE 19.5.2009 nella causa C-538/07) e nazionale hanno elaborato propri indirizzi tesi all’individuazione degli elementi per identificare tale esistenza. Fra questi, ad esempio, l’intreccio parentale tra organi rappresentativi o tra soci e direttori tecnici, la contiguità di sede ed utenze comuni, oppure le identiche modalità formali di redazione delle offerte, le strette relazioni temporali e locali nella modalità di spedizione dei plichi o le significative vicinanze cronologiche fra gli attesti SOA o tra le polizze assicurative a garanzia delle offerte (si vedano, fra le tante, Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 5778/2021, dove peraltro è specificato che l’appartenenza al medesimo gruppo societario non implica di per sé unicità del centro decisionale ed anche TAR Lazio, Roma, Sezione III, sentenza n. 4737/2021 con la giurisprudenza ivi richiamata). Si tratta di una serie di indici che, assistiti da una valutazione di gravità, precisione e concordanza, possono portare ad un giudizio di riferibilità delle offerte ad un solo centro decisionale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2156 del 6 ottobre 2021.
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Il TAR Milano richiama i principi che regolano i rapporti tra la pianificazione attuativa e la disciplina urbanistica sopravvenuta e precisa che la pianificazione attuativa:
<<nel suo periodo di validità (di regola decennale) è insensibile alle modifiche dello strumento pianificatorio generale, proprio a garanzia dell’assetto di interessi che le parti, pubblica e privata, hanno concordato in relazione all’uso di quella parte del territorio attraverso la stipula della convenzione attuativa. Difatti, tra le poche limitazioni al generale potere pianificatorio comunale – di regola, ampiamente discrezionale e molto lato nella sua estensione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 2 luglio 2021, n. 5073; 28 giugno 2021, n. 4891; II, 8 gennaio 2020, n. 153) – vi è quello del rispetto dei Piani attuativi convenzionanti e in corso di validità [Consiglio di Stato, IV, 31 dicembre 2019, n. 8916; per T.A.R. Lombardia, Milano, II, 23 dicembre 2019, n. 2734, “sussiste un onere di più dettagliata motivazione delle scelte urbanistiche per la P.A. allorquando la nuova destinazione va ad incidere su un atto pianificatorio, anche parziale, in precedenza assunto formalmente dall’Amministrazione, quale un piano di lottizzazione debitamente approvato e convenzionato (sui casi di rafforzamento dell’onere motivazionale dei piani urbanistici, cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 22 dicembre 1999, n. 24; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 30 settembre 2016, n. 1766; altresì, 24 gennaio 2017, n. 160)”]. Ne discende che una disciplina urbanistica sopravvenuta non può essere applicata ad un Piano attuativo il cui presupposto debba essere rinvenuto in un Piano previgente, pena lo stravolgimento dell’assetto urbanistico di un determinato ambito, che poi a cascata provocherà effetti negativi su tutta la restante parte del territorio comunale>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2115 del 4 ottobre 2021.
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Il TAR Milano, con riferimento al principio di unicità dell’offerta, osserva che:
<<In ordine all’offerta plurima, l’articolo 32, comma 4, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, prevede che “ciascun concorrente non può presentare più di un’offerta”. Il principio di unicità dell’offerta, che impone agli operatori economici di presentare una sola proposta tecnica e una sola proposta economica, al fine di conferire all’offerta un contenuto certo ed univoco, è posto a presidio – da un lato – del buon andamento, dell’economicità e della certezza dell’azione amministrativa, per evitare che la stazione appaltante, come avvenuto nel caso di specie, sia costretta a valutare plurime offerte provenienti dal medesimo operatore economico, tra loro incompatibili, e che perciò venga ostacolata nell’attività di individuazione della migliore offerta, e – dall’altro – a tutela della par condicio dei concorrenti, poiché la pluralità delle proposte attribuirebbe all’operatore economico maggiori possibilità di ottenere l’aggiudicazione o comunque di ridurre il rischio di vedersi collocato in posizione deteriore, a scapito dei concorrenti fedeli che hanno presentato una sola e univoca proposta corrispondente alla prestazione oggetto dell’appalto, alla quale affidare la loro unica ed esclusiva chance di aggiudicazione. La presentazione di un’unica offerta capace di conseguire l'aggiudicazione, infatti, è il frutto di un’attività di elaborazione nella quale ogni impresa affronta il rischio di una scelta di ordine tecnico, che la stazione appaltante rimette alle imprese del settore, ma che comporta una obiettiva limitazione delle possibilità di vittoria (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 14 settembre 2010, n. 6695; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 25 maggio 2020, n. 928; id., 30 marzo 2021, n. 837; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 11 febbraio 2019, n. 193).
Alla luce di quanto sopra, dunque, la possibilità di presentare una pluralità di offerte o offerte alternative, comportando l’opportunità di sfruttare una pluralità di opzioni, non potrebbe mai essere accordata o riservata ad una sola impresa concorrente, ma dovrebbe comunque essere garantita a tutte le partecipanti in nome della par condicio e, pertanto, prevista e regolata nella lex specialis (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, n. 928/2020 cit.)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2116 del 4 ottobre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano ritiene illegittimo un diniego di sanatoria che ha introdotto nuove ragioni di diniego rispetto ai motivi contenuti nel preavviso di diniego e, quindi, senza che di tali motivi ostativi sia stato reso edotto il destinatario del provvedimento, in violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990; la norma è infatti finalizzata a una partecipazione piena e collaborativa del privato al procedimento, esigenza che nel caso di specie è stata frustrata, non consentendo al proprietario del bene di interloquire sull’effettivo utilizzo del medesimo (sull’applicabilità dell’istituto del preavviso di rigetto anche ai procedimenti di sanatoria e condono, vedi T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 dicembre 2019, n. 2566).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2089 del 29 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano precisa che sebbene l’accesso all’informazione ambientale possa essere esercitato da chiunque, senza la necessità di dimostrare uno specifico interesse, dalla normativa di settore esaminata si ricava che la sottostante richiesta deve indicare le matrici ambientali potenzialmente compromesse e fornire una ragionevole prospettazione di tali effetti negativi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2017 del 24 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano affronta la questione riguardante la legittimità di un mutamento di destinazione d’uso da industriale a residenziale avvenuto nella vigenza di uno strumento pianificatorio che permetteva unicamente insediamenti produttivi e osserva quanto segue:
<< … il mutamento di destinazione d’uso, ancorché senza opere o “funzionale” … non risulta un’attività neutra da un punto di vista urbanistico ed edilizio, poiché modifica i parametri edilizi dell’immobile, comportando una modifica (nel caso di specie, un aggravio) del carico urbanistico, con la necessità del previo ottenimento di un idoneo titolo abilitativo.
Difatti, laddove il cambio di categoria edilizia determina un ulteriore carico urbanistico, è irrilevante verificare se tale modifica sia avvenuta con l’effettuazione di opere edilizie (T.A.R. Salerno, Sez. II, 8 marzo 2013, n. 580).
Come chiarito da consolidata giurisprudenza, l’art. 32, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, qualifica come “variazione essenziale” – sanzionata ai sensi del precedente art. 31 con l’obbligo di demolizione e riduzione in pristino – il mutamento di destinazione d’uso che implichi una variazione degli standard previsti dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (T.A.R. Milano, Sez. II, 4 luglio 2019, n. 1529; Id., 27 luglio 2012, n. 2146; T.A.R. Aosta, 16 novembre 2016, n. 55; T.A.R. Venezia, Sez. II, 21 agosto 2013, n. 1078). Segnatamente, «il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale, comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, anche se nell’ambito di zone territoriali omogenee, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti» (T.A.R. Milano, Sez. II, 9 marzo 2021, n. 619; cfr. altresì Cons. Stato, Sez. VI, 12 dicembre 2019, n. 8454; Id., 18 luglio 2019, n. 5041; Id., 20 novembre 2018, n. 6562). Inoltre, «il cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere» (Cons. Stato, Sez. II, 31 agosto 2020, n. 5300; Id., Sez. VI, 20 novembre 2018, n. 6562).
6.3. Tale conclusione non è messa in discussione dal disposto di cui all’artt. 53, comma 2, della l.r. Lombardia n. 12/2005 che, a fronte di un mutamento di destinazione d’uso senza opere, sembrerebbe stabilire l’applicazione di sanzioni esclusivamente pecuniarie in luogo di sanzioni reali.
Le norme regionali, infatti, devono essere interpretate alla luce dei principi contenuti nella legge statale e, in particolare, dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, che, configurando come variazione essenziale il mutamento di destinazione d’uso che importa una variazione degli standard urbanistici, lo rende inevitabilmente assoggettato alla misura ripristinatoria di cui al precedente art. 31.
A conferma di tale impostazione interpretativa, va poi menzionato l’art. 23-ter del d.p.r. n. 380/2001, il quale ribadisce la rilevanza urbanistica della variazione della destinazione d’uso che determini il passaggio tra categorie funzionali autonome, imponendo alle regioni di adeguare la propria legislazione al suddetto principio. Quest’ultima norma, benché introdotta - con il d.l. n. 133/2014 - dopo l’adozione del provvedimento quivi in contestazione, è confermativa di un assetto giurisprudenziale già consolidato e ha portata chiarificatrice di quanto già ricavabile dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, giacché il passaggio tra categorie funzionali autonome impatta sugli standard urbanistici e, pertanto, non è sanzionabile esclusivamente in via pecuniaria.
Così coordinata la disciplina regionale con quella statale (di diretta applicazione), si deve dunque ritenere ... che il cambio di destinazione d’uso in questione non sia punibile con la mera sanzione pecuniaria, bensì con quella ripristinatoria. Residua perciò uno spazio di applicazione dell’art. 53, comma 2, della l.r. n. 12/2005 per quelle fattispecie – diverse dalla presente – in cui il mutamento di destinazione d’uso, pur difforme dalle previsioni urbanistiche comunali, avvenga all’interno della medesima categoria funzionale (T.A.R. Milano, Sez. II, 26 aprile 2021, n. 1040; Id., Sez. II, 1 luglio 2020, n. 1267; Id., 1 settembre 2020, n. 1631)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2094 del 29 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano, con riferimento ai requisiti minimi delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis della gara, osserva che:
<< come è noto, le caratteristiche essenziali e indefettibili - ossia i requisiti minimi - delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis della gara costituiscono una condizione di partecipazione alla procedura selettiva, perché non è ammissibile che il contratto venga aggiudicato a un concorrente che non garantisca il minimo prestabilito che vale a individuare l’essenza stessa della res richiesta, e non depone in senso contrario la circostanza che la lex specialis non disponga espressamente la sanzione espulsiva per l’offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle pretese, risolvendosi tale difformità in un aliud pro alio che comporta, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di un’apposita comminatoria in tal senso (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 25 luglio 2019 n. 5260). Nondimeno, come è stato precisato (v. Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2020 n. 3084), questo rigido automatismo opera nel solo caso in cui le specifiche tecniche previste nella legge di gara consentano di ricostruire con esattezza il prodotto richiesto dall’Amministrazione e di fissare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come obbligatorie, sicché il principio della esclusione dell’offerta per difformità dai requisiti minimi, anche in assenza di espressa comminatoria di estromissione dalla procedura selettiva, non può che valere nei casi in cui la disciplina di gara prevede qualità del prodotto che con assoluta certezza si qualifichino come caratteristiche minime, vuoi perché espressamente definite come tali nella disciplina stessa, vuoi perché la descrizione che se ne fa nella disciplina di gara è tale da farle emergere come qualità essenziali della prestazione richiesta, mentre - ove questa certezza non vi sia e sussista al contrario un margine di ambiguità circa l’effettiva portata delle clausole del bando - riprende vigore il principio residuale che impone di preferire l’interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell’interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività delle cause di esclusione. Del resto, come ripetutamente rilevato (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 7 agosto 2018 n. 4849), l’interpretazione degli atti amministrativi, ivi compresi i bandi di gara, soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e segg. cod.civ. per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, perché gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla pubblica Amministrazione di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative; sì che la dovuta prevalenza da attribuire alle espressioni letterali, se chiare, contenute nel bando esclude ogni ulteriore procedimento ermeneutico per rintracciare pretesi significati ulteriori e preclude ogni estensione analogica intesa ad evidenziare significati inespressi e impliciti, che rischierebbe di vulnerare l’affidamento dei partecipanti e la par condicio dei concorrenti>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2062 del 27 settembre 2021.
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Il TAR Milano, in ordine alla possibilità che la mancanza della procura speciale possa essere sanata, osserva che:
<<7) Ai sensi dell’art. 40 c.p.a.: «1. Il ricorso deve contenere distintamente: ... g) la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale» (così, il comma 1, citato).
La “procura speciale” deve indicare l’oggetto del ricorso, le parti contendenti, l’autorità davanti alla quale il ricorso deve essere proposto ed ogni altro elemento utile alla individuazione della controversia (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 5723).
L’indicazione della procura speciale, inoltre, secondo la giurisprudenza amministrativa «è elemento essenziale del ricorso (arg. ex Cons. Stato, sez. III, 20 maggio 2014, n. 2603), la cui mancanza conduce all'inammissibilità dell'impugnazione (arg. ex Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2006, n. 4868)» (così, C.G.A.R.S., Sent. 14.12.2018, n. 1006).
Tale orientamento è stato recentemente ribadito sia dallo stesso C.G.A.R.S. (cfr. l’Adunanza delle sezioni riunite del 15.12.2020, n. 20/21, spedizione del 5/01/2021) che dal Consiglio di Stato, il quale ha anche escluso la possibilità che la mancanza della procura speciale possa essere sanata, affermando, fra l’altro, che:
- «la vigente disciplina, esigendo che il ricorso sottoscritto dal solo difensore indichi l'esistenza della procura speciale, palesa che essa deve esistere prima del ricorso stesso, così contraddicendo l'idea che la medesima possa essere rilasciata in un momento successivo (salvo il caso di sostituzione dell'originario difensore); - la previsione a pena di inammissibilità ricollegata alla proposizione del ricorso, d'altro canto, comportando che il relativo requisito debba sussistere al momento di detta proposizione, impedisce la configurabilità del potere di rinnovazione, che in generale concerne la categoria delle nullità sanabili e non quella distinta delle inammissibilità (C.d.S., Sez. V, 22 settembre 2015, n. 4424; Cass. civ., Sez. III, 19 gennaio 2018, n. 1255; Sez. un., 13 giugno 2014, n. 13431; Sez. II, 11 giugno 2012, n. 9464; C.d.S., Sez. VI, 7 maggio 2019, n. 2922); - il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva, salvi i diritti dei terzi, non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall'art. 125 c.p.c., il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l'atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, come nel caso del ricorso per cassazione, restando conseguentemente esclusa, in tale ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 22 settembre 2015, n. 4424, e Cassazione civile, sez. III, 20 aprile 2020, n. 7965);(…)» (così, da ultimo, Cons. Stato, V, 15.03.2021, sentenze nn. da 2160 a 2166)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2022 del 24 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Si pubblicano le diapositive utilizzate dagli avv.ti Stefano Calvetti e Giuseppe Rusconi nell'evento formativo “Gli interventi normativi in tema di contratti di appalti pubblici: a che punto siamo?” tenutosi il 24 settembre 2021.

Diapositive avv. Giuseppe Rusconi

Diapositive 1 avv. Stefano Calvetti

Diapositive 2 avv. Stefano Calvetti

Diapositive 3 avv. Stefano Calvetti



Il TAR Brescia, con riferimento alla presunzione di demanialità di un'area quale pertinenza stradale, richiama e fa proprio il principio secondo il quale la presunzione di demanialità stabilita dall’art. 22 L. n. 2248 del 1865, all. F, non si riferisce ad ogni area comunicante con la strada pubblica, ma solo a quelle che, per l’immediata accessibilità, appaiono integranti della funzione viaria della rete stradale, così da costituire pertinenza della strada (C.d.S., Sez. V, n. 5385/2017 e Cass., Sez. VI, n. 7242/20147).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 798 del 13 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano, in materia di accesso agli atti, rammenta che:
<<secondo un pacifico indirizzo giurisprudenziale, «(…) l'istanza di accesso a documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un'attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta e che, inoltre, l'ostensione degli atti non può costituire uno strumento di controllo generalizzato sull'operato della pubblica amministrazione nei cui confronti l'accesso viene esercitato, con la conseguenza che l'onere della prova anche dell'esistenza dei documenti, rispetto ai quali si esercita il diritto di accesso, incombe sulla parte che agisce in giudizio, tuttavia una volta indicati puntualmente per categoria i documenti rispetto ai quali è formulata la domanda ostensiva e aver dimostrato che detti documenti, in virtù di obiettive ragioni collegate alle competenze dell’amministrazione, costituiscono ordinariamente patrimonio dell’archivio dell’ente (anche con riferimento ad uno specifico procedimento), l’onere della prova può dirsi assolto dalla parte interessato, incombendo in capo all’amministrazione il dovere (in ragione del principio di leale collaborazione tra l’amministrazione e il privato ora scolpito nell’art. 1, comma 2-bis, l. 241/1990, evidente precipitato del principio costituzionale di cui all’art. 97 Cost.) di assumersi la responsabilità di dichiarare la mancata detenzione o custodia dei documenti richiesti (onde evitare che la richiesta di accesso sia formulata inutilmente e “al buio” da parte dell’accedente, non potendo quest’ultimo, per espresso divieto recato dall’art. 24, comma 3, l. 241/1990, formulare una richiesta meramente perlustrativa e di controllo)»; così Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 2005/2021>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2016 del 24 settembre 2021.
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Il TAR Milano precisa che, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. – applicabile al processo amministrativo in base al rinvio esterno di cui all’art. 39 del cod. proc. amm. (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, II, 26 aprile 2021, n. 3342; V, 17 luglio 2017, n. 3505; IV, 15 settembre 2014, n. 4679) – la successione particolare nel diritto controverso per atto tra vivi determina il proseguimento del processo tra le parti originarie e consente al successore a titolo particolare di intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, il dante causa alienante può esserne estromesso.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2000 del 15 settembre 2021.
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Il TAR Milano, in materia di onere probatorio, osserva che:
<<nel giudizio risarcitorio o reintegratorio, in senso lato, che si svolge davanti al giudice amministrativo, nel rispetto del principio generale sancito dal combinato disposto degli artt. 2697 cod. civ. e 63, comma 1, e 64, comma 1, cod. proc. amm., non può avere ingresso il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio; pertanto, spetta a colui che chiede la reintegrazione della propria posizione giuridica lesa fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda. A fronte di pretese di natura patrimoniale non è possibile invocare il c.d. principio acquisitivo in quanto in tal modo viene surrogato l’onere di allegazione dei fatti, né può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno a norma dell’art. 1226 cod. civ., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (cfr. Consiglio di Stato, II, 1° settembre 2021, n. 6169; 25 maggio 2020, n. 3269; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 5 marzo 2020, n. 440). Difatti, la consulenza tecnica d’ufficio (o la verificazione) verrebbe inammissibilmente impiegata per l’accertamento di fatti che la parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare in giudizio, rientrando tale incombenza nella piena ed esclusiva disponibilità della stessa (cfr. Consiglio di Stato, VI, 2 aprile 2021, n. 2734)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2000 del 15 settembre 2021.
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Il TAR Brescia, a fronte di un provvedimento comunale che differisce l’inizio dei lavori di posizionamento di una stazione radio base in modo da adeguare le previsioni progettuali alle prescrizioni ritenute necessarie a giudizio della Commissione del Paesaggio, osserva che:
<<Come chiarito nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 14 febbraio 2014, n. 723, “la materia dello sviluppo delle comunicazioni elettroniche forma oggetto di dettagliata disciplina in ambito comunitario, secondo principi di semplificazione, celerità e trasparenza, ora codificati dal legislatore nel d. lgs. 259/2003, sicché ogni normativa, nazionale o regionale, che aggravi ingiustificatamente il procedimento di rilascio del titolo autorizzatorio, al di là dei requisiti e dei limiti previsti in via esclusiva dal Codice delle comunicazioni elettroniche, deve essere disapplicata, in forza di quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 170/1984, in quanto contrastante con i fondamentali principi del diritto europeo in subiecta materia e ora recepiti, quale fonte primaria e pressoché esclusiva, appunto dal d. lgs. 259/2003”.
Quindi, si legge nella sentenza del TAR del Lazio Roma, Sez. II-quater, 8 luglio 2020, n. 7857, “la stessa Corte Costituzionale ha affermato, che le esigenze di celerità e la conseguente riduzione dei termini per l'autorizzazione all'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica costituiscono, per finalità di tutela di istanze unitarie, "principi fondamentali" operanti nelle materie di competenza ripartita ("ordinamento della comunicazione", "governo del territorio", "tutela della salute": sentenza n. 336 del 2005), che, unitamente ad altri ambiti materiali di esclusiva spettanza statale, rappresentano i titoli di legittimazione ad intervenire nel settore in esame”.
Pertanto, la giurisprudenza ha precisato che “per opinione consolidata in tale ipotesi l'Amministrazione non può esigere documenti diversi da quelli di cui all'allegato 13, modello B, del D.lgs. n. 259/2003 attese le finalità acceleratorie e semplificatorie del procedimento di cui agli artt. 87 e 87 bis D.lgs. n. 259/2003; tale modello corrisponde all'esigenza di far confluire in un procedimento unitario le valutazioni sia radioprotezionistiche che di compatibilità urbanistica ed edilizia dell'intervento, anche al fine di riduzione dei tempi per la conclusione dei procedimenti amministrativi; tale istanza non può dunque essere oggetto di aggravamento procedimentale da parte del Comune, tramite richiesta di ulteriore documentazione non prevista dalla normativa” (Tar Napoli, n. 2542/17; nello stesso senso, Tar L’Aquila n. 713 del 2016; Tar Napoli, n. 2077 del 2019)>>.
Il TAR Brescia ritiene quindi illegittimo il provvedimento impugnato che introduce un passaggio procedimentale non regolamentato, aggravando il procedimento e subordinando la realizzazione a possibili prescrizioni che non trovano giustificazione in assenza di una previsione normativa.


TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 687 del 26 luglio 2021.
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