Il TAR Milano osserva che in presenza di una richiesta risarcitoria fondata su una sentenza che ha annullato l’atto di acquisizione al patrimonio comunale dell’area di proprietà della ricorrente per vizi considerati “formali”, ovvero per difetto di motivazione, e non ha invece riconosciuto la spettanza del bene della vita alla parte istante, la stessa non può essere accolta perché, mentre la caducazione dell’atto per vizi sostanziali vincola l’amministrazione ad attenersi, nella successiva attività, alle statuizioni del giudice, l’annullamento fondato su profili formali non elimina né riduce il potere della stessa di provvedere in ordine allo stesso oggetto dell’atto annullato e lascia ampio potere in merito all’amministrazione, con il solo limite negativo di riesercizio nelle stesse caratterizzazioni di cui si è accertata l’illegittimità, sicché non può ritenersi condizionata o determinata in positivo la decisione finale. Ciò in quanto il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell’agire illegittimo della pubblica amministrazione. Ne consegue la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto o al quale anela e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3522 del 9 dicembre 2024


Il TAR Milano, esaminando un ricorso avverso uno strumento urbanistico, prende atto che la difesa dei ricorrenti – pur riconoscendo la sopravvenuta carenza di interesse allo scrutinio della domanda di annullamento, essendo intervenuta la sostituzione della variante impugnata con un successivo atto pianificatorio, non impugnato – ha manifestato la permanenza di un interesse ai fini risarcitori, secondo quanto previsto dall’art. 34, comma 3, c.p.a., che è stato tempestivamente dichiarato nel rispetto dei termini di cui all’art. 73 c.p.a. Ciò, precisa il TAR, impone di esaminare le censure contenute nel ricorso, sebbene soltanto ai fini della verifica della ipotizzata illegittimità degli atti impugnati, senza tuttavia che tale scrutinio possa determinare l’annullamento degli stessi, poiché, in coerenza con le conclusioni raggiunte dalla sentenza della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2022, per ottenere l’accertamento preventivo si palesa sufficiente una semplice dichiarazione, da rendersi nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 c.p.a., a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti, con la quale a modifica della domanda di annullamento originariamente proposta il ricorrente manifesta il proprio interesse affinché sia comunque accertata l’illegittimità dell’atto impugnato.

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 3029 del 13 dicembre 2023


Il TAR Milano, dopo aver richiamato la giurisprudenza amministrativa che, nel ricondurre la responsabilità dell’Amministrazione nell’alveo della responsabilità aquiliana, ha precisato come l’elemento centrale nella fattispecie di responsabilità è l’ingiustizia del danno, che deve essere dimostrata in giudizio e che implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto solo se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato che questo avrebbe avuto titolo per mantenere od ottenere (in tal senso, Ad. Pl. n. 7/2021), rigetta una domanda risarcitoria proposta, in quanto qualora l’annullamento di un provvedimento amministrativo venga disposto per vizi formali non è riconoscibile il risarcimento del danno, atteso che in tal caso non è effettuato alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto nel provvedimento oggetto di impugnazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2022, n. 4279; sez. II, n. 2153/2021).
Aggiunge il TAR che la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento, il che avviene in particolare quando, in seguito all’annullamento dell’atto impugnato, l’Amministrazione conserva intatto il potere di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 252).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 391 del 13 febbraio 2023.


Il TAR Milano ricorda che:
<< in materia di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata aggiudicazione di una gara di appalto – esclusa la rilevanza dell’elemento soggettivo della condotta, colposa o meno, della Stazione appaltante, in applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza euro-unitaria (ex multis, Consiglio di Stato, V, 26 gennaio 2021, n. 788) – si richiede la prova della sussistenza del nesso di causalità tra la lesione patrimoniale subita e l’illegittima aggiudicazione della gara, oltre che la quantificazione del danno – correlato al lucro cessante che si identifica con l’interesse c.d. positivo, il quale ricomprende sia il mancato profitto, ovvero l’utile che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto, sia il danno c.d. curriculare, ovvero il pregiudizio subìto a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non potere l’impresa indicare tra le proprie referenze l’avvenuta esecuzione dell’appalto – e tale dimostrazione spetta all’impresa danneggiata, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento; quindi il concorrente che si assume danneggiato non può ricorrere a criteri forfettari o generici, ma deve dimostrare in modo rigoroso la sussistenza dei presupposti per ottenere il risarcimento, ivi compreso il profitto di cui avrebbe goduto ove fosse risultato aggiudicatario dell’appalto, ammettendosi la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno (cfr. Consiglio di Stato, V, 27 settembre 2022, n. 8327; V, 23 agosto 2019, n. 5803; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 1° luglio 2021, n. 1618; II, 23 marzo 2021, n. 762).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 247 del 30 gennaio 2023.


Il TAR Brescia osserva che:
<<2. Al riguardo va rammentato che, secondo consolidati principi giurisprudenziali, “il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata su presunzioni, della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse; infatti, il sistema di tutela degli interessi pretensivi consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l'interesse pretensivo, incapace di trovare realizzazione con l'atto, in congiunzione con l'interesse pubblico, assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l'interessato sia suscettibile di appagare un bene della vita” (Consiglio di Stato, sez. V, 27/12/2013, n. 6260).
Se non nella prova certa della spettanza del bene della vita, il risarcimento dell’interesse pretensivo è subordinato quanto meno alla prova del possesso di una chance di conseguirlo, intesa, peraltro, non come “semplice possibilità di conseguire il risultato sperato”, ma come “sussistenza di una rilevante probabilità del risultato utile, che sia stata vanificata dall'agire illegittimo dell'amministrazione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 23/09/2019, n. 6319).
E’ stato affermato, al riguardo, che “la risarcibilità della "chance" di aggiudicazione è ammissibile solo allorché il danno sia collegato alla dimostrazione di una seria probabilità di conseguire il vantaggio sperato, dovendosi, per converso, escludere la risarcibilità allorché la "chance" di ottenere l'utilità perduta resti nel novero della mera possibilità (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 15 n. 3147); pertanto, “per ottenere il risarcimento del danno anche per perdita di una “chance” è, comunque, necessario che il danneggiato dimostri, seppur presuntivamente ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido nesso causale tra la condotta lesiva e la ragionevole probabilità del conseguimento del vantaggio alternativo perduto e provi, conseguentemente, la sussistenza, in concreto, dei presupposti e delle condizioni del raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve configurarsi come conseguenza immediata e diretta” (Consiglio di Stato, sez. V, 11/04/2022, n. 2709 ); ciò, peraltro, deve essere necessariamente esaminato alla luce della peculiarità delle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, proprie del diritto amministrativo, la cui probabilità di transitare dalla fase in potentia a quella in actu , requisito indispensabile per la configurabilità di una chance risarcibile, va verificata alla stregua della consistenza dei poteri attribuiti dall'ordinamento alla Pubblica amministrazione e “tenendo conto della fase della procedura in cui è stato adottato l'atto illegittimo e di come si sarebbe evoluta nel proseguo” (Consiglio di Stato, sez. V, 27/03/2013, n. 1772).>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1314 del 14 dicembre 2022.


Il TAR Milano ricorda che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo non fa sorgere automaticamente il diritto al risarcimento del danno, se il richiedente non prova la “spettanza” del c.d. bene della vita, vale a dire dell’utilità finale cui lo stesso aspira.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2569 del 418 novembre 2022.


Il TAR Milano precisa che:
<<il rito abbreviato previsto dall’art. 119 c.p.a., che ha tra l’altro la sua ragione nella tutela cautelare in relazione al provvedimento impugnato, non si applica in caso di azione risarcitoria autonoma, perché la controversia ha carattere patrimoniale e non si pone un problema di sospensione del provvedimento che non forma oggetto di impugnazione principale (così Cons. Stato, III, 24/03/2015 n. 1572)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 2010 del 14 settembre 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, con riferimento alla tematica della responsabilità della pubblica amministrazione per lesione dell’interesse legittimo, ricorda che la stessa è stata oggetto nel tempo di un ampio dibattito che riguarda anche la natura stessa di tale responsabilità e osserva che:
<<Non è ovviamente questa la sede per ripercorrere le tappe del dibattito, essendo sufficiente, ai fini della decisione, richiamare i principi espressi dalla recente sentenza dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2021, pronunciata in una controversia analoga a quella oggetto del presente giudizio, la quale ha affermato che la responsabilità di cui si discute ha natura extracontrattuale, e trova dunque disciplina primaria negli artt. 2043 e segg. cod. civ.
È pertanto necessario, affinché l’amministrazione possa essere ritenuta responsabile, che il danno derivante dal provvedimento annullato in sede giurisdizionale sia qualificabile come ingiusto, requisito questo che si realizza solo quando lo stesso provvedimento abbia inciso sul bene della vita sotteso all’interesse legittimo leso. A questo proposito la citata sentenza dell’adunanza plenaria, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha ribadito che la tutela risarcitoria non può essere accordata quando la sentenza che dichiara illegittimo l’esercizio del potere non abbia accertato la fondatezza della pretesa del privato ma abbia soltanto posto un vincolo per l’amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13. In questo senso anche Consiglio di Stato, sez. V, 27 maggio 2022, n. 4279; id. sez. II, 4 maggio 2022, n. 3481; T.A.R. Molise, sez. I, 10 febbraio 2022, n. 33).
Viene dunque in rilevo, in tale contesto, la distinzione fra interesse legittimo oppositivo (collegato ad un bene della vita di cui l’interessato già dispone) ed interesse legittimo pretensivo (collegato ad un bene della vita di cui l’interessato non dispone ancora e che gli si sarebbe dovuto riconoscere con l’esercizio del potere), posto che, solo con riferimento all’interesse oppositivo, vi è automatica incisione sul bene della vita; mentre, in caso di interesse pretensivo, la lesione non è mai automatica dovendosi accertare se il legittimo esercizio del potere avrebbe senz’altro attribuito il bene cui il privato aspira.>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1875 del 2 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano dispone la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, affinché si pronuncino sul conflitto negativo di giurisdizione in ordine a una denunciata lesione del diritto alla salute da inquinamento atmosferico.

Secondo il TAR:
<<Invero, si tratta di una denunciata lesione del diritto alla salute, primariamente addebitabile a una situazione di inquinamento atmosferico, in cui si è posta come concausa anche la condotta omissiva degli enti pubblici convenuti in giudizio.
Tale condotta è stata costituita, nella tesi del ricorrente, dalla mancata adozione di provvedimenti di natura autoritativa, ma l’inerzia addebitata a Comune e Regione rientra nell’ordinario contributo causale di un soggetto che viola il generale principio del neminem laedere, con l’unica particolarità che, trattandosi di amministrazioni pubbliche, le stesse sono dotate dalla legge di particolari poteri autoritativi in materia.
Il richiamo a quanto previsto dall’art. 7 del codice del processo amministrativo è dunque improprio, perché tale norma non fonda la giurisdizione del Giudice amministrativo sul mero “mancato esercizio del potere amministrativo”, ma presuppone che tale mancato esercizio avvenga nelle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi o “nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi”.
Nel caso di specie, come detto, non è stata invocata l’adozione di un provvedimento amministrativo al fine di tutela di un interesse legittimo, o contrastato l’esercizio di una potestà pubblica discrezionale che ha limitato le facoltà del privato, bensì è stato chiesto in via diretta e autonoma il risarcimento del danno cagionato alla salute del ricorrente dalla condotta asseritamente illegittima (e inadempiente rispetto agli obblighi di legge e di derivazione eurounitaria) tenuta da due enti pubblici.
D’altra parte, la stessa Corte di cassazione a Sezioni Unite ha ritenuto, in più arresti, che il diritto fondamentale alla salute, proclamato dall’art. 32 della Costituzione, operi nelle relazioni private e limiti l’esercizio dei pubblici poteri, nel senso che esso è sovrastante all’amministrazione.
Questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico, non solo di affievolirlo, ma neanche di pregiudicarlo di fatto e indirettamente. Pertanto, nelle controversie che hanno per oggetto la tutela del diritto alla salute non vale il richiamo alla posizione di preminenza della funzione della pubblica amministrazione, che è priva, al riguardo, di qualunque potere di affievolimento di un diritto soggettivo valutato come fondamentale e assoluto dall’ordinamento (cfr., tra le altre, sentenza n. 23735 dell’8 giugno 2006 e ordinanza 23 aprile 2020, n. 8092).>>

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1208 del 25 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano esamina la domanda di un Comune formulata in via riconvenzionale al risarcimento dei danni conseguenti alla rovina di un muro di cinta fronteggiante una via comunale e osserva:
<<5. Nel merito, il Collegio ritiene che la fattispecie debba essere inquadrata nella responsabilità da rovina di edificio ex art. 2053 cod. civ. e non nella responsabilità per danni provocati dalle cose in custodia di cui all'art. 2051 cod. civ., evocato dal Comune. Il discrimen tra le due ipotesi è dato dalla specialità del criterio d'imputazione dell'art. 2053 cod. civ., ove la responsabilità viene posta a carico del proprietario in base al criterio formale del titolo e non sulla base del mero rapporto di custodia e di uso della res.
Ad ogni modo, anche quella di cui all'art. 2053 cod. civ. è una responsabilità oggettiva e presunta, che può essere esclusa solamente dalla dimostrazione, da parte del danneggiante, che il danno è stato provocato da un fattore causale autonomo (ex multis, Cass. Civ., Sez. III, 26 maggio 2020, n. 9694; Id., 21 gennaio 2010, n. 1002).
Per l'effetto, il Comune danneggiato deve provare unicamente il titolo d'imputazione (la proprietà), l'evento dannoso (la rovina) e il danno, spettando viceversa ai danneggianti resistenti l'onere della prova del fattore eziologico escludente...>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1036 del 6 maggio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri


Il TAR Milano in relazione alla domanda di risarcimento del danno da ritardo e alla dedotta carenza di correttezza nell’operato del Comune osserva quanto segue:
<<12.3. Costituisce un’acquisizione dottrinale consolidata l’idea che la buona fede costituisce una norma verticale integrativa di ogni settore nell’ordinamento ivi compreso il diritto pubblico in cui la regola trova una pluralità di ipotesi applicative pur in assenza di specifiche previsioni. Si consideri, ad esempio, l’esperienza del diritto costituzionale ove il principio insorge, pur non senza incertezze ricostruttive, a parametro di legittimità della stessa attività legislativa assumendo, quindi, le vesti di principio costituzionale non scritto. Di principio non scritto che governa l’operato della Pubblica Amministrazione discorre anche parte della dottrina amministrativistica riconducendolo i vari istituti coinvolti nella ricostruzione del sistema ad epifanie normative di tale principio. Si è, quindi, anche nel settore in esame dinanzi ad una norma verticale integrativa dell’ordinamento che, come tale, permea ex se il rapporto tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione. Un rapporto che, al pari di quanto predicato per l’obbligazione, può definirsi complesso non esaurendosi, dal lato pubblico, in meri obblighi di prestazione (per mutuare la nomenclatura civilistica) ma connotandosi anche di precipui obblighi di protezione (i c.d. “Schuldpflichten” della dottrina tedesca), muniti di autonomia rispetto alla prestazione. Pertanto, dal canone di buona fede che governa l’azione amministrativa insorgono autonomi obblighi di protezione ed ossia obblighi di comportamento secondo lealtà e correttezza a cui fa da contraltare una posizione soggettiva che, mutuando l’espressione invalsa – in particolare – negli ordinamenti di common law, può definirsi di immunità. Agli obblighi e ai limiti in funzione protettiva si correla, infatti, l’immunità dell'altra parte rispetto alle possibili contrazioni o lesioni scorrette della propria sfera giuridica. Non sembra doversi, quindi, postulare la sussistenza di un generico contatto sociale qualificato tra il privato e la Pubblica Amministrazione al pari di quanto affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sezioni unite, 28 aprile 2020, n. 8236), ben potendosi cogliere, dalla portata precettiva e dalla “vis espansiva” del canone di buona fede, i corollari logico-giuridici che ne discendono anche in ordine alla precipua natura del rapporto che si instaura tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione nel momento del contatto tra la situazione soggettiva del primo ed il potere di incidenza su questa che l’ordinamento conferisce alla seconda.
12.4. All’interno della cornice tracciata devono inquadrarsi le domande svolte da parte ricorrente. Si consideri, in primo luogo, la domanda di risarcimento del danno asseritamente derivante dal ritardo nell’adozione del provvedimento finale. Come affermato dalla giurisprudenza, simile danno non è la conseguenza del ritardo ex se ma si correla alla condotta inerte o tardiva dell'Amministrazione e causa del pregiudizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 settembre 2016, n. 4028). Inoltre, il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest'ultimo deve fornire la prova sia sull'an che sul quantum (Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2016 n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all'adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell'amministrazione. In particolare, “l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)” (cfr. Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, Sez. I, 16 maggio 2016, n. 139).
12.5. Tuttavia, simile danno non può ritenersi in re ipsa. Infatti, il concetto di danno in re ipsa (che postula la coincidenza tra danno risarcibile ed evento dannoso alla quale, in passato, si fa ricorso per giustificare la risarcibilità del danno biologico; cfr.: Corte Costituzionale, sentenza 14 luglio 1986, n. 184) risulta antitetico rispetto al sistema di responsabilità civile, fondato, all'opposto, “sulla netta distinzione, ex articoli 1223 e 2056 c.c., tra fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, produttivo del danno e il danno stesso, da identificare nelle conseguenze pregiudizievoli di quel fatto, nella loro duplice possibile fenomenologia di danno emergente (danno interno, che incide sul patrimonio già esistente del soggetto) e di lucro cessante (che, di quel patrimonio, è proiezione dinamica ed esterna), come tale apprezzabile sia in ambito patrimoniale che non patrimoniale” (Cassazione civile, sez. III, 14 dicembre 2018, n. 31233; Cassazione civile, sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901).
12.6. Del resto, le Sezioni unite della Corte di Cassazione evidenziano con chiarezza (seppur in riferimento al danno non patrimoniale ma con considerazioni che prescindono dalla natura di tale danno e dalla ragioni di antigiuridicità del fatto), come il sistema fornisca una struttura dell’illecito “articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza)”, essendo l'evento dannoso rappresentato dalla “lesione dell'interesse protetto”. Pertanto quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, “che deve essere allegato e provato”; non è, quindi, accettabile la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, ovvero come danno-evento, e parimenti da disattendere è la tesi che colloca il danno appunto in re ipsa, perché così “snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo” (Cassazione, sezioni unite, 11 novembre 2008 n. 26972).
12.7. Pertanto, il danno da ritardo nella conclusione del procedimento potrà ristorarsi solo se puntualmente provato dal danneggiato.>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 651 del 21 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.





Il TAR Milano richiama l’Adunanza Plenaria n. 2 del 2017 e afferma che in caso di illegittima aggiudicazione di un appalto il concorrente che ottenga dal giudice amministrativo, a titolo di risarcimento in forma specifica, il subentro nel contratto, senza che la sentenza possa essere integralmente eseguita, l’obbligazione dell’Amministrazione non viene estinta ma convertita in una diversa, di natura risarcitoria e compensatoria, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato, in parziale sostituzione della esecuzione in forma specifica.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 531 del 7 marzo 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano osserva che la somma dovuta a titolo di lucro cessante per la mancata aggiudicazione di un appalto deve essere individuata, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sezione V, 26 gennaio 2021, n. 788; 25 febbraio 2019, n. 1257), in base all’utile indicato nella propria offerta economica.
Il Collegio ritiene di non dover accogliere la richiesta formulata dalla stazione appaltante per cui, nell’eventualità in cui fosse riconosciuto il danno da mancata aggiudicazione, questo dovrebbe subire l’abbattimento derivante dal c.d. aliunde perceptum, ovvero dalla presunzione relativa che, in ragione delle commesse svolte nel frattempo dall’operatore economico danneggiato, questi non avrebbe potuto far fronte anche all’esecuzione dell’appalto oggetto del giudizio.
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il fatto impeditivo dell’integrale risarcimento da mancata aggiudicazione non può essere oggetto di una presunzione ma, in applicazione dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 del codice civile, deve essere provato dalla parte che lo ha eccepito (Consiglio di Stato, Sezione V, 26 gennaio 2021, n. 788), mentre, nella fattispecie, la stazione appaltante si è limitata a invocare l’applicazione della presunzione relativa e non ha pertanto fornito neppure un principio di prova avente ad oggetto lo svolgimento di altre commesse da parte della società ricorrente nel periodo di esecuzione dell’appalto da parte dell’illegittima aggiudicataria.
Per il TAR non può, invece, trovare riconoscimento, nella fattispecie, la voce del danno curriculare, ovvero del pregiudizio subito dall’operatore economico in dipendenza del mancato arricchimento del proprio curriculum e dell’immagine professionale con l’indicazione dell’avvenuta esecuzione dell’appalto, perduta a causa del comportamento tenuto dalla stazione appaltante.
Al riguardo, il TAR, pur dando atto dell’orientamento giurisprudenziale per cui il danno curriculare, ove l’aggiudicazione dell’appalto sia mancata per fatto imputabile alla stazione appaltante, debba ritenersi una conseguenza naturale, secondo l’id quod plerumque accidit, della mancata esecuzione dell’appalto e possa essere stimato, attesa la difficoltà della prova negativa ad esso sottesa, secondo un criterio equitativo (Consiglio di Stato, sez. V, 25 febbraio 2019, n. 1257), ritiene tuttavia di aderire al diverso orientamento giurisprudenziale per cui il ricorrente deve fornire la prova puntuale in ordine all’an ed al quantum del richiesto danno curriculare (Consiglio di Stato, Sezione V, 30 ottobre 2017, n. 4968; 11 maggio 2017, n. 2184), il quale, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, non può ritenersi in re ipsa.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 14 del 4 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


In sede di esame di una domanda risarcitoria inserita in un ricorso contro una delibera di approvazione del progetto definitivo di un’opera pubblica, il TAR Milano osserva che nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza, assume senz’altro rilievo, sul versante prettamente causale, l'omessa impugnazione dei provvedimenti che hanno determinato l’apposizione e la permanenza del vincolo espropriativo sulla proprietà del ricorrente, atteso che i danni i lamentati sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall'ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1915 del 9 agosto 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che all’omessa impugnazione del provvedimento di aggiudicazione della gara consegue l’improcedibilità dell’azione di annullamento del provvedimento di esclusione, non già l’improcedibilità dell’azione risarcitoria autonoma, proposta ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del codice del processo amministrativo.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2097 del 9 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che:
«Il comma 1 dell’articolo 30 del codice del processo amministrativo, in base al quale l’azione risarcitoria per lesione dell’interesse legittimo può essere proposta anche ove non sia stata proposta l’impugnazione del provvedimento ritenuto causativo del danno, deve essere letto in combinato disposto con il comma 3 del medesimo articolo, a tenore del quale <<Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti>>.
Osserva il Collegio che la comunicazione del preavviso di ricorso ai sensi dell’articolo 243-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, deve considerarsi come comportamento necessario e sufficiente per evitare il consolidarsi degli effetti dannosi derivanti dal provvedimento di esclusione e, dunque, non può essere considerato quale concausa nella produzione del danno lamentato.
Non è infatti ragionevolmente esigibile che al concorrente illegittimamente escluso dalla gara, il quale abbia immediatamente presentato istanza di autotutela, si addossi anche l’onere di impugnazione del provvedimento di esclusione e della proposizione della relativa domanda cautelare, attesa la maggiore onerosità del rimedio giurisdizionale ed i rischi conseguenti al suo esito.
Il maggiore sforzo richiesto al concorrente escluso dall’attivazione della tutela giurisdizionale non sarebbe infatti proporzionato all’esito verosimilmente infausto della domanda cautelare, per carenza del necessario elemento del periculum in mora».

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2097 del 9 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri






Il TAR Milano precisa che la domanda di risarcimento del danno derivante dal ritardo nell’adozione del provvedimento finale:
«non è la conseguenza del ritardo ex se ma si correla alla condotta inerte o tardiva dell'Amministrazione e causa del pregiudizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 settembre 2016, n. 4028). Inoltre, il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest'ultimo deve fornire la prova sia sull'an che sul quantum (Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2016 n. 3059), deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all'adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell'amministrazione. In particolare, l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)” (cfr. Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, Sez. I, 16 maggio 2016, n. 139).
29.1. In ordine alla figura in esame una parte della giurisprudenza e della dottrina ritiene che il risarcimento risulti condizionato all’esito positivo del giudizio di spettanza del bene della vita. Lo affermano anche le Sezioni unite della Corte di Cassazione evidenziando che:
a) il riconoscimento del danno da ritardo - relativo ad un interesse legittimo pretensivo - non è avulso da una valutazione di merito della spettanza del bene sostanziale della vita e, dunque, dalla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento fosse probabilmente destinata ad un esito favorevole, posto che l'ingiustizia e la sussistenza del danno non possono presumersi iuris tantum in relazione al mero fatto temporale del ritardo o del silenzio nell'adozione del provvedimento; 
b) l'ingiustizia del danno non può prescindere dal riferimento alla concreta spettanza del bene sostanziale al cui conseguimento il procedimento è finalizzato (cfr., Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, ordinanza 17 dicembre 2018, n. 32620, che conferma la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, 22 settembre 2016, n. 3920)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 960 del 29 maggio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano ritiene applicabile, in un giudizio contenente una domanda risarcitoria autonoma volta ad ottenere la condanna del comune al risarcimento dei danni patiti in relazione al comportamento tenuto dall’Amministrazione comunale in relazione ad alcune pratiche edilizie, la previsione di cui all’articolo 1227, comma 1, c.c. che esclude la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza; osserva al riguardo il TAR che il pregiudizio asserito dai ricorrenti sarebbe stato evitabile mediante la proposizione di un ricorso giurisdizionale volto a censurare l’operato dell’Amministrazione, assistito, inoltre, da apposita domanda cautelare diretta ad evitare un possibile danno per il trascorrere del tempo; ricorso che, tuttavia, non è stato proposto dai ricorrenti con conseguenza impossibilità di ristorare un danno che la parte avrebbe potuto evitare.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 739 del 3 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ribadiscono che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, della legittimità del cui annullamento non si discute, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perché ha ad oggetto non già la lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo, rappresentata dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, n. 6885 dell’8 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.