Il TAR Milano, modificando il precedente orientamento (Sezione Prima, n. 1223 del 7 maggio 2018 e n. 1589 del 26 giugno 2018), afferma che la questione dell’onere di indicazione in sede di offerta dei costi della manodopera (così come di quelli aziendali concernenti la sicurezza sul lavoro) sia stata disciplinata e risolta dal novellato disposto normativo dell’art. 95, comma 10, del d.lgs. 50/2016 e conseguentemente la mancata separata indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera determina un’irregolarità non sanabile mediante il ricorso al soccorso istruttorio oggi disciplinato dall’art. 83, comma 9, del d.lgs. 50 del 2016, atteso che tale istituto ammette l’esercizio della facoltà di integrazione da parte dei concorrenti solo in relazione alle carenze di elementi formali della domanda, mentre, nella specie, viene in rilievo la carenza di un elemento sostanziale, perché attinente al contenuto dell’offerta economica; pertanto, una volta accertato che tale obbligo di indicazione è stato chiaramente sancito dalla legge, la sua violazione determina conseguenze escludenti.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1855 del 27 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, in materia di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti, precisa che l'art. 1 della legge regionale Lombardia n. 15 del 1996, poi trasfuso nell'art. 63 della legge regionale n. 12 del 2005, che ne prevede la possibilità, ha quale presupposto che la trasformazione avvenga in ordine ad un volume già esistente e che abbia, in partenza, dimensioni tali da essere praticabile e da poter essere abitabile, sia pure con gli aggiustamenti che occorrono per raggiungere i requisiti minimi di abitabilità; solo a queste condizioni il "recupero", che la legge regionale classifica come "ristrutturazione" (art. 3 comma 2), è effettivamente ascrivibile a tale categoria di interventi, come definita dall'art. 31 della legge n. 457 del 1978 (oggi, art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001), la quale postula che il nuovo organismo edilizio corrisponda a quello preesistente, senza alterarne in misura sostanziale sagoma, volume e superficie; diversamente l'intervento si risolverebbe non già nel recupero di un piano sottotetto, ma nella realizzazione di un piano aggiuntivo, che eccede i caratteri della ristrutturazione per integrare un intervento di nuova costruzione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1858 del 27 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Si segnala che dal 12 al 14 settembre 2018 l’Università degli Studi dell’Insubria, Sede di Como, ospiterà il Convegno Internazionale di European Environmental Law Forum: “6th EELF Annual Conference - Environmental loss & damage: attribution, liability, compensation and restoration”.

Tutte le informazioni sono reperibili al seguente link.


Si segnala il convegno "Verso leggi urbanistiche regionali di quarta generazione", organizzato dall’Associazione italiana di diritto urbanistico e dall'Università degli Studi dell'Insubria, che si terrà  a Varese, Villa Panza, il 28 e 29 settembre 2018.
L’evento è accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Varese e dall’Ordine degli Architetti di Varese.



Il TAR Brescia precisa che la realizzazione di edifici commerciali richiede il reperimento di aree a standard in misura adeguata alla nuova destinazione d’uso e, in base all’art. 51, commi 2 e 4, della L.R. n. 12/2005, è necessaria una quantità di aree pari alla sola differenza tra la destinazione originaria e quella sopravvenuta; le aree a standard già cedute in base a precedenti operazioni edilizie si consolidano e sono, quindi, computabili nel nuovo livello di standard richiesto, una volta che la s.l.p. insediata sia riconvertita nella nuova destinazione d’uso.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 753 del 18 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il Consiglio di Stato, dal vigente quadro normativo si desume che l’ANAC irroga le misure di iscrizione sul casellario dinanzi a comportamenti (nel caso specifico omesse dichiarazioni) in considerazione della gravità e della rilevanza dei fatti che hanno distinto la falsa dichiarazione, ma non può limitarsi ad adottare tali misure comunque in tutti i casi di omissioni quasi in via automatica, indipendentemente da un apprezzamento in concreto in riferimento a quelle finalità; tutto questo, infatti, si deve svolgere nel rispetto della ratio istitutiva dell’ANAC, che è di interesse generale e non può essere parametrata sui compiti delle stazioni appaltanti, le quali curano l’interesse alla provvista del singolo contratto; questo implica che l’irrogazione della misura ad effetto generale in questione vada concretamente apprezzata e motivata in relazione alle inosservanze e al loro intrinseco, e non solo formale, rilievo, sicché vi si deve dar corso solo se ragionatamente si individua una relazione con l’effetto interdittivo nella gravità e rilevanza dei fatti in rapporto all’omissione.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4427 del 23 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano ribadisce che la disciplina contenuta nell’articolo 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001, dedicato al “Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante”, non è applicabile in Lombardia, dovendo reputarsi operante esclusivamente la disciplina della destinazione d’uso specificamente dettata dall’articolo 51 della legge regionale n. 12 del 2005.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1765 del 19 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano, in ordine ai criteri di verifica della tempestività del ricorso con particolare riguardo all'impugnazione di un permesso di costruire, aderisce all’orientamento secondo il quale l’inizio dei lavori segna il dies a quo della tempestiva proposizione del ricorso laddove si contesti l'an della edificazione (cioè laddove si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull'area), mentre laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.) il dies a quo va fatto coincidere con il completamento dei lavori ovvero con il grado di sviluppo degli stessi, ove renda palese l'esatta dimensione, consistenza, finalità, dell'erigendo manufatto, ferma restando la possibilità, da parte di chi solleva l'eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1747 del 18 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che sebbene l’art. 11, comma 9, d.lgs. 163/2006 indichi il termine di sessanta giorni dal momento in cui diviene definitiva l'aggiudicazione per la stipula del contratto, tale termine non ha natura perentoria, né alla sua inosservanza può farsi risalire un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex lege della pubblica amministrazione; le conseguenze che derivano in via diretta dall’inutile decorso del detto termine sono: da un lato, la facoltà dell’aggiudicatario, mediante atto notificato alla stazione appaltante, di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto, dall’altro, il diritto al rimborso delle spese contrattuali documentate, senza alcun indennizzo.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1700 del 16 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, la realizzazione di un cambio d’uso urbanisticamente rilevante mediante la trasformazione di un vano scala in un ufficio con conseguente aumento di superficie (nella fattispecie pari a circa 19 mq) non può essere ricompreso nella nozione di “restauro e risanamento conservativo”,  di cui all’art. 3, comma 1, lettera c), del DPR 380/2001 e all’art. 27, comma 1, lettera c), della legge regionale lombarda 12/2005, tenuto conto che il restauro presuppone in ogni caso la sostanziale conservazione e il rispetto degli elementi costitutivi dell’organismo edilizio e della originaria destinazione d’uso, senza creazione di un “quid novi”.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1658 del 6 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano osserva che i termini previsti nel procedimento di verifica dell’anomalia, ai sensi del d.lgs. n. 163 del 2006, non sono normativamente qualificati come perentori, né tale qualifica può essere desunta, in via di interpretazione, dalle finalità del sub-procedimento, il quale è teso ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto, senza che nello stesso possa essere ravvisata una finalità sanzionatoria o di ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica; ed è irrilevante che nel corso della procedura l’amministrazione abbia qualificato come inderogabili i termini previsti dalla legge per lo svolgimento della procedura di anomalia, in quanto il carattere perentorio o meno del termine non è rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione, ma dipende dal contenuto della disciplina normativa che lo prevede.
Aggiunge il TAR Milano che, con riferimento al tema della quantificazione dell’utile, non esiste una soglia astratta di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, sicché solo un utile previsto pari a zero o prossimo allo zero si pone di per sé come indice di anomalia dell’offerta; insomma, nelle gare pubbliche di appalto, ai fini della valutazione di anomalia delle offerte presentate, non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale complessiva, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, perché l’utilità ricavabile dall’aggiudicazione e dall’esecuzione di un appalto pubblico non si riduce al solo utile economico.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1635 del 2 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, l’espressione dell’abusivo esercizio di un potere è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium; la situazione ora descritta è da rinvenirsi, per il TAR Milano, nell’ipotesi in cui il ricorrente, dopo aver tenuto comportamenti oggettivamente, anche alla luce del canone ermeneutico della buona fede, espressivi dell’intenzione di addivenire alla stipulazione di un contratto d’appalto, nonostante la scadenza del termine di 60 giorni di cui all’art. 11, comma 9, d.lgs. 163/2006, abbia utilizzato strumentalmente il potere di recesso, venendo contra factum proprium e cercando, in tal modo, di celare la propria sopravvenuta incapacità di procedere nell’esecuzione del rapporto, in ragione della messa in liquidazione volontaria, circostanza verificatasi tre mesi prima dell’esercizio del recesso e mai comunicata all’amministrazione, in violazione, quanto meno, del canone di correttezza e di lealtà, che informa il dovere di buona fede.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Prima, n. 1700 del 16 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato afferma che la sottoscrizione dell’atto con firma digitale del difensore con il sistema CAdES (che si caratterizza per un’estensione *pdf.p7m) e non con il formato PAdES- Bes (che si caratterizza per un’estensione *pdf) non può essere inquadrabile tra le cause di nullità dell’atto, né dà luogo a mancanza di sottoscrizione, ma costituisce una mera irregolarità sanabile previa concessione alla parte di un apposito termine.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4193 del 9 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato dà continuità, anche nella vigenza dell’art. 77 d.lgs. n. 50 del 2016, all’orientamento maturato in relazione all’art. 84 d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione al quale la prevalente giurisprudenza ritiene la regola alla cui stregua la Commissione di gara deve essere costituita da un numero dispari di commissari non espressione di un principio generale, immanente nell'ordinamento, tale da determinare l'illegittimità della costituzione di un collegio avente un numero pari di componenti, essendo numerose le ipotesi di collegi, sia giurisdizionali che amministrativi, che operano (o che occasionalmente possono operare) in composizione paritaria.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 4143 del 6 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano accoglie una censura dove si lamenta il difetto di attribuzione e l’incompetenza della Regione ad adottare un atto contenente linee guida e norme tecniche di dettaglio per l’attività di miscelazione dei rifiuti, in asserita attuazione dell’art. 187 del d.lgs. 152/2006; secondo il TAR Milano il vigente sistema legislativo assegna allo Stato, per garantire ovvie esigenze di uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, il potere di fissare norme tecniche generali per la gestione di rifiuti (e quindi anche per l’aspetto della loro eventuale miscelazione prima del trattamento), mentre tale prerogativa non è riconosciuta alle Regioni, che possono semmai intervenire dopo l’adozione della disciplina statale (nella fattispecie la delibera regionale annullata contiene, secondo quanto messo in risalto dal TAR Milano, precise norme tecniche di dettaglio sull’attività di miscelazione aventi un carattere innovativo e integrativo della disciplina dell’art. 187 del d.lgs. 152/2006 e redatte con l'intento di “uniformare i criteri con cui vengono autorizzate le operazioni di miscelazione”, ma la fissazione di criteri tecnici uniformi per la gestione spetta allo Stato, secondo l’art. 195 del d.lgs. 152/2006).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1569 del 22 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 164 del 17 luglio 2018 è pubblicata la delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del 3 giugno 2018 di approvazione del regolamento sull'esercizio dei poteri di cui all'articolo 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e successive modificazioni e integrazioni.


Secondo il Consiglio di Stato, ogni eccezione al principio della soccombenza, ancorché non riconducibile alle fattispecie tipiche indicate dal legislatore, può trovare ingresso sempreché adeguatamente esternata in motivazione, in modo tale da rendere comprensibile l’iter logico-giuridico e/o le valutazioni (di fatto ed eventualmente di sostanziale equità) su cui essa si fonda, e purché impostata su argomentazioni coerenti con quanto previsto dall’articolo 26 del c.p.a. che reca un esplicito rinvio alle disposizioni del codice di rito e, segnatamente, agli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, per la definizione del regime delle spese processuali.
Aggiunge il Consiglio di Stato che la rivalutazione della regolamentazione delle spese di lite relative alla fase cautelare, ai sensi dell’art. 57 c.p.a., non è condizionata ad una specifica istanza di parte, sicché anche sotto questo profilo nulla osta a che il giudice di primo grado, alla luce delle ragioni di merito definitivamente appurate all’esito della trattazione, riconsideri la complessiva regolamentazione delle spese di lite, anche al fine di renderla coerente con il parametro di “equità” conclusivamente prescelto.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 4275 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato aderisce all’orientamento giurisprudenziale di prime cure (TAR Puglia – Bari, sez. I, 4 giugno 2013, n. 899), secondo cui dal tenore letterale del comma 2 dell'art. 11 della legge n. 241 del 1990 si può ricavare un principio di rigorosa tassatività delle regole privatistiche applicabili agli accordi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 (e cioè unicamente quelle richiamate dal menzionato comma 2: ossia i principi in materia di obbligazioni e contratti di cui al libro IV del codice civile, peraltro con il duplice limite della compatibilità e dell'inesistenza di una disciplina speciale difforme); il citato comma 2, inoltre, non richiama direttamente le disposizioni del Libro IV del codice civile, ma unicamente i principi: ne consegue che la disciplina privatistica contenuta in leggi speciali, ivi compresa la legge fallimentare e in particolare l'art. 72 del r.d. n. 267 del 1942, non è applicabile agli accordi amministrativi (nella fattispecie esaminata dal Consiglio di Stato si trattava di una convenzione urbanistica).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 4251 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano fa il punto sullo stato della giurisprudenza in ordine all’applicazione del meccanismo sostitutivo contemplato dall’art. 38 D.P.R. n. 380/2001, in virtù del quale, in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure o la riduzione in pristino, si applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o di loro parti abusivamente eseguite; giurisprudenza che, precisa il TAR Milano, consegna un quadro caratterizzato dalla limitazione della possibilità d’utilizzare lo strumento della fiscalizzazione o monetizzazione degli abusi edilizi ai soli vizi formali e procedurali del titolo abilitativo annullato, e non a quelli sostanziali; all’interno di tale distinzione, si registra, poi, una posizione meno rigorosa, aperta all’operatività dello strumento in parola anche all’ipotesi di vizi sostanziali, ma comunque ristretta, nell’ambito dei vizi sostanziali, ai soli vizi emendabili, con esclusione di quelli inemendabili.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1640 del 2 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Brescia, in sede di rilascio dell'autorizzazione di un impianto alimentato da fonti rinnovabili, l’applicazione di una misura di compensazione ambientale e territoriale non può prescindere dall'esistenza di concentrazioni di attività, impianti e infrastrutture a elevato impatto territoriale, al che accede che non dà luogo a misura compensativa, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull'ambiente.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Seconda, n. 536 del 4 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.