Le norme in materia di partecipazione procedimentale devono essere interpretate non in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la loro inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica Amministrazione. La partecipazione al procedimento amministrativo, difatti, non deve garantire un puntuale e analitico vaglio di tutte le possibili argomentazioni che possono essere svolte dalla parte privata, bastando che la parte sia stata messa in condizione di interloquire con l’Amministrazione e che tale aspetto emerga con chiarezza dalla motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto conclusivo; è sufficiente che la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto amministrativo renda palese l’inconciliabilità della determinazione assunta con le tesi contenute nelle deduzioni della parte istante.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1711 del 20 maggio 2025


Il TAR Lombardia, Milano, evidenzia come l'amministrazione non possa concludere un procedimento amministrativo (nella specie riferito a un ^Piano Casa^ regionale di cui alle leggi regionali 13/2009 e 4/2012) limitandosi a prendere atto della documentazione pervenuta, senza tuttavia in alcun modo indicare nel provvedimento gravato quali  documenti risulino ancora mancanti e per questo concludere per l'inammissibilità della domanda di permesso di costruire. La corretta applicazione del principio del contraddittorio procedimentale esige infatti "non solo che l'Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall'interessato nell'ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall'adempimento procedurale in questione (Consiglio di Stato, sez. I, 25 marzo 2015, n. 80, e sez. VI, 2 maggio 2018, n. 2615)".

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2042 del 2 luglio 2024


Il TAR Milano osserva che, dal combinato disposto dei commi terzo e sesto dell’art. 20 del D.P.R. n. 380/2001, si ricava che il termine per la conclusione del procedimento instaurato a seguito di presentazione di domanda di rilascio di permesso di costruire è pari a 90 giorni, di cui sessanta assegnati al responsabile del procedimento per la formulazione della sua proposta e 30 assegnati all’organo competente per l’adozione dell’atto finale, aumentati a 40 giorni nel caso in cui sia stato emanato il preavviso di rigetto. In base ai commi 4 e 5 dello stesso art. 20, il termine assegnato al responsabile del procedimento può essere sospeso, ove questi inviti formalmente l’istante ad apportare modifiche al progetto, oppure interrotto per una sola volta per la motivata richiesta di integrazioni a completamento della documentazione presentata. Il termine di 60 giorni, dunque, è riferibile soltanto alla fase dell’istruttoria e della correlata formulazione della proposta di provvedimento, cui fa seguito l’ulteriore termine previsto per la fase decisoria in capo all’organo competente, nell’ottica, tuttavia, di un procedimento unitario seppure bifasico che ha durata massima di 90 giorni, aumentabili a 100 nel caso in cui intervenga il preavviso di rigetto. Il decorso del primo termine, pertanto, non determina la formazione per silentium del titolo, avendo ancora l’amministrazione un ulteriore periodo di tempo per la valutazione dell’accoglibilità o meno della proposta formulata in fase istruttoria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1291 del 29 aprile 2024


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza (cfr. tra le altre, T.A.R. Campania, sez. V, 1 agosto 2019, n. 4225) precisa che l’obbligo giuridico di provvedere, ex art. 2 della legge 1990 n. 241, sussiste ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, essendo il silenzio rifiuto un istituto riconducibile a inadempienza dell’Amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall’ordinamento, rinvenibile anche al di là di un’espressa disposizione normativa che preveda la facoltà del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento ovvero le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione” (cfr. ex multis T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 23 febbraio 2017, n. 328).
Non solo, sicure esigenze di giustizia sostanziale impongono la conclusione del procedimento, in ossequio anche al dovere di correttezza e buona amministrazione, “in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un’esplicita pronuncia” (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2318/2007).
In casi come questo, invero, la mancata risposta dell’amministrazione viola il “principio generale della doverosità dell’azione amministrativa”, integrato “con le regole di ragionevolezza e buona fede” (così T.A.R. Lazio, sez. II, 23 gennaio 2013, n. 788).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 878 in data 11 aprile 2023.


Il TAR Milano ricorda che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, nei procedimenti amministrativi, anche di carattere valutativo, un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce, quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza. Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto, con la conseguenza che, in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor esso deve ritenersi ordinatorio, e il suo superamento non determina l'illegittimità dell'atto ma una semplice irregolarità non viziante (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, 22-01-2020, n. 537; TAR Piemonte, Torino, II, 24-03-2022, n. 269).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2747 del 13 dicembre 2022.


Il TAR Brescia ricorda che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, chi eccepisce il mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento deve indicare gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto in sede procedimentale e che sarebbero stati idonei ad incidere sulla determinazione dell'Amministrazione e, solo dopo, quest’ultima sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 20 ottobre 2020, n. 6333).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 689 del 12 luglio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che, pur non essendo tenuta l’Amministrazione, in linea generale, a una analitica e puntuale confutazione delle specifiche osservazioni formulate dalla parte privata, è necessario comunque che si dimostri, almeno da un punto di vista sostanziale, che le stesse siano state prese in considerazione, soprattutto ove vi siano elementi, anche di natura fattuale, che possono risultare rilevanti in vista dell’adozione del provvedimento finale. Ciò assume rilievo anche nel caso in cui ci si trovi al cospetto di attività di tipo vincolato, allorché si contestino elementi fattuali posti alla base della determinazione finale dell’Amministrazione; difatti, non è rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all’amministrazione l’inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1513 del 27 giugno 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riguardo alla rilevanza delle modifiche normative intervenute durante il procedimento amministrativo, osserva che:
<<Al riguardo, è utile rammentare che, nei procedimenti amministrativi la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l'assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio (Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 2020, n. 5260). Consegue da ciò che, la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato, in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici (cfr. Cons. Stato, sez. II, 8 marzo 2021 n. 1908; id., sez. V, 14 agosto 2020, n. 5038; id., sez. III, 29 aprile 2019, n. 2768).
Detto altrimenti, in virtù del principio generale tempus regit actum, le norme di diritto pubblico trovano immediata applicazione nei confronti dei procedimenti ancora in itinere alla data della loro entrata in vigore, in quanto gli atti ed i provvedimenti della pubblica amministrazione, “essendo espressione attuale dell’esercizio di poteri rivolti al soddisfacimento di pubblici interessi, devono uniformarsi alle norme giuridiche vigenti nel momento in cui son posti in essere, per quanto attiene sia ai requisiti di forma e procedimento, sia al contenuto sostanziale delle statuizioni, stante l’immediata operatività delle norme di diritto pubblico” (Cons. Stato, sez. IV, 8 agosto 2016 n. 3536; in tema: id., sez. IV, 14 gennaio 2016 n. 83; T.A.R. Lazio, Roma, 29 luglio 2021, n. 9064; id., 23 luglio 2021 n. 8913; id., Latina, 12 luglio 2021 n. 458; T.A.R. Lazio, Roma, 19 marzo 2020 n. 3451; Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2017 n. 545; id., sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1969 del 6 settembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano precisa che <<l’inosservanza del termine generale individuato dall’art. 2 L. 241/1990 non produce, ex se, l’illegittimità dell’atto tardivo, come da giurisprudenza ormai consolidata che il Collegio condivide: «Con riferimento ai termini, la l. n. 241/1990 detta una regola di comportamento e non di validità. L'art. 2 bis, infatti, da un lato, prevede l'obbligo di concludere il procedimento amministrativo entro un termine ragionevole, e dall'altro correla all'inosservanza del termine finale conseguenze sul piano della responsabilità dell'Amministrazione, ma non include, tra le conseguenze giuridiche del ritardo, profili afferenti alla stessa legittimità dell'atto tardivamente adottato. Il ritardo non è, quindi, un vizio in sé dell'atto ma è un presupposto che può determinare, in concorso con altre condizioni, una possibile forma di responsabilità risarcitoria dell'Amministrazione.» (TAR Lazio, Roma, II, 21 settembre 2020 n. 9657)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 729 del 22 marzo 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, esaminando il procedimento sanzionatorio promosso dall'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (AEEG), ritiene che non possa ritenersi necessariamente sussistente una “presunzione generale di legittimità” degli atti emessi oltre il termine previsto per la conclusione del procedimento, poiché l’arco temporale in cui le attività sono svolte misura la qualità dell’azione amministrativa, in relazione allo specifico profilo dell’efficienza della stessa azione amministrativa e del principio di certezza della sanzione.
Precisa il TAR Milano che è ragionevole il tempo occorso ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari allo scopo della determinazione della sanzione e al fine di garantire il diritto di difesa dell’interessato; il superamento del termine diviene, quindi, di per sé illegittimo quando il tempo non è più funzionale alle due esigenze sopra indicate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 2455 del 31 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo. Cfr. anche le sentenze del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n.ri 2456 e 2458 del 31 ottobre 2018.


Il Consiglio di Stato ribadisce che la disposizione di cui all’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 mira a instaurare un contraddittorio a carattere necessario tra la p.a. ed il cittadino al fine sia di aumentare le possibilità del privato di ottenere ciò a cui aspira sia di acquisire elementi che arricchiscono il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, consentendo una migliore definizione dell’interesse pubblico concreto che l’amministrazione stessa deve perseguire.
Il Consiglio di Stato aggiunge che la prescritta partecipazione svolge una funzione difensiva e collaborativa e assolve anche a una importante finalità deflattiva del contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che dovrebbe svolgersi nel procedimento;  se, infatti, non si rende edotto il privato di tutte le ragioni che depongono per il rigetto della sua istanza, al fine di permettergli di esprimere, in ambito procedimentale, il suo punto di vista, si costringe l’interessato a proporre ricorso giurisdizionale per fare valere in giudizio ciò che avrebbe potuto essere oggetto di accertamento in sede amministrativa.
Il Consiglio di Stato precisa, infine, che la violazione di tale obbligo non comporta annullamento dell’atto finale nel solo caso in cui, in presenza di attività vincolata, l’amministrazione dimostra che il provvedimento non avrebbe potuto avere altro contenuto.

La sentenza della Sezione Sesta del Consiglio di Stato n. 4545 del 28 ottobre 2016 è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.


Pubblicato nella G.U., Serie Generale, n. 252 del 27 ottobre 2016, il D.P.R. 12 settembre 2016 n. 194, di approvazione del regolamento, in applicazione dei principi e criteri direttivi contenuti nell'articolo 4 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante norme per la semplificazione e l'accelerazione di procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l'avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull'economia o sull'occupazione.


Il Consiglio di Stato in data 15 aprile 2016 (adunanza della commissione speciale del 22 marzo 2016) ha reso il parere sullo schema di decreto legislativo predisposto in attuazione della legge delega 7 agosto 2015 n. 124 in materia di riordino della disciplina in materia di semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di interesse generale o l’avvio di attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione.

Il parere è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.



Il TAR Lombardia, Milano, sez. IV, con la sentenza n. 802 depositata il 27 marzo 2014 ha ribadito alcuni principi giurisprudenziali in tema di partecipazione al procedimento amministrativo e di tutela degli  interessi diffusi, ritenendo che:
  • in base al principio del raggiungimento dello scopo, recepito nell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, è escluso il vizio nel caso in cui la finalità della partecipazione del privato sia stata comunque raggiunta, anche in difetto della comunicazione di avvio del procedimento (nella fattispecie, il privato, malgrado detta omissione, aveva depositato memorie che la P.A. aveva espressamente acquisito e valutato in concreto nell’ambito dell’istruttoria);
  • ai fini dell’azionabilità degli interessi diffusi in materia ambientale, sebbene sussista la legittimazione ad agire anche in capo a soggetti non compresi tra le associazioni individuate ai sensi dell’art. 13 della legge n. 349/1986, è comunque necessario, quantomeno, che tale soggetto persegua in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale (nella fattispecie, si è escluso che un privato, mero operatore economico, abbia interesse ad impugnare un provvedimento amministrativo lamentando che il provvedimento stesso comprometterebbe il mantenimento di aspetti naturalistici del territorio).
La sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Lombardia, Milano, sezione IV, con la sentenza n. 532 del 27 febbraio 2014 ha statuito che, al fine di verificare l’impugnabilità di un atto endoprocedimentale, è necessario accertare la ricorrenza delle condizioni dell’azione, tra cui l’interesse ad agire. Il TAR Milano ha riconfermato quanto già disposto dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 1 del 28 gennaio 2012, secondo cui siffatta tipologia di atti può essere impugnata solo quando gli stessi, pur essendo inseriti all’interno del procedimento, realizzino una lesione immediata tale da trasformare quell’atto a rilevanza interna in atto di rilevanza esterna, nonché quanto statuito dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2511 del 9 maggio 2013, che ha chiarito che è possibile impugnare gli atti endoprocedimentali solo quando gli stessi comportino un “arresto procedimentale”, ossia quando ci si trovi di fronte a fattispecie preclusive dell’aspirazione dell’istante o comunque preclusive di uno sviluppo per l’istante differente da quello immaginato e meno favorevole (il caso in esame riguarda l’impugnazione di un progetto preliminare di opera pubblica e del parere reso da un Ente Locale in ordine al rilascio di una concessione demaniale inerente all’area sulla quale dovrà essere attuata l’opera oggetto del progetto).
La sentenza del TAR Lombardia, Milano, sezione IV, n. 532 del 27 febbraio 2014 è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.