Il TAR Milano precisa che la violazione della disciplina contenuta nel regolamento del consiglio comunale in materia di ordine del giorno delle sedute e di interventi consentiti ai consiglieri comunali può essere invocata soltanto dai componenti del Consiglio comunale.
Secondo il TAR Milano, la convocazione è un atto preparatorio del procedimento volto alla manifestazione della volontà di un organo collegiale, che ha la duplice funzione di rendere edotti i componenti di questo circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare (per consentire la loro partecipazione alla riunione con la necessaria preparazione ed informazione) e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli assenti a seguito di deliberazione su materie non incluse nell'ordine del giorno; in questa prospettiva, le norme concernenti la convocazione delle sedute, il relativo ordine del giorno e le modalità mediante le quali i singoli consiglieri possono sottoporre specifiche questioni alla deliberazione dell’Organo collegiale sono poste a presidio del corretto svolgimento del munus publicum del consigliere, al quale deve essere assicurata la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per esercitare consapevolmente il proprio ius ad officium; la violazione di tali norme, tuttavia, pur potendo determinare l’illegittimità della deliberazione assunta dall’Organo collegiale, può essere fatta valere soltanto dai relativi componenti, poiché solo a questi spetta valutare se il mancato rispetto delle procedure abbia determinato un vulnus alle proprie prerogative di partecipazione all’attività dell’Organo; viceversa, se i singoli consiglieri, potenzialmente lesi dalle suddette violazioni, non ritengano di dover reagire, i vizi formali concernenti le mere modalità di convocazione della seduta rimangono assorbiti dalla formazione della volontà collegiale, senza che sia consentito far valere le predette irregolarità a soggetti diversi dai componenti dell’Organo.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda. n. 1787 del 6 settembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato esamina, alla luce della vigente legislazione lombarda in materia, i rapporti tra piano territoriale di coordinamento dell'Ente Parco e altri strumenti di pianificazione del territorio, con particolare riguardo al piano cave e perviene alle seguenti conclusioni:
  • i piani territoriali di coordinamento, da adottarsi da ciascun Ente Parco, hanno finalità di tutela dell’ambiente latamente inteso, si impongono ad altri strumenti di pianificazione territoriale, ivi compresi i piani regolatori comunali, ma, al tempo stesso, devono essere coerenti con la legge regionale lombarda n. 86 del 1983 e con gli atti generali da questa previsti, nonché adeguarsi agli atti di programmazione e pianificazione regionale e alle disposizioni di legge in materia;
  • il piano territoriale di coordinamento dell’Ente Parco risulta essere sovraordinato, oltre che agli altri atti di pianificazione indicati nell'art. 18 della legge regionale lombarda n. 86 del 1983, anche al piano delle cave, disciplinato dalla legge regionale lombarda n. 14 del 1998.

Il testo della sentenza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. 817 del 29 febbraio 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Il Consiglio di Stato, esaminando la disciplina in materia di nulla osta dell'Ente parco, preso atto che:
  • l’art 13, comma 1, della legge n. 394 del 1991 stabilisce che il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco, da rendersi entro il termine di sessanta giorni dalla richiesta, decorso il quale il nulla osta si intende rilasciato;
  • l’art. 20, comma 1, della legge n. 241 del 1990 prevede che nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'art. 2, commi 2 o 3, della stessa legge n. 241 del 1990, il provvedimento di diniego ovvero non procede con la convocazione della conferenza di servizi ai sensi del comma 2 dello stesso art. 20;
  • l'art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990 stabilisce tuttavia che la disciplina di cui allo stesso articolo non si applica agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico e l'ambiente;
  • fra le suddette disposizioni (art. 13 legge n. 394 del 1991 e art. 20 legge n. 241 del 1990) intercorre un’antinomia, per sciogliere la quale le Sezioni del Consiglio di Stato hanno fatto ricorso a criteri differenti, pervenendo in tal modo a soluzioni opposte;

ha disposto il deferimento della questione all'Adunanza Plenaria.

Il testo dell’ordinanza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. 538 del 9 febbraio 2016 è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.


Su segnala che sul B.U.R.L., supplemento n. 42 del 16 ottobre 2015, è stata pubblicata la legge regionale 12 ottobre 2015 n. 32, avente ad oggetto «Disposizioni per la valorizzazione del ruolo istituzionale della Città metropolitana di Milano e modifiche alla legge regionale 8 luglio 2015, n. 19 (Riforma del sistema delle autonomie della Regione e disposizioni per il riconoscimento della specificità dei Territori montani in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di comuni”)».


Sul B.U.R.L., Supplemento n. 28 del 10 luglio 2015, è stata pubblicata la legge regionale 8 luglio 2015 n. 19 “Riforma del sistema delle autonomie della Regione e disposizioni per il riconoscimento della specificità dei territori montani in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni)”.
La legge reca le prime disposizioni finalizzate al riordino delle funzioni conferite alle province, in attuazione dell’articolo 1, comma 89, della legge 7 aprile 2014 n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) e dell’accordo sancito nella Conferenza unificata dell’11 settembre 2014, ai sensi dell’articolo 1, comma 91, della stessa legge.

  • Il testo della legge regionale 8 luglio 2015 n. 19 è consultabile sul sito del B.U.R.L. a questo indirizzo.



Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4402 del 28 agosto 2014, riformando la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione I, n. 1397/2014, ha ritenuto legittimo l’ordine di rimozione di una bacheca utilizzata da un gruppo consiliare, la cui installazione era stata in precedenza autorizzata, motivato sul rilievo che il gruppo consiliare non era più attivo e che, pertanto, doveva ritenersi venuta meno la finalità per la quale la bacheca era stata autorizzata.
Il Giudice di prime cure aveva annullato il provvedimento comunale di rimozione della bacheca, incentrando, sostanzialmente, la motivazione sulla violazione del principio della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Costituzione in favore del quisque de populo.
In accoglimento dell'appello, il Consiglio di Stato ha osservato che:
  • l’efficacia dell’autorizzazione all’installazione della bacheca deve ritenersi esaurita con il venir meno del soggetto politico in funzione della cui costituzione il titolo era stato accordato;
  • il provvedimento comunale impugnato non ha violato il diritto costituzionale tutelato dall’art. 21 della Carta Costituzionale, stante la mancanza, nella fattispecie concreta, del soggetto titolare dello stesso diritto;
  • poiché non ci si trova in presenza di un’azione popolare, non è consentito accordare tutela neppure ai soggetti terzi che, senza autorizzazione, hanno di fatto utilizzato la bacheca, né tantomeno a qualsiasi interessato.


La Corte europea dei diritti dell’uomo, con due sentenze depositate in data 24 settembre 2013 nei giudizi n. 43870/04 e n. 43892/04, ha stabilito che le eccezionali circostanze che hanno portato allo stato di dissesto economico un ente locale (nella fattispecie un comune italiano) non possono giustificare il mancato pagamento integrale dei debiti di quello stesso ente accertati con sentenza definitiva. Inoltre, la Corte ha affermato che l’impossibilità di azionare una sentenza definitiva risalente al 2003 comporta una violazione del diritto di accesso alla giustizia per un periodo eccessivamente lungo.
In particolare, secondo la Corte:
- l’art. 1, protocollo n. 1 (protezione della proprietà), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non consente a un ente locale di fare riferimento a difficoltà economiche quale giustificazione per non adempiere integralmente agli obblighi derivanti da una sentenza definitiva;
- il diritto di accesso alla giustizia, garantito dall’art. 6, protocollo n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sarebbe illusorio se il sistema giudiziario di uno Stato contraente consentisse ad una sentenza definitiva di rimanere inoperante a danno di una delle parti;
- il diritto di accesso alla giustizia può subire limitazioni, ma tali limitazioni si conciliano con l’art. 6 protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo solo se perseguono uno scopo legittimo e se vi è proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito. 
Il testo delle sentenze (in lingua francese) è consultabile sul sito della Corte europea dei diritti dell’uomo ai seguenti indirizzi: giudizio n. 43870/04giudizio 43892/04.