Il dovere della P.A. di esaminare le memorie prodotte dall'interessato a seguito del preavviso di rigetto da essa inviato non comporta la necessità di una confutazione analitica delle allegazioni presentate dall'interessato, essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso; ciò in quanto l'onere valutativo è maggiormente penetrante con riferimento alla prospettazione da parte del privato di elementi fattuali, mentre è attenuato, se non quasi inesistente, allorché le deduzioni del privato contengano valutazioni giuridiche, nel qual caso è sufficiente che l'Amministrazione ribadisca il proprio intendimento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1664 del 15 maggio 2025


Il TAR ricorda che l’istituto del c.d. “preavviso di rigetto” ha lo scopo di far conoscere alle amministrazioni, in contraddittorio rispetto alle motivazioni da esse assunte in base agli esiti dell'istruttoria espletata, quelle ragioni, fattuali e giuridiche, dell'interessato, che potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante, appunto, dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti. Un’applicazione corretta dell’istituto in esame esige non solo che l'Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall'interessato nell'ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall'adempimento procedurale in questione. Infatti, solo il modus procedendi appena descritto fa sì che l’istituto in parola assolva la funzione di consentire un effettivo e utile confronto dialettico con l'interessato prima della formalizzazione dell'atto negativo, evitando che si traduca in un inutile e sterile adempimento formale. La partecipazione procedimentale non può essere intesa alla stregua di una garanzia meramente formale ed essere ridotta ad una scatola vuota; l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare i documenti e le memorie presentate dal privato, anche in esito al preavviso di rigetto, e deve, pertanto, darne conto nella motivazione del provvedimento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2042 del 2 luglio 2024


Il TAR Milano, con riguardo a un motivo di ricorso che censura la parziale novità delle ragioni poste a base di un provvedimento di revoca dell’autorizzazione alla posa di impianto pubblicitario, condivide la prospettazione della difesa comunale secondo la quale al cospetto dell’avvio di un procedimento in cui è stato coinvolto anche l’Ente Parco non poteva non tenersi conto nell’adozione del provvedimento finale anche delle eventuali osservazioni e documenti prodotti da quest’ultimo, con la conseguenza che risulta giustificato il disallineamento tra il contenuto dell’atto di avvio del procedimento e l’atto conclusivo, essendo onere della parte privata controdedurre in ordine al complesso degli elementi, ivi compresi quelli sopravvenuti rispetto all’atto di avvio; quindi, sulla scorta delle riferite circostanze, non si può applicare alla fattispecie oggetto di scrutinio la disciplina relativa al preavviso di rigetto nella parte in cui si esclude la possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell’atto endoprocedimentale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2209 del 6 ottobre 2023


Il TAR Milano ricorda che è stata reiteratamente affermata la non impugnabilità della comunicazione di avvio del procedimento e del c.d. preavviso di rigetto, atti che non mai possono assumere portata lesiva nei confronti delle parti private coinvolte, in quanto aventi chiara connotazione endoprocedimentale, con la funzione di iniziare il procedimento ovvero di preannunciare le ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza formulata.


Il TAR Milano ricorda che l’art. 10-bis l. n. 241/1990, nella nuova formulazione risultante dopo le modifiche del decreto‐legge 16 luglio 2020 n. 76, conv. in L. 11 settembre 2020, n. 120 prevede ora che l’amministrazione, in caso di annullamento in giudizio del provvedimento adottato a seguito di invio di preavviso di rigetto, non possa addurre per la prima volta motivi ostativi già risultanti dall’istruttoria che non fossero stati indicati nella comunicazione ex art. 10-bis. Come confermato dalla Relazione illustrativa di accompagnamento al d.l. n. 76/2020, la norma «è finalizzata a evitare che l’annullamento conseguente al mancato accoglimento delle osservazioni del privato a seguito della predetta comunicazione dia luogo a plurime reiterazioni dello stesso esito sfavorevole con motivazioni sempre diverse, tutte ostative, parcellizzando anche il processo amministrativo; in sostanza si vuole cercare di ricondurre a un’unica impugnazione giurisdizionale l’intera vicenda sostanziale evitando che la parte sia costretta a proporre tanti ricorsi quante sono le ragioni del diniego, perché non comunicate tutte nel medesimo atto».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1706 del 18 luglio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ritiene illegittimo un diniego di sanatoria che ha introdotto nuove ragioni di diniego rispetto ai motivi contenuti nel preavviso di diniego e, quindi, senza che di tali motivi ostativi sia stato reso edotto il destinatario del provvedimento, in violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990; la norma è infatti finalizzata a una partecipazione piena e collaborativa del privato al procedimento, esigenza che nel caso di specie è stata frustrata, non consentendo al proprietario del bene di interloquire sull’effettivo utilizzo del medesimo (sull’applicabilità dell’istituto del preavviso di rigetto anche ai procedimenti di sanatoria e condono, vedi T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 dicembre 2019, n. 2566).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2089 del 29 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano ricorda che «la giurisprudenza (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. II, 3 dicembre 2019, n. 2566) rileva che l’istituto del preavviso di rigetto di cui al succitato art. 10 bis si applica anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve essere ritenuto illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza presentata dall’interessato che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento, in quanto in mancanza di tale preavviso al soggetto interessato risulta preclusa la piena partecipazione al procedimento e dunque la possibilità di un apporto collaborativo (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2615; id., 1 marzo 2018, n. 1269; T.A.R. per la Lombardia - sede di Brescia, sez. II, 4 maggio 2019, n. 434TAR Sardegna, sez. II, 20 settembre 2018, n. 797; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 8 settembre 2017, n. 2137).
Insomma, l’istituto del preavviso di rigetto, stante la sua portata generale, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione di cui al citato art. 10 bis in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e dunque della possibilità di uno apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 gennaio 2019, n. 484; T.A.R. Lombardia, sez. II, 22 gennaio 2019, n. 123)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2649 del 30 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che l’art. 10 bis della legge n. 241/1990 esprime un principio di carattere generale, applicabile a tutti i procedimenti ad istanza di parte, avendo l'istituto del c.d. preavviso di rigetto lo scopo di far conoscere alle Amministrazioni le ragioni fattuali e giuridiche dell'interessato che ben potrebbero contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale; si tratta, quindi, di istituto applicabile alla generalità dei procedimenti ad istanza di parte, salvo espressa eccezione, e non rileva affatto, ai fini dell’esclusione della previa comunicazione dei motivi ostativi, il carattere vincolante del provvedimento da assumere (nella fattispecie parere idraulico in una procedura di sdemanializzazione).

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2475 del 22 novembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Brescia chiarisce che l’istituto del preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis legge n. 241/1990 si applica anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve essere ritenuto illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento, in quanto in mancanza di tale preavviso al soggetto interessato risulta preclusa la piena partecipazione al procedimento e dunque la possibilità di un apporto collaborativo.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 434 del 4 maggio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato precisa che l'istituto del preavviso di rigetto, stante la sua portata generale, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di diniego dell'istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall'invio della comunicazione di cui al citato art. 10 bis in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e dunque della possibilità di uno apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda; in questi casi non è applicabile la sanatoria processuale, sia per la generale natura discrezionale del potere edilizio in oggetto, sia a fronte dell’impossibilità di escludere a priori, a fronte degli elementi dedotti da parte istante anche in sede giudiziale, che il procedimento potesse concludersi diversamente.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 484 del 18 gennaio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In argomento si veda anche la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 123 del 22 gennaio 2019 consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato ribadisce che la disposizione di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 mira a instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la p.a. ed il cittadino al fine sia di aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira sia di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, consentendo una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire.
Il Consiglio di Stato aggiunge che la prescritta partecipazione svolge una funzione difensiva e collaborativa e assolve anche a una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento;  se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo punto di vista, si costringe l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa.
Il Consiglio di Stato precisa, infine, che la violazione di tale obbligo non comporta annullamento dell’atto finale nel solo caso in cui, in presenza di attività vincolata, l’amministrazione dimostra che il provvedimento non avrebbe potuto avere altro contenuto.

La sentenza della Sezione Sesta del Consiglio di Stato n. 4545 del 28 ottobre 2016 è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.