Il provvedimento amministrativo, preceduto da esaurienti atti istruttori, può ritenersi adeguatamente motivato per relationem anche con il mero richiamo a tali atti, in quanto in tal modo l'autorità emanante esplicita l'intenzione di fare propri gli esiti dell'istruttoria condotta, ponendoli a base della determinazione adottata; in tal modo, la motivazione è esaustiva perché dal complesso degli atti del procedimento sono evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione, in modo da consentire, non solo al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall'ordinamento, ma anche al giudice amministrativo, ove investito della relativa controversia, di sindacarne la fondatezza.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 651 dell'8 luglio 2025


Nel processo amministrativo l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti e univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi. La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1649 del 13 maggio 2025


Il TAR Brescia ricorda che, ai sensi dell’art. 3, comma 3, L. 241/90 “Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama”. A questo proposito, precisa il TAR che l'art. 3 L. n. 241 del 1990, nella parte in cui afferma che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, va inteso nel senso che all'interessato deve essere garantita la possibilità di prenderne visione, di richiederne e ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi, con la conseguenza che non sussiste per l'amministrazione l'obbligo di allegare tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l’obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 770 del 1° ottobre 2024


Il TAR Brescia ricorda che, secondo i principi espressi in materia dalla giurisprudenza, il diniego di autorizzazione paesaggistica anche in sanatoria non può limitarsi a contenere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare le ragioni del rigetto dell'istanza ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell'area interessata dall'apposizione del vincolo. Non basta, quindi, la motivazione del diniego fondata su una generica incompatibilità, non potendo l'Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate. Ciò premesso il TAR annulla un diniego dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, in quanto si limitano a ritenere l’intervento oggetto dell’istanza non compatibile con le finalità del vincolo paesaggistico senza esplicitare le ragioni di tale contrasto. Sotto tale profilo, la motivazione risulta meramente apparente in quanto indica le sole conclusioni della determinazione dell’Amministrazione – ovvero il giudizio di non compatibilità con le finalità di tutela ambientale imposte dai vincoli paesaggistici e la prescrizione di ripristinare il cartello con le dimensioni originariamente autorizzate – ma non espone, invece, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che l’hanno determinata in relazione alle risultanze dell'istruttoria, come richiesto dall’art. 3 l. n. 241/1990.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 664 del 26 luglio 2024


Il TAR Brescia (in un caso di diniego di una istanza di compatibilità ambientale ai sensi dell’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/2004 per opere eseguite in difformità dell’autorizzazione paesaggistica in precedenza rilasciata) ha ricordato che il diniego di autorizzazione paesaggistica anche in sanatoria non può limitarsi a contenere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare le ragioni del rigetto dell'istanza ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell'area interessata dall'apposizione del vincolo.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 314 del 15 aprile 2024


Il TAR Milano, con riguardo a un motivo di ricorso che censura la parziale novità delle ragioni poste a base di un provvedimento di revoca dell’autorizzazione alla posa di impianto pubblicitario, condivide la prospettazione della difesa comunale secondo la quale al cospetto dell’avvio di un procedimento in cui è stato coinvolto anche l’Ente Parco non poteva non tenersi conto nell’adozione del provvedimento finale anche delle eventuali osservazioni e documenti prodotti da quest’ultimo, con la conseguenza che risulta giustificato il disallineamento tra il contenuto dell’atto di avvio del procedimento e l’atto conclusivo, essendo onere della parte privata controdedurre in ordine al complesso degli elementi, ivi compresi quelli sopravvenuti rispetto all’atto di avvio; quindi, sulla scorta delle riferite circostanze, non si può applicare alla fattispecie oggetto di scrutinio la disciplina relativa al preavviso di rigetto nella parte in cui si esclude la possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell’atto endoprocedimentale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2209 del 6 ottobre 2023


Il TAR Milano dà continuità all'indirizzo giurisprudenziale (su cui cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, III, 10-05-2023, n. 4753) che, contemperando i diritti procedimentali del soggetto istante con le esigenze di celerità e snellezza dell'azione amministrativa, oltreché col divieto di aggravamento del procedimento, in omaggio al principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, esclude che l'amministrazione debba necessariamente confutare, punto per punto, le osservazioni prodotte dal privato. In particolare, secondo la giurisprudenza amministrativa (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, IV, 01-08-2022, n. 6770), quanto all'obbligo dell'amministrazione di esaminare il contributo conoscitivo offerto dall'istante, né l'art. 7, né l'art. 10, né l'art. 10 bis della L. n. 241 del 7 agosto 1990 impongono di riportare, nel provvedimento finale, la puntuale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo all’uopo sufficiente una motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno della decisione assunta (cfr. Consiglio di Stato, VI, 10-01-2022, n. 158, id., IV, 21-05-2021, n. 3924; TAR Lombardia, Milano, III, 12-01-2023, n. 138). 


Il TAR Milano esamina un ricorso avverso il provvedimento dichiarativo d’interesse storico e storico-relazionale particolarmente importante ai sensi degli articoli 10, comma 3, lett. d), e 13, comma 1, D.Lgs. n. 42 del 2004 con riferimento a un dipinto. Osserva il TAR che sul piano letterale la lett. d), del citato art. 10, comma 3, a differenza di quanto previsto dalla lett. a), impone alla PA un iter motivazionale non già incentrato sulle intrinseche qualità dell’opera, bensì sul legame esistente tra l’opera e un particolare frangente storico-culturale. In altre parole, l’interesse particolarmente importante di cui alla lett. a) scaturisce dal bene in quanto tale; la rilevanza del bene a mente della lett. d), invece, deriva non tanto dall’opera per ciò che è, ma da ciò che essa rappresenta in virtù del legame che reca con un quid fuori da sé: insomma, essa rileva per il suo valore testimoniale. Rammenta, quindi, il TAR che la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, precisa che presupposto per poter applicare il vincolo relazionale è la sussistenza di un legame fra il bene e una alta personalità che abbia segnato la storia del Paese, oppure di un legame tra il bene e fatti storici specifici bene individuati anche se non di particolare importanza, non essendo invece sufficienti i collegamenti generici non correlati a specifici eventi (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 14 giugno 2017, n. 2920; TAR Lombardia, Milano, sez. III, 11/11/2020, nn. 2119, 2120).


Il TAR Milano ricorda che, come risulta dal costante orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr. per tutte, Consiglio di Stato sez. VI, 25/01/2022, n. 497), il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell’arte e dell’architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l’apprezzamento compiuto dall’amministrazione preposta alla tutela - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. - è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (Nella fattispecie il TAR accerta che le determinazioni espresse dall’amministrazione, sia al momento dell’apposizione del vincolo, sia in sede di decisione del ricorso gerarchico, sono il frutto di una indagine meramente documentale, che non ha appurato in alcun modo l’effettiva consistenza architettonica e materica degli immobili e degli interventi edilizi succedutesi nei secoli; in mancanza di queste basi, i provvedimenti in esame affermano la rilevanza storico-artistica del complesso su basi esclusivamente cartolari, senza accertare le eventuali modifiche apportate agli immobili e senza valutare se tali modifiche li abbiano privati delle caratteristiche che ne dovrebbero esprimere la valenza culturale e, di conseguenza, giustificarne la protezione).


Il TAR Milano, ricorda che (cfr. C.d.S., Sez. V, 14 gennaio 2019, n. 291) ove la lex specialis preveda (e potrebbe anche non farlo), unitamente ai criteri "generali" di valutazione dell'offerta, anche i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi, tale scelta refluisce sulla motivazione del giudizio nel senso che l'idoneità del voto numerico a rappresentare in modo adeguato l'iter logico seguito dalla Commissione nella sua espressione è direttamente proporzionale al grado di specificazione dei criteri allo stesso sottesi; osserva quindi che nel caso scrutinato i criteri di valutazione della qualità tecnica dell’offerta (la qualità e completezza della documentazione, la congruenza, efficacia e affidabilità delle soluzioni e delle proposte formulate nonché la chiarezza nell'esposizione) sono troppo generici, non omogenei e sono utilizzabili in modo sia cumulativo che alternativo dai membri della Commissione, senza una precisa attribuzione di punteggio; non sono quindi idonei a dare adeguata indicazione del giudizio tecnico oggettivo espresso, in quanto non è possibile ricostruire l’iter logico seguito dai componenti della Commissione di gara, finendo quindi per escludere dal sindacato giurisdizionale il contenuto stesso dell’offerta; in mancanza di un preciso criterio di valutazione è infatti impossibile effettuare un confronto tra le offerte.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1550 del 19 giugno 2023


Il TAR Brescia ricorda che la motivazione postuma è eccezionalmente consentita solo qualora «effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida» (ex multis Consiglio di Stato sez. III, 13 luglio 2022, n.5959), documenti istruttori che, ovviamente, devono essere antecedenti, e non successivi, alla determinazione impugnata.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 278 del 28 marzo 2023.


Il TAR Milano precisa che, pur non essendo tenuta l’Amministrazione, in linea generale, a una analitica e puntuale confutazione delle specifiche osservazioni formulate dalla parte privata, è necessario comunque che si dimostri, almeno da un punto di vista sostanziale, che le stesse siano state prese in considerazione, soprattutto ove vi siano elementi, anche di natura fattuale, che possono risultare rilevanti in vista dell’adozione del provvedimento finale. Ciò assume rilievo anche nel caso in cui ci si trovi al cospetto di attività di tipo vincolato, allorché si contestino elementi fattuali posti alla base della determinazione finale dell’Amministrazione; difatti, non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all’amministrazione l’inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1513 del 27 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che grava sul Comune l’onere di motivare in maniera idonea e congrua in ordine alle ragioni che impongono l’aumento degli standard rispetto alle previsioni normative, in caso contrario risultando illegittima una tale scelta (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 19 ottobre 2020, n. 1957; id., 3 luglio 2020, n. 1279; id., 20 aprile 2020, n. 654; id., 13 febbraio 2020, n. 305; Sez. IV, 30 luglio 2018, n. 1863). Difatti, “la motivazione rafforzata deve investire il complesso delle previsioni urbanistiche di sovradimensionamento e deve, quindi, chiarire perché il Comune abbia inteso superare i limiti minimi previsti dalla legge” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 19 ottobre 2020, n. 1957; id., 15 luglio 2016, n. 1429; id., 12 novembre 2019, n. 2380); sempre per il TAR nella specifica fattispecie non è poi dirimente – né esclude la necessaria motivazione circa la scelta di sovradimensionamento – la considerazione che anche nel previgente strumento urbanistico gli standard fossero sovradimensionati: da un lato, il provvedimento impugnato consiste in un diverso e nuovo strumento urbanistico, basato su scelte diverse e autonomamente valutabili, dall’altro lato, il Comune si era comunque limitato ad enunciare genericamente una pre-esistente sovradotazione, senza effettuare un raffronto tra i due strumenti né illustrare i termini quantitativi delle scelte alla base dei due piani.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 226 del 25 gennaio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ricorda che la stipulazione di una convenzione urbanistica attribuisce al privato una posizione di affidamento qualificato che deve essere adeguatamente ponderata dall’Amministrazione laddove questa intenda modificare la disciplina urbanistica dell’area; la modificazione della pianificazione richiede, in questo caso particolare, una motivazione specifica, ordinariamente non richiesta per le scelte di piano, che sono di regola adeguatamente sorrette dai soli criteri generali di impostazione dello strumento.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2047 del 5 settembre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Secondo il Consiglio di Stato, la risalenza nel tempo dell’abuso contestato, l’affidamento ingeneratosi in conseguenza del rilascio del titolo edilizio del locale (tecnico-deposito poi utilizzato come garage) integrano, complessivamente considerati, altrettanti parametri oggettivi di riferimento da valutare, decorsi oltre quaranta anni dalla realizzazione dell’abuso, prima d’adottare la misura ripristinatoria ovvero da dover indurre il Comune a fornire adeguata motivazione sull’interesse pubblico attuale al ripristino dello stato dei luoghi.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 3372 del 4 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato ritiene illegittimo un ordine di rimessione in pristino per assenza nel caso scrutinato di un pregiudizio effettivo per l’interesse pubblico alla base dell’esercizio del potere amministrativo e del controllo urbanistico del territorio.
Nella fattispecie si trattava di una sopraelevazione, realizzata 54 anni prima dell’accertamento, pari a 53 cm. che ha condotto ad un aumento di un edificio condominiale, da mt. 16,50 (originariamente assentiti) a mt. 17,03 (effettivamente realizzati), e che ha dato luogo a incrementi nei singoli appartamenti che però risultavano essere stati sanati dai proprietari delle unità immobiliari mediante il pagamento della sanzione prevista dall’articolo 34 del T.U. Edilizia.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 2836 del 12 maggio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il Consiglio di Stato osserva che nel confronto a coppie la motivazione può ritenersi insita nei punteggi, purché il bando contenga a monte criteri di valutazione sufficientemente dettagliati che consentano di risalire con immediatezza dalla ponderazione numerica alla valutazione ad essa sottesa; l'espressione, da parte della commissione, del giudizio tecnico mediante la mera indicazione numerica per il singolo prodotto, senza nulla specificare quanto ai sottoelementi – in mancanza di una compiuta individuazione, in termini di rispettivo peso, di tutti criteri valutativi specificati - da un lato non consente di giustificare l'attribuzione dei punteggi in forma soltanto numerica e, dall'altro, impedisce una effettiva ricostruzione dell'iter logico seguito nella verifica delle offerte dal punto di vista tecnico; in tal modo, risulta violata la logica comparativa che sovraintende la modalità del confronto a coppie, il quale in questo caso si è risolve nell’affermare apoditticamente la superiorità di un prodotto sull’altro, senza alcuna intellegibile specificazione delle ragioni e delle caratteristiche tecniche che hanno determinato tale giudizio di preferenza.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 2258 del 16 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, in presenza di un punteggio numerico complessivamente attribuito a ciascuna delle offerte tecniche non correlato a una motivazione descrittiva, idonea a far comprendere le ragioni della valutazione stessa e del giudizio espresso dalla commissione in relazione a ciascuno dei criteri e subcriteri indicati dal disciplinare di gara, precisa che il punteggio numerico, nelle gare da aggiudicarsi secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, integra una motivazione sufficiente solo quando esso consente di ripercorrere il percorso valutativo della commissione; ciò non si verifica nel caso di esposizione del solo punteggio numerico complessivo, assegnato a ciascuna offerta tecnica, che non consente di comprendere la valutazione effettuata dalla Commissione in relazione a ciascuno dei criteri e dei subcriteri enucleati dal disciplinare di gara, sicché la motivazione risulta del tutto insufficiente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2056 del 27 ottobre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, chiamata a chiarire la questione dell’onere motivazionale che grava in capo all’amministrazione in sede di adozione di un’ingiunzione di demolizione, ha enunciato il seguente principio di diritto:
il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

La sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 9 del 17 ottobre 2017 è consultabile sul istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, chiamata a pronunciarsi sull’annullamento ex officio di un titolo edilizio in sanatoria intervenuto a notevole distanza di tempo dal provvedimento originario, ha enunciato il seguente principio di diritto:
Nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 – per come introdotto dalla l. 15 del 2005 - l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.
In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
ii) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi);
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.


La sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 8 del 17 ottobre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Ammnistrativa al seguente indirizzo.