L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014, enuncia una serie di importanti principi di diritto in materia di appalti pubblici, tra i quali i seguenti:  
-. l’art. 4, comma 2, lett. d), nn. 1 e 2, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 11 luglio 2011, n. 106, che ha aggiunto l'inciso "Tassatività delle cause di esclusione" nella rubrica dell'articolo 46 del Codice dei contratti pubblici e nel suo testo ha inserito il comma 1-bis, non costituisce una norma di interpretazione autentica e, pertanto, non ha effetti retroattivi e trova esclusiva applicazione per le procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati pubblicati (nonché alle procedure senza bandi o avvisi, i cui inviti siano inviati), successivamente al 14 maggio 2011, data di entrata in vigore del medesimo decreto legge;
-. in considerazione del principio della tassatività delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici (applicabile unicamente alle procedure di gara disciplinate dal medesimo Codice), i bandi di gara possono prevedere adempimenti a pena di esclusione, anche se di carattere formale, purché conformi ai tassativi casi contemplati dal medesimo comma, nonché dalle altre disposizioni del Codice, del regolamento di esecuzione e delle leggi statali;
-. il “potere di soccorso” sancito dall’art. 46, comma 1, del Codice dei contratti pubblici - sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti - non consente la produzione tardiva della dichiarazione o del documento mancanti o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal medesimo Codice, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali;
 -. è illegittima, per violazione dell’art. 6, comma 1, lett. b), l. 7 agosto 1990, n. 241 nonché sotto il profilo della manifesta sproporzione, la previsione del bando di una gara diversa da quelle di massa, qualora essa non consenta il “potere di soccorso” e disponga l’esclusione nel caso di inosservanza di una previsione meramente formale;
-. il giudice amministrativo deve decidere la controversia, ai sensi degli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, secondo comma, c.p.c., secondo l’ordine logico che, di regola, pone la priorità della definizione delle questioni di rito rispetto alle questioni di merito e, fra le prime, la priorità dell’accertamento della sussistenza dei presupposti processuali rispetto alle condizioni dell’azione;
-. nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, va esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario (che non ha partecipato alla gara o vi ha partecipato ma è stato legittimamente escluso, ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione); tuttavia, per ragioni di economia processuale può esservi l’esame prioritario del ricorso principale, qualora questo risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile;
 -. nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, il ricorso incidentale non va esaminato prima del ricorso principale allorquando non presenti carattere escludente; tale carattere non si verifica se il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale;
 -. nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale - escluso dall’Amministrazione ovvero nel corso del giudizio, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale - ad impugnare l’aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio afferente la medesima fase procedimentale.
La sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.



Nel direttivo del 5 dicembre 2013 si è stabilito di fissare l’importo della quota sociale per l’anno 2014 in euro 50,00 per i soci che alla data del 31 dicembre 2013 siano iscritti nell'albo speciale per il patrocinio avanti alla Corte di cassazione e alle giurisdizioni superiori ovvero abbiano maturato l’anzianità per l’iscrizione al citato albo; nonché euro 25,00 per tutti gli altri.


Il 19 febbraio 2014 in Roma, avanti al Notaio Maurizio Misurale, la "CAMERA AMMINISTRATIVA ROMANA", la "SOCIETÀ DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI DELL'EMILIA ROMAGNA", la "ASSOCIAZIONE DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI LIGURI CARLO RAGGI", la "CAMERA AMMINISTRATIVA DI COMO", la "ASSOCIAZIONE AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI DEL PIEMONTE", la "ASSOCIAZIONE CAMERA AMMINISTRATIVA DISTRETTO LOMBARDIA ORIENTALE - CADLO", la "ASSOCIAZIONE DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI DELLA SICILIA", la "CAMERA AMMINISTRATIVA MATERANA", la "CAMERA AMMINISTRATIVA DISTRETTUALE DI LECCE BRINDISI E TARANTO", la "ASSOCIAZIONE AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA", la "SOCIETÀ LOMBARDA DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI - SOLOM", la "ASSOCIAZIONE VENETA DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI", la "CAMERA AMMINISTRATIVA DISTRETTUALE DEGLI AVVOCATI DI BARI", la "CAMERA DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI", la "CAMERA AMMINISTRATIVA E DEL DIRITTO COMUNITARIO TRIBUNALE NAPOLI NORD", la  "SOCIETÀ TOSCANA DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI", la "CAMERA AMMINISTRATIVA DI MONZA E BRIANZA", la "CAMERA AMMINISTRATIVA DI TRENTO", la "A.G.AMM.: ASSOCIAZIONE DEI GIOVANI AMMINISTRATIVISTI" hanno costituito una Associazione senza fini di lucro, denominata "UNIONE NAZIONALE DEGLI AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI".
Si è così portata a conclusione l’attività di coordinamento e di associazione federativa, avviata nell’anno 2012, del gruppo di lavoro appositamente costituito e formato dai rappresentanti delle principali realtà associative da anni operanti nel settore specialistico del diritto amministrativo nelle diverse Regioni.


Secondo il TAR Milano (sentenza della Prima Sezione n. 482 del 14 febbraio 2014), l’immediata precettività delle norme sulla parità formale tra i generi e di pari opportunità previste dalle fonti nazionali e comunitarie non comporta una riserva ai soggetti appartenenti al genere femminile del 50% dei posti e nemmeno comporta la determinazione in via astratta di una soglia minima di rappresentanza al di sotto della quale il principio delle pari opportunità possa dirsi violato; viceversa, compete al giudice investito della questione operare una valutazione caso per caso per stabilire se, nell’ambito delle specifiche realtà portate alla sua attenzione, il procedimento di nomina dei componenti degli organismi di governo (non elettivi) possa ritenersi compatibile con il principio delle pari opportunità.
Nella fattispecie, considerando la dimensione del Comune (Comune di Cassano Magnago) e il numero dei componenti della Giunta (sei), il TAR rileva che non è emerso alcun elemento di prova da parte dei ricorrenti di un’ingiusta pretermissione di candidature femminili ai fini della nomina della Giunta comunale e che non può, del resto, affermarsi che la presenza di un componente femminile su sei assessori possa integrare la denunciata violazione del principio delle pari opportunità, dovendosi tener conto della rilevanza non trascurabile del ruolo del nuovo assessore, al quale era stata conferita la delega ai servizi sociali, lavoro e sport.
La sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo la Corte Costituzionale, la peculiare struttura del giudizio amministrativo è di per sé ostativa all’applicabilità in detto giudizio della regola processuale civilistica, non espressiva di un principio generale del processo, enunciata dal primo comma dell’art. 291 del codice di procedura civile, che, in caso di contumacia del convenuto, consente la rinnovazione della notifica nulla della citazione, senza subordinarla alla condizione di non imputabilità al notificante dell’esito negativo della stessa; di conseguenza, non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 4, del codice del processo amministrativo, che viceversa condiziona la rinnovazione della notificazione alla circostanza che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 18 del 31 gennaio 2014 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale al seguente indirizzo.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6 del 29 gennaio 2014, conferma il tradizionale e consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che:
- sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione;
- qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo;
- viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.
La sentenza n. 6 del 29 gennaio 2014 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è consultabile sul sito della Giustizia Ammnistrativa al seguente indirizzo.


Nell’assemblea del 27 gennaio 2014 la Camera Amministrativa di Como ha deliberato all’unanimità dei presenti l’adesione al processo costitutivo dell’Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, che esprime l'organizzazione volontaria e federativa delle Associazioni comunque denominate costituite tra avvocati che esercitano l’attività professionale prevalentemente nel settore del diritto amministrativo.


L'annullamento in sede di autotutela di un titolo edilizio non determina di per sè una responsabilità dell'Amministrazione sotto il profilo risarcitorio.

L'illegittimità del provvedimento amministrativo, una volta accertata, costituisce infatti solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, a valutare la quale vanno presi in considerazione anche altri fattori, quali "il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità del fatto, il carattere pacifico della questione esaminata, il carattere vincolato o a bassa discrezionalità dell'azione amministrativa".

Sostenere il contrario, significherebbe - per usare le parole dei giudici di Palazzo Spada - "tendere la responsabilità della P.A. sino a lambire i confini della responsabilità oggettiva e dunque contraddire le premesse di ordine generale da cui si è inteso muovere".

Al di là della sinteticità con cui il Consiglio di Stato argomenta la propria decisione, questo è l'elemento più interessante della sentenza, che tenta di riportare su binari più tradizionali la discussione sulla responsabilità della Pubblica Amministrazione da atto lecito (cfr. Cons. di Stato n. 689/2012).

La decisione 6 dicembre 2013, n.5823 della sezione IV del Consiglio di Stato è disponibibile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.


La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma della Regione autonoma Valle d’Aosta, la quale dispone, con riferimento al ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali non pericolosi, un divieto generale di realizzazione e utilizzazione sull’intero territorio regionale di impianti di trattamento a caldo per lo smaltimento dei rifiuti (quali incenerimento, termovalorizzazione, pirolisi o gassificazione).
La Corte, dopo aver precisato che la disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» riservata alla competenza esclusiva dello Stato, osserva che la norma regionale impugnata preclude allo Stato, con procedure difformi da quelle disposte dalla normativa statale, di individuare impianti di preminente interesse nazionale con la tecnica del trattamento a caldo dei rifiuti nell’intera Regione autonoma Valle d’Aosta, impedendo la realizzazione delle finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, indicate dalla normativa statale.
Ribadisce, infine, la Corte che la comprensibile spinta, spesso presente a livello locale, ad ostacolare insediamenti che gravino il rispettivo territorio degli oneri connessi (secondo il noto detto “not in my back-yard”), non può tradursi in un impedimento insormontabile alla realizzazione di impianti necessari per una corretta gestione del territorio e degli insediamenti al servizio di interessi di rilievo ultraregionale.
La sentenza n. 285 del 2 dicembre 2013 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale al seguente indirizzo. 


Il Consiglio di Stato, Sezione IV, con la decisione n. 5460 del 18 novembre 2013, nell’esaminare la legittimità di un programma integrato di intervento, ha affermato che la destinazione a museo della moda e scuola della moda rientra tra le “attrezzature culturali”, che l’art. 16, comma 8, del D.P.R. n. 380 del 2001 comprende tra le opere di urbanizzazione secondaria, e ciò a maggior ragione in una città come Milano, che presenta una particolare vocazione nel settore.
Nella stessa decisione si è aggiunto che la destinazione a manifestazioni espositive, sfilate ed eventi collettivi legati propriamente alla moda può rientrare tra le funzioni di interesse generale, posta la vocazione produttiva della città di Milano, che associa non solo la sua immagine, ma parte importante del suo tessuto economico al settore della moda, nell’ambito della quale le manifestazioni rappresentano sia un richiamo commerciale, sia un evento culturale.
La decisione è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, con la sentenza della IV Sezione n. 5453 del 18 novembre 2013, ha ritenuto condivisibile il principio espresso nella sentenza appellata del TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 8 gennaio 2010, n. 3, secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005, la pianificazione urbanistica non si svolge più attraverso atti complessi, ma consiste in un procedimento concentrato nell’ambito del solo Comune, per il che non appare necessario evocare in giudizio la Provincia in sede di impugnazione del piano di governo del territorio.
La sentenza conferma, inoltre, l’illegittimità della previsione del PGT che consente la costruzione nelle zone agricole soltanto all’imprenditore agricolo già insediato sul posto con strutture stabili, impone limiti volumetrici alle attrezzature ed alle infrastrutture produttive e stabilisce una distanza massima di edificazione dagli edifici esistenti.
La sentenza del Consiglio di Stato è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo la Corte Costituzionale, la mancata previsione dell’obbligo di trasmissione alla Regione dei piani attuativi conformi allo strumento urbanistico si pone in contrasto con l’art. 24, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, che assume carattere di principio fondamentale, e determina l’illegittimità costituzionale della norma della Regione Molise nella parte in cui non prevede che copia dei piani attuativi conformi allo strumento urbanistico, per i quali non è richiesta l’approvazione regionale, sia trasmessa dai Comuni alla Regione.

In Regione Lombardia la materia è regolata dall'articolo 14 della L.R. 12 del 2005.

La sentenza n. 272 del 14 novembre 2013 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale al seguente indirizzo. 


La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la decisione della Sezione Ottava del 7 novembre 2013 (causa C‑442/12), ha statuito che: “L’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 87/344/CEE del Consiglio, del 22 giugno 1987, recante coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative all’assicurazione tutela giudiziaria, deve essere interpretato nel senso che osta a che un assicuratore di tutela giudiziaria, il quale nei suoi contratti di assicurazione prevede che l’assistenza giuridica è in via di principio fornita dai suoi collaboratori, preveda altresì che i costi per l’assistenza giuridica di un avvocato o consulente giuridico liberamente scelto dall’assicurato potranno essere coperti unicamente se l’assicuratore ritiene che il caso debba essere gestito da un consulente giuridico esterno”.

Il testo della decisione è consultabile sul sito della Corte di Giustizia dell'Unione Europea al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, Sezione IV, dopo aver ricostruito storicamente l’istituto dell’immemorabile ed averne escluso l’applicabilità al caso concreto, afferma che la funzione principale ed essenziale di un ponte realizzato su un fiume, torrente o corso d'acqua è il suo scavalcamento, per il che è innegabile che l'opera costituisca anzitutto e in modo fondamentale una pertinenza del bene demaniale naturale e necessario e, quindi, ad esso appartenente.
La sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 5337 dell’8 novembre 2013 è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha emanato in data 7 novembre 2013 una circolare recante chiarimenti interpretativi relativi alla disciplina dell'Autorizzazione Unica Ambientale (A.U.A.) nella fase di prima applicazione del D.P.R. 13 marzo 2013, n. 59.
Il testo è consultabile sul sito del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare a questo indirizzo.


Secondo la sentenza n. 2371 del 24 ottobre 2013 del TAR Lombardia, Milano, Sez. I, per l'accertamento della sola illegittimità (senza  pronuncia di annullamento) del provvedimento amministrativo ai fini risarcitori, non è necessaria né una specifica domanda risarcitoria, né una espressa domanda proposta in via subordinata al momento della proposizione del ricorso circa l'eventuale accertamento ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a.; tuttavia, deve emergere la reale e inequivoca intenzione del ricorrente di ottenere una pronuncia di accertamento della sola illegittimità del provvedimento, anche se non tradotta in formule sacramentali.
Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Pubblichiamo qui di seguito le note dell’avv. Paolo Mantegazza in ordine alle integrazioni e modifiche apportate al T.U. in materia edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, introdotte dall’art. 30 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. Le note sono consultabili al seguente indirizzo.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 21 del 25 settembre 2013, ha rimesso all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale:
Se i principi dell’Unione Europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articoli 1 e 8, n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo considerando) – in particolare, il principio “chi inquina paga”, il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente – ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245, 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica”.
Il testo dell’ordinanza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte europea dei diritti dell’uomo, con due sentenze depositate in data 24 settembre 2013 nei giudizi n. 43870/04 e n. 43892/04, ha stabilito che le eccezionali circostanze che hanno portato allo stato di dissesto economico un ente locale (nella fattispecie un comune italiano) non possono giustificare il mancato pagamento integrale dei debiti di quello stesso ente accertati con sentenza definitiva. Inoltre, la Corte ha affermato che l’impossibilità di azionare una sentenza definitiva risalente al 2003 comporta una violazione del diritto di accesso alla giustizia per un periodo eccessivamente lungo.
In particolare, secondo la Corte:
- l’art. 1, protocollo n. 1 (protezione della proprietà), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non consente a un ente locale di fare riferimento a difficoltà economiche quale giustificazione per non adempiere integralmente agli obblighi derivanti da una sentenza definitiva;
- il diritto di accesso alla giustizia, garantito dall’art. 6, protocollo n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sarebbe illusorio se il sistema giudiziario di uno Stato contraente consentisse ad una sentenza definitiva di rimanere inoperante a danno di una delle parti;
- il diritto di accesso alla giustizia può subire limitazioni, ma tali limitazioni si conciliano con l’art. 6 protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo solo se perseguono uno scopo legittimo e se vi è proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito. 
Il testo delle sentenze (in lingua francese) è consultabile sul sito della Corte europea dei diritti dell’uomo ai seguenti indirizzi: giudizio n. 43870/04giudizio 43892/04.