Secondo il Consiglio di Stato, ogni eccezione al principio della soccombenza, ancorché non riconducibile alle fattispecie tipiche indicate dal legislatore, può trovare ingresso sempreché adeguatamente esternata in motivazione, in modo tale da rendere comprensibile l’iter logico-giuridico e/o le valutazioni (di fatto ed eventualmente di sostanziale equità) su cui essa si fonda, e purché impostata su argomentazioni coerenti con quanto previsto dall’articolo 26 del c.p.a. che reca un esplicito rinvio alle disposizioni del codice di rito e, segnatamente, agli articoli 91, 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile, per la definizione del regime delle spese processuali.
Aggiunge il Consiglio di Stato che la rivalutazione della regolamentazione delle spese di lite relative alla fase cautelare, ai sensi dell’art. 57 c.p.a., non è condizionata ad una specifica istanza di parte, sicché anche sotto questo profilo nulla osta a che il giudice di primo grado, alla luce delle ragioni di merito definitivamente appurate all’esito della trattazione, riconsideri la complessiva regolamentazione delle spese di lite, anche al fine di renderla coerente con il parametro di “equità” conclusivamente prescelto.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 4275 del 12 luglio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, pur dichiarando inammissibile il ricorso di primo grado, condanna al pagamento delle spese di causa l’amministrazione resistente - considerandola soccombente anche i fini del pagamento del contributo unificato - che ha violato il canone di lealtà processuale sancito dall’art. 88, comma 1, c.p.c., sub specie di inosservanza del divieto di non ostacolare la sollecita definizione del giudizio, consentendo che la causa si dilungasse su due gradi di giudizio e per ben dieci anni; da ciò discende, per il Consiglio di Stato, l’applicazione della norma sancita dall’art. 92, comma 1, c.p.c., secondo cui il giudice può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’art. 88 c.p.c., essa ha causato all’altra parte (nella fattispecie l’amministrazione resistente non solo aveva ignorato, sia nel corso del contraddittorio procedimentale con il ricorrente, sia nell’ambito delle difese spese in prime cure, il piano particellare di esproprio definitivo da essa approvato, da cui emergeva che l’area del ricorrente non era in effetti soggetta ad esproprio, ma lo aveva prodotto in giudizio soltanto in grado di appello concentrando su di esso le proprie difese soltanto in sede di memorie conclusionali).

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 2142 del 9 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.