Il TAR Milano dichiara tardivo il deposito telematico avvenuto fuori termine di una memoria pur in presenza di una certificazione depositata dalla quale risulta che l’atto difensivo non è stato accettato dal sistema informatico nel termine predetto in quanto il modulo di deposito utilizzato non era più valido, atteso che l’errore nel deposito non può essere imputato né al Tribunale né ad una causa di forza maggiore, quanto a una negligenza della parte.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 939 del 6 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Il TAR Milano afferma che la formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 20, comma 8, del DPR n. 380/2001, non è condizionata alla completezza della documentazione presentata, salvo i casi in cui la carenza impedisca all’amministrazione di avere una rappresentazione attendibile dei fatti, in quanto l’art. 20, comma 5, della legge n. 241/90 stabilisce che alla formazione del silenzio assenso si applicano l’articolo 2, comma 7, che disciplina la richiesta di integrazione documentale; formatosi il silenzio assenso, il successivo intervento dell’amministrazione deve rispettare i limiti previsti per l’esercizio dell’autotutela, ai sensi degli articoli 21quinquies e 21 nonies della legge n. 241/90.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 762 del 20 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Il TAR Milano osserva che la risoluzione per inadempimento subita da un concorrente, il quale ha però contestato in giudizio il provvedimento disposto dall’allora stazione appaltante e che, ad esito della sentenza di primo grado, in cui è stato effettivamente accertato un suo parziale inadempimento, ha tuttavia transato la vertenza a definitiva tacitazione di ogni altra pretesa, non può considerarsi rientrante nella fattispecie descritta dall’art. 80, comma 5, lett. c), del codice dei contratti pubblici, in quanto l’accertamento giudiziale alla stessa connesso è da considerarsi sprovvisto del richiesto carattere della definitività sulla responsabilità dell’inadempimento, con conseguente inutilizzabilità da parte della odierna stazione appaltante del presunto inadempimento quale causa tipizzata di grave illecito professionale.
Sotto altro profilo, il TAR Milano osserva che la disposizione di cui di cui all’art. 57, paragrafo 7, della direttiva UE n. 24 del 2014, che prevede una finestra temporale massima per il rilievo da parte della stazione appaltante di un pregresso illecito professionale, così come recepita nel nuovo codice dei contratti pubblici (cfr. ultima parte del comma 10 dell’art. 80), è da ritenersi preclusiva di un’interpretazione che consenta agli enti aggiudicatori di escludere discrezionalmente dalle gare di appalto anche gli operatori economici che abbiano commesso gravi illeciti professionali, il cui accertamento definitivo risale ad un periodo superiore ai tre anni dalla pubblicazione del nuovo bando.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 792 del 23 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano afferma che il condono edilizio non introduce una disciplina urbanistica nuova, ma limita i propri effetti sananti al solo manufatto condonato, senza legittimare ulteriori successive edificazioni contra legem e ribadisce che non esiste l’istituto della zonizzazione di fatto, atteso che la classificazione urbanistica di un’area è solamente quella di diritto, quella cioè consacrata in un atto di pianificazione legittimamente approvato; non è, quindi, consentito legittimare ex post una edificazione contrastante con la disciplina di piano, facendo prevalere la situazione illegittima così venutasi a creare su quella che avrebbe dovuto essere realizzata in attuazione della disciplina edilizio-urbanistica e che deve tornare ad essere per effetto del doveroso esercizio dei poteri sanzionatori-ripristinatori.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 760 del 20 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Ai fini della sussistenza della situazione di collegamento sostanziale fra imprese, rilevante ai fini della loro esclusione dalla gara (ai sensi dell’art. 38, comma primo, lett. m-quater, del d.lgs. n. 163 del 2006 e oggi art. 80, comma quinto, lettera m, d.lgs. n. 50 del 2016), la valutazione da compiere sull’unicità del centro decisionale postula che sia provata l’idoneità della situazione a determinare un concordamento delle offerte e non anche necessariamente che l’alterazione del confronto concorrenziale vi sia stata effettivamente ed in concreto.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 1753 del 19 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Con riguardo all’applicabilità della proroga prevista dall’art. 5 della legge regionale lombarda n. 31 del 2014 anche ai documenti di piano scaduti, sostenuta con la circolare regionale del 23 marzo 2015, la Seconda Sezione del TAR Milano, pur prendendo atto anche della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, 14 maggio 2015 n. 2424, che ha ritenuto “corretta l’interpretazione secondo cui la proroga valga anche [per] i documenti scaduti prima dell’entrata in vigore della nuova legge, per non rendere altrimenti monca la pianificazione comunale”, conferma l’orientamento espresso dalla Sezione (sentenza 17 ottobre 2017 n. 1985; in precedenza, 7 giugno 2017 n. 1272) e ritiene che l’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014 non si riferisca ai documenti di piano già scaduti e che, quindi, non possa far rivivere la disciplina contenuta nel previgente documento di piano, ormai definitivamente privo di efficacia.

Aggiunge il TAR Milano che con la legge regionale n. 16 del 2017 è stato altresì modificato il secondo periodo dell’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014, attribuendo al Consiglio comunale la facoltà di scelta in ordine alla proroga della validità dei documenti di piano già scaduti; pur volendo ritenere, non senza qualche dubbio, la disposizione priva di efficacia retroattiva, dalla stessa si ricava comunque, per il Collegio, la conferma dell’indirizzo seguito dalla Sezione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 734 del 15 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

Per un approfondimento sulla sentenza del TAR Lombardia, Milano, II, n. 734 del 2018 e, più in generale, sulla validità e proroga dei documenti di piano secondo la L.R. n. 31 del 2014, si veda il contributo dell'avv. Lorenzo Spallino pubblicato sul sito #PA al seguente indirizzo.


Il TAR Milano richiama l’applicabilità del cosiddetto “soccorso istruttorio processuale”, che la più recente giurisprudenza amministrativa ha elaborato (cfr. Coniglio di Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n. 975), secondo cui l’aggiudicataria di una gara pubblica, nei cui confronti è stata dedotta l'illegittima ammissione alla gara per carenze della documentazione allegata all'offerta, per poter validamente invocare in sede processuale il principio del soccorso istruttorio, al fine di paralizzare la doglianza diretta ad ottenere la sua esclusione dalla gara, non deve necessariamente proporre ricorso incidentale ma può limitarsi ad una deduzione difensiva, diretta a dimostrare che, in ogni caso, sussiste il possesso dei requisiti sostanziali di partecipazione.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 666 del 9 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano osserva che il titolo edilizio (fattispecie in tema di d.i.a.) si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale lombarda n. 12 del 2005; del resto, l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento e per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva; ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo (art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005), altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione.
Conseguenza di quanto evidenziato in precedenza è l’inapplicabilità alla denuncia di inizio attività della normativa sopravvenuta alla sua presentazione, anche in relazione agli aggiornamenti delle tariffe riguardanti gli oneri, trattandosi di una modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio la cui disciplina risulta impermeabile ai mutamenti normativi successivi.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 730 del 15 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano si pronuncia sulla responsabilità della pubblica Amministrazione da provvedimento illegittimo e precisa che essa risponde ad un modello speciale non riconducibile ai modelli di responsabilità che operano nel settore del diritto civile; la peculiarità dell’attività amministrativa, che deve svolgersi nel rispetto di regole procedimentali e sostanziali a tutela dell’interesse pubblico, rende speciale anche il sistema della responsabilità da attività illegittima.
Aggiunge il TAR Milano che:
  • nel caso di lesione arrecata all’interesse legittimo, gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a. sono: a) l’elemento oggettivo; b) l’elemento soggettivo (la “colpevolezza” o “rimproverabilità”); c) il nesso di causalità materiale o strutturale; d) il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo;
  • sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati;
  • sull’elemento soggettivo della colpevolezza, non è sufficiente che l’Amministrazione emani un atto illegittimo perché possa ritenersi anche responsabile dei danni subiti dal privato destinatario dell’atto; 
  • per aversi responsabilità è necessario che il vizio sia “grave”, dovendosi comunque anche valutare la natura, formale o sostanziale, della violazione commessa e la eventuale esistenza di una pluralità di destinatari dell’atto illegittimo;
  • integra errore scusabile l’esistenza di: a) contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma; b) una formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore; c) una rilevante complessità del fatto; d) una illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 617 del 5 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano richiama l’orientamento della giurisprudenza secondo il quale il contributo di costruzione è strettamente correlato all'attività di trasformazione del territorio e, conseguentemente, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare; da ciò l’ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e il diritto del privato a pretenderne la restituzione; il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge, poi, non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.

Ciò posto, il TAR Milano aggiunge che:
  • deve pure tenersi presente che, se ciò vale, in linea di principio, nelle ipotesi di rilascio di un ordinario permesso di costruire, tuttavia la situazione dei rapporti di diritto-obbligo gravanti tra le parti può atteggiarsi diversamente quando il titolo edilizio sia chiesto e ottenuto in esecuzione di previsioni contenute in una convenzione urbanistica;
  • laddove i rapporti tra il privato e l’Amministrazione siano regolati da un’apposita convenzione, occorre verificare quale sia stato l’effettivo intento delle parti in ordine alla corresponsione del contributo di costruzione;
  • nel caso in cui le modalità di assolvimento dell’obbligazione del privato siano direttamente funzionalizzate all’attuazione delle trasformazioni oggetto della convenzione (come nelle ipotesi di realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri dovuti, o di opere che il privato accetti di realizzare in aggiunta agli oneri dovuti, o ancora laddove la convenzione disciplini le opere da realizzarsi da parte dell’Amministrazione, prevedendo tuttavia l’accollo del relativo onere economico, con varie modalità, a carico del privato) le obbligazioni attinenti al contributo di costruzione (e soprattutto quelle relative agli oneri di urbanizzazione) trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla relativa attuazione; in questo caso, la mancata esecuzione degli interventi privati non farà venir meno la causa giustificativa delle obbligazioni attinenti alla realizzazione di opere pubbliche, essendo queste obbligazioni stabilite in funzione dell’attuazione del piano, e non del singolo e specifico intervento edificatorio assentito con il titolo edilizio;
  • al contrario, laddove la convenzione si limiti a disciplinare le modalità di corresponsione del contributo di costruzione, senza far emergere la specifica correlazione delle prestazioni del privato rispetto all’attuazione delle trasformazioni previste dal piano, l’obbligazione inerente al contributo rimane correlata soltanto al carico urbanistico ascrivibile allo specifico intervento oggetto di ciascun titolo edilizio, secondo i principi sopra richiamati; in questo caso occorre applicare gli ordinari principi e, quindi, affermare la ripetibilità delle eventuali quote di contributo commisurate (esclusivamente) alle parti di intervento non effettivamente realizzate.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 718 del 13 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.

In una precedente decisione, il TAR Milano, dopo aver ricordato che il contributo non è dovuto in caso di rinuncia o, comunque, di mancato utilizzo del permesso di costruire, con conseguente obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., di restituire le somme eventualmente incamerate a tale titolo, aveva aggiunto che questo principio può essere applicato anche in presenza di una stipulazione di una convenzione urbanistica, stante, nel caso in esame: a) l’assoluta mancata realizzazione di ogni opera prevista dalla convenzione; b) l’impossibilità per il soggetto attuatore, a seguito dell’intervenuta scadenza dei termini previsti dalla convenzione stessa, di realizzare le opere private di suo interesse; secondo il TAR, la convenzione urbanistica non costituisce autonoma fonte dell’obbligo di versamento del contributo di costruzione, trovando quest’ultimo la propria fonte direttamente nella legge, la quale lo pone in stretta correlazione all’attività di trasformazione del territorio in assenza della quale esso non è comunque dovuto; la convenzione svolge dunque il ruolo, non già di fonte dell’obbligo, ma di fonte di regolazione dello stesso per quanto concerne il quantum ed il quomodo; sicché una volta escluso che la trasformazione del territorio possa attuarsi, il pagamento del contributo di costruzione diviene privo di causa, quantunque esso sia previsto e disciplinato da una convenzione urbanistica.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 596 del 28 febbraio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano dichiara inammissibile la memoria depositata nel termine stabilito, ai sensi dell’articolo 73, comma 1, c.p.a., per la presentazione delle repliche, che non controbatte specificamente alle produzioni effettuate dalla parte ricorrente in vista dell’udienza, ma costituisce l’atto processuale mediante il quale l’Amministrazione resistente articola per la prima volta le proprie difese, prendendo posizione su quanto dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio, atteso che esorbita palesemente dai limiti di contenuto assegnati dalla legge alle repliche; queste ultime devono essere riferite ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza; si tratta, quindi, di scritti difensivi che – per ragioni di pienezza del diritto alla difesa e, in particolare, di garanzia della parità delle armi tra le parti – non hanno contenuto libero, ma possono soltanto controbattere alle produzioni avversarie (salva la possibilità per il Collegio di accordare la presentazione tardiva di memorie e documenti, pur sempre nel rispetto del contraddittorio, qualora la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile, ai sensi dell’articolo 54, comma 1, c.p.a.).

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 718 del 13 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


A seguito dell’incontro formativo del 23 marzo 2018, tenutosi a Varese, dal titolo: “Modalità di attuazione degli interventi di trasformazione previsti dallo strumento urbanistico: interventi edificatori privati e connesse opere di urbanizzazione. Procedure e profili di tutela”, pubblichiamo le slide utilizzate dal prof. avv. Emanuele Boscolo e dall’avv. Maria Cristina Colombo durante tale incontro.


Il TAR Milano preso atto che il ricorso, seppure firmato digitalmente e munito dell’attestazione di conformità all’originale in possesso dell’interessato, giusta art. 136, commi 2 bis e 2 ter, c.p.a., non risulta essere stato depositato in uno dei prescritti formati di cui al combinato disposto degli artt. 11 del D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 e art. 12 delle specifiche tecniche allegate allo stesso regolamento, ritiene che tale irregolarità (dovendosi escludere la nullità, in difetto di espressa comminatoria, ex art. 156, comma 1, c.p.c., e avendo l’atto comunque raggiunto il suo scopo tipico, ex art. 156, terzo comma, c.p.c.) può essere sanata, ex art. 44, secondo comma, c.p.a., mediante rinnovazione della notificazione del ricorso introduttivo al domicilio digitale eletto dell’Amministrazione resistente, e successivo deposito, ex art. 45 c.p.a., del ricorso, con le prove della notifica, in formato PDF - PDF/A ottenuto da trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia parti.

L’ordinanza collegiale del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 842 del 22 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo; l’ordinanza si segnala anche perché indica nell’epigrafe come domicilio della parte il solo domicilio digitale.


Il Consiglio di Stato afferma che l’omessa pronuncia in ordine alla domanda risarcitoria impone, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., la regressione della causa al giudice di primo grado, il quale deve provvedere a pronunciare in diversa composizione ex artt. 17 c.p.a. e 51, n. 4, c.p.c.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 1535 del 12 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia UE nell’esaminare la domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione, da un lato, dell’articolo 11 della direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati e, dall’altro, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, ha così statuito:
«1) L’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, deve essere interpretato nel senso che il requisito in base al quale determinati procedimenti giurisdizionali non devono essere eccessivamente onerosi si applica a un giudizio dinanzi a un giudice di uno Stato membro, come quello di cui al procedimento principale, nell’ambito del quale viene determinato se un ricorso possa essere autorizzato durante un procedimento di autorizzazione di un progetto, e ciò a maggior ragione quando detto Stato membro non abbia stabilito in quale fase possa essere presentato ricorso.
2) Quando un ricorrente deduce sia motivi vertenti sulla violazione delle norme relative alla partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale sia motivi vertenti sulla violazione di altre norme, il requisito in base al quale determinati procedimenti giurisdizionali non devono essere eccessivamente onerosi di cui all’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2011/92 si applica alle sole spese inerenti alla parte del ricorso che si fonda sulla violazione delle norme relative alla partecipazione del pubblico.
3) L’articolo 9, paragrafi 3 e 4, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, deve essere interpretato nel senso che, al fine di assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori rientranti nel diritto ambientale dell’Unione, il requisito in base al quale determinati procedimenti giurisdizionali non devono essere eccessivamente onerosi si applica alla parte di un ricorso che non sia coperta dal medesimo requisito, quale risulta, conformemente alla direttiva 2011/92, dalla risposta fornita al punto 2 del presente dispositivo, nei limiti in cui il ricorrente tenti con il suddetto ricorso di far rispettare il diritto ambientale nazionale. Tali disposizioni non sono dotate di effetto diretto, ma spetta al giudice nazionale interpretare il diritto processuale interno nella maniera più conforme possibile alle stesse.
4) Uno Stato membro non può derogare al requisito in base al quale determinati procedimenti non devono essere eccessivamente onerosi, previsto dall’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale e dall’articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2011/92, quando un ricorso è ritenuto temerario o vessatorio, o in assenza di un nesso tra l’asserita violazione del diritto ambientale nazionale e un danno all’ambiente».

La sentenza della Prima Sezione del 15 marzo 2018 (causa C-470/16) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la possibilità di risarcire il danno da ritardata conclusione del procedimento amministrativo presuppone anzitutto che un ritardo sia riscontrabile, ossia richiede che il termine per la conclusione del procedimento sia decorso interamente, senza che l’Amministrazione abbia adottato alcuna determinazione espressa o tacita; nessun ritardo è perciò configurabile allorché il silenzio dell’Amministrazione abbia – in virtù di una previsione legislativa – il valore di un provvedimento, positivo o negativo, ossia in tutti i casi di c.d. silenzio significativo; in queste ipotesi, infatti, il decorso del tempo non lascia permanere una situazione di silenzio-inadempimento della stessa Amministrazione, ma comporta la formazione di una determinazione conclusiva del procedimento avviato ed è, perciò, esclusa in radice la risarcibilità del danno da ritardo, ai sensi dell’articolo 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Aggiunge il TAR Milano che la situazione ora descritta è riscontrabile nel caso di richiesta di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001; il suddetto procedimento rientra proprio tra quelli caratterizzati dalla tipizzazione legislativa dell’eventuale silenzio sull’istanza, atteso che il comma 3 dell’articolo 36 stabilisce che sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata; la previsione normativa determina, pertanto, la formazione legale e automatica di un provvedimento di diniego una volta decorso il termine stabilito.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 680 del 9 marzo 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.