Con ordinanza n. 58 del 25 giugno 2014, il TRGA Trentino Alto Adige, Sezione di Trento, sul rilievo che al mancato pagamento del contributo unificato consegue l’addebito di interessi e di sanzioni “a cascata”, fatto che può comportare negative conseguenze per lo studio legale dei ricorrenti, sia in termini patrimoniali che sul piano dell’immagine professionale, ha accolto l’istanza cautelare proposta avverso una nota del Segretario Generale del TRGA di Trento, avente ad oggetto "invito al pagamento del contributo unificato e irrogazione sanzione”.
 
Si ricorda che lo stesso TRGA, con ordinanza n. 23 del 29 gennaio 2014,  aveva  rimesso all'esame della Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione pregiudiziale di corretta interpretazione della normativa interna in rapporto a quella comunitaria sovraordinata:
"Se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE e successive modifiche ed integrazioni, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 13, commi 1-bis, 1-quater e 6-bis, e 14, comma 3-ter, del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 (come progressivamente novellato dagli interventi legislativi successivi) che hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici".


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 14 del 20 giugno 2014,  ritiene che, intervenuta la stipulazione del contratto per l’affidamento di un appalto di lavori pubblici, l’amministrazione non può esercitare il potere di revoca, dovendo operare con l’esercizio del diritto di recesso.
Questo è il principio di diritto enunciato: "Nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006".
 


Sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24 giugno 2014 è stato pubblicato il decreto legge n. 90 del 24 giugno 2014, recante misure urgenti  per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari.

Tra le numerose disposizioni contenute nel decreto legge si segnalano:

  • la soppressione delle sedi staccate dei TAR, del Magistrato delle acque per le province venete e di Mantova e dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici;
  • l'aumento del contributo unificato per il processo civile;
  • le modifiche al codice dei contratti pubblici;
  • le misure per lo "snellimento del processo amministrativo" (tra cui quelle per l'accelerazione dei giudizi in materia di appalti, per il contrasto all'abuso del processo e per le comunicazioni e notificazioni in via telematica);
  • le misure per garantire l'effettività del processo telematico. 


Pubblichiamo il comunicato stampa dell'Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti - UNA sull'abolizione delle sedi staccate dei TAR, diramato all'esito del convegno nazionale tenutosi a Milano il 20 giugno 2014 con tema: "Giustizia Amministrativa: ostacolo o servizio".



Il TAR Lombardia, Milano, con la sentenza della III Sezione n. 1353 del 27 maggio 2014, ha statuito che: 
  • un comune, nel chiedere il fallimento di una società controllata, esercita una potestà di diritto privato rispetto alla quale l’ex amministratore della società non è titolare di alcuna posizione differenziata né qualificata che lo legittimi a sindacare l’azione della pubblica amministrazione;
  • rispetto all’esercizio dei poteri che spettano al socio di maggioranza di società pubblica, sia pur nelle forme amministrative, l’ex amministratore della società non vanta alcuna posizione di diritto tutelabile avanti al giudice amministrativo che gli consenta di impedirne l’esercizio;
  • la circostanza che il procedimento pre-fallimentare presenti un’intrinseca natura giurisdizionale conferma l’insussistenza di un’attività amministrativa rispetto alla quale sussista, in capo all’ex amministratore della società controllata dal comune, una posizione di interesse legittimo a contrastare la decisione dell'ente locale di chiedere il fallimento della società controllata.
Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa: testo sentenza.




Giustizia amministrativa: ostacolo o servizio?
Convegno nazionale - 20 giugno 2014
Via Meravigli 9/b – MILANO – presso CCIAA
UNAA (Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti) - SOLOM (Società Lombarda degli Avvocati Amministrativisti) - CADLO (Camera Amministrativa della Lombardia Orientale) - Camera Amministrativa dell’Insubria - Camera Amministrativa di Monza e della Brianza

La partecipazione al convegno è libera ma occorre la preregistrazione entro il 15.6.2014 inviando una mail all’indirizzo: formazione@solom.it
Segreteria: Sig.ra Gabriella Turato (347-5720284)
E’ stato richiesto all’Ordine degli avvocati di Milano l'accreditamento per il rilascio dei crediti formativi.


Con la sentenza n. 6272 del 27 dicembre 2013, il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, fornisce un'interpretazione dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 che pare orientarsi al principio della tutela dell'attività imprenditoriale nella grave crisi congiunturale della società al fine di “salvaguardare il diritto alla libera iniziativa economica privata”.
 
La sentenza in commento ha osservato che il legislatore con la legge n. 134/2012 ha sottratto l'istituto del concordato preventivo con continuità aziendale (art. 186-bis l. fall.) dalle cause ex art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, che determinano l'esclusione dell'impresa dalla partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
La finalità della legge di riforma è quella, afferma il Consiglio di Stato, di “(...) guidare l'impresa oltre la crisi e ciò nell'interesse anche del mercato e degli stessi creditori”.
Non può pertanto ritenersi conforme al dettato normativo un'interpretazione dell'art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 che determinerebbe l'esclusione alla gara di un'impresa che abbia presentato domanda di concordato preventivo con continuità aziendale, ma rispetto alla quale non è ancora intervenuta la dichiarazione di ammissione.
Tale orientamento giurisprudenziale si conforma alla necessità di salvaguardare il diritto di libera iniziativa economica privata riconosciuto dalla Costituzione, che ha sancito che “eventuali restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale” e che non sembrano ricorrere nel caso dell'impresa che chieda o sia ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale, il cui istituto tende proprio ad evitare che le imprese in tale situazione escano dal mercato con danno per l'economica generale.
 
 
testo sentenza  (testo estratto dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa; indirizzo web: https://www.giustizia-amministrativa.it/) .


A fronte di un'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività nella proposizione del gravame in quanto con esso era censurata la lex specialis di gara, il TAR Lombardia, Milano, Sezione IV, con la sentenza n. 1240 del 13 maggio 2014, ha ribadito che l’onere di tempestiva impugnativa del bando è configurabile solo in relazione a clausole immediatamente escludenti, aventi ad oggetto requisiti di partecipazione alla procedura selettiva che l’impresa concorrente o aspirante tale non possiede ex ante; ogni questione concernente i requisiti soggettivi dei partecipanti, diversa da quella relativa alle clausole impeditive della partecipazione, deve invece essere proposta in sede di impugnazione dell’atto di aggiudicazione.

Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa a questo indirizzo.


La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, con la decisione del 13 maggio 2014 (causa C 131/12), chiamata a pronunciarsi nell’ambito di una controversia che vedeva opposti un gestore di motore di ricerca all’Agencia Española de Protección de Datos, in merito ad una decisione di detta Agenzia che, accogliendo la denuncia di un cittadino spagnolo, ha ordinato al gestore di un motore di ricerca di adottare le misure necessarie per rimuovere dai propri indici alcuni dati personali riguardanti detto soggetto e di impedire in futuro l’accesso a tali dati, ha così statuito:
1) L’articolo 2, lettere b) e d), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali», ai sensi del citato articolo 2, lettera b), qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dall’altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il «responsabile» del trattamento summenzionato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di cui sopra.
2) L’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, ai sensi della disposizione suddetta, qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e l’attività della quale si dirige agli abitanti di detto Stato membro.
3) Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.
4) Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l’inclusione dell’informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. Dato che l’interessato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l’informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell’inclusione summenzionata, all’informazione di cui trattasi
”.
La sentenza è consultabile sul sito della Corte di Giustizia dell’Unione Europea al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza n. 2623 del 21 maggio 2014, ha precisato che:
  • il ricorso in appello non sottoscritto da un legale abilitato al patrocinio davanti alla Corte di cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori deve ritenersi inammissibile per mancata valida instaurazione del rapporto processuale, essendo nullo l’atto difensivo prodotto da un soggetto sfornito dello ius postulandi dinanzi al giudice adito;
  • è inesistente l’autenticazione della firma della parte effettuata da avvocato non abilitato, in quanto il potere di effettuare la suddetta certificazione presuppone l’esistenza dello ius postulandi, e l’invalidità della certificazione stessa implica la nullità della procura, con conseguente inammissibilità dell’appello anche sotto tale profilo;
  • in caso di contestazione dello ius postulandi per mancanza di iscrizione all’albo dei difensori abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, grava sul difensore interessato l’onere di dimostrare il contrario, producendo la certificazione da cui risulti tale potere, oppure allegandola in una memoria difensiva.

Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Lombardia, Milano, con la decisione della IV Sezione n. 928 in data 8 aprile 2014, ha affermato che il principio di proporzionalità, che consiste nel rispetto dell’equilibrio tra gli obiettivi perseguiti ed i mezzi utilizzati, va verificato secondo la tecnica dei tre gradini: l’idoneità, la necessarietà e l’adeguatezza. Il TAR chiarisce che l’idoneità è la capacità dell’atto di raggiungere gli obiettivi che lo stesso si propone; il principio di necessarietà orienta la scelta tra più mezzi astrattamente idonei al raggiungimento dell’obiettivo prefissato e permette di individuare quello ugualmente efficace, ma che incida meno negativamente nella sfera del singolo; una volta che l’atto è idoneo e necessario, se ne dovrà valutare la sua adeguatezza e cioè la tollerabilità da parte del privato in funzione del fine perseguito. (Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, il Giudice ha ritenuto non rispettoso del principio di proporzionalità il comportamento di una commissione di concorso che, nonostante avesse fissato tempi di concorso rigidi ed eccessivamente ristretti, ha escluso un candidato il quale si era presentato presso la sede di concorso 20 minuti dopo l’orario fissato per l’inizio delle prove, ma comunque prima del sorteggio delle buste contenenti le prove e della lettura della prova sorteggiata).

Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza n. 2619 del 21 maggio 2014, ha precisato che nessuna norma, né di rango primario, né di rango regolamentare, prevede che i componenti facoltativi della commissione edilizia comunale debbano o possano essere scelti in ragione della loro appartenenza alle forze politiche di maggioranza e/o di opposizione rappresentate in seno al consiglio comunale, sicché, considerata la natura dell’organo di cui si discute, non possono che venire in rilievo preminenti aspetti di natura tecnica; un’eventuale prassi contraria di “lottizzazione” dei membri facoltativi tra forze di maggioranza e forze di opposizione si porrebbe comunque in contrasto con la configurazione normativa della commissione edilizia comunale quale organo tecnico.

Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo la decisione del Consiglio di Stato, Sezione III, 7 aprile 2014 n. 1629, il difetto di motivazione nel provvedimento impugnato non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma, costituendo la motivazione del provvedimento il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n.  241 del 1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti.

Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 134 del 21 maggio 2014, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge regionale della  Basilicata n. 7 del 2013 ha statuito che:
  • se, in linea di principio, la disciplina delle distanze minime tra costruzioni va ricondotta alla materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, alle Regioni è comunque consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nella normativa statale, anche se unicamente a condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio;
  • la legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l’operatività dei suoi precetti a strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio;
  • nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza (statale e regionale), il punto di equilibrio è rinvenibile nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, dotato di efficacia precettiva e inderogabile, che ammette distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Corte Costituzionale al seguente indirizzo.



Il TAR Lombardia, Milano, sez. IV, con la sentenza n. 802 depositata il 27 marzo 2014 ha ribadito alcuni principi giurisprudenziali in tema di partecipazione al procedimento amministrativo e di tutela degli  interessi diffusi, ritenendo che:
  • in base al principio del raggiungimento dello scopo, recepito nell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, è escluso il vizio nel caso in cui la finalità della partecipazione del privato sia stata comunque raggiunta, anche in difetto della comunicazione di avvio del procedimento (nella fattispecie, il privato, malgrado detta omissione, aveva depositato memorie che la P.A. aveva espressamente acquisito e valutato in concreto nell’ambito dell’istruttoria);
  • ai fini dell’azionabilità degli interessi diffusi in materia ambientale, sebbene sussista la legittimazione ad agire anche in capo a soggetti non compresi tra le associazioni individuate ai sensi dell’art. 13 della legge n. 349/1986, è comunque necessario, quantomeno, che tale soggetto persegua in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale (nella fattispecie, si è escluso che un privato, mero operatore economico, abbia interesse ad impugnare un provvedimento amministrativo lamentando che il provvedimento stesso comprometterebbe il mantenimento di aspetti naturalistici del territorio).
La sentenza è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Con la sentenza n. 121 del 9 maggio 2014, la Corte Costituzionale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 4-ter, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano, conferma che la disciplina della SCIA si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva e trasversale per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e permette, di conseguenza, una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, riguardando il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti con carattere di generalità a tutti gli aventi diritto.
Il testo della sentenza è consultabile sul sito della Corte Costituzionale al seguente indirizzo.


La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la decisione della Quinta Sezione in data 8 maggio 2014 (causa C-161/13), ha dichiarato che:
  • "Gli articoli 1, paragrafi 1 e 3, nonché 2 bis, paragrafo 2, ultimo comma, della direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, devono essere interpretati nel senso che il termine per la proposizione di un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione dell’amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla legittimità di detta decisione di attribuzione. Tale termine inizia a decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o, in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno avuto conoscenza".
  • "Nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di un’irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto dell’Unione".
Il testo della decisione è consultabile sul sito della Corte di Giustizia dell'Unione Europea al seguente indirizzo.