Secondo il TAR Milano:
- l’assegnazione provvisoria in uso di immobili di proprietà comunale (per finalità religiose) è un atto meramente interinale, a effetti instabili, che non consolida alcuna posizione in capo all’aggiudicatario, perché è destinata a essere superata dall’aggiudicazione definitiva, a sua volta espressiva di ulteriori valutazioni da parte dell’amministrazione;
- l’aggiudicazione provvisoria è un atto endoprocedimentale, interno alla procedura di individuazione dell’aggiudicatario, per sua natura inidoneo, al contrario dell'aggiudicazione definitiva, ad attribuire in modo stabile il bene della vita e ad ingenerare un legittimo affidamento sulla spettanza del bene stesso;
- la c.d. revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è qualificabile come espressione del potere di autotutela dell’amministrazione, perché non integra un riesame di un atto produttivo di effetti stabili in capo al destinatario, incidendo piuttosto su un atto interno al procedimento, che non può dirsi ancora concluso;
- la c.d. revoca dell’aggiudicazione provvisoria è in realtà un atto di mero ritiro, per cui non può invocarsi, né quale parametro di legittimità, né a fini indennitari, l’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, dato che in tale ipotesi si è di fronte al mero ritiro di una determinazione destinata, per sua natura, a essere superata dall’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento;
- il ritiro dell’aggiudicazione provvisoria non è riconducibile all’esercizio di poteri di autotutela in senso stretto, perché non interviene su un atto a effetti stabili e durevoli e non incide su posizioni definitive e consolidate; di conseguenza, tale ritiro non soggiace alla disciplina dell’art. 21 quinquies (revoca) e dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 (autoannullamento), sicché è del tutto irrilevante la mancata esplicitazione delle ragioni di pubblico interesse sottese al ritiro stesso.

Aggiunge, poi, il TAR Milano che la subordinazione dell’installazione di attrezzature religiose a una specifica attività di pianificazione e programmazione, oltre a essere in sé legittima sul piano costituzionale, perché attiene alla disciplina di una materia rimessa alla legislazione regionale concorrente, non è di per sé idonea a introdurre discriminazioni tra le diverse confessioni religiose.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1783 del 5 settembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che la violazione della disciplina contenuta nel regolamento del consiglio comunale in materia di ordine del giorno delle sedute e di interventi consentiti ai consiglieri comunali può essere invocata soltanto dai componenti del Consiglio comunale.
Secondo il TAR Milano, la convocazione è un atto preparatorio del procedimento volto alla manifestazione della volontà di un organo collegiale, che ha la duplice funzione di rendere edotti i componenti di questo circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare (per consentire la loro partecipazione alla riunione con la necessaria preparazione ed informazione) e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli assenti a seguito di deliberazione su materie non incluse nell'ordine del giorno; in questa prospettiva, le norme concernenti la convocazione delle sedute, il relativo ordine del giorno e le modalità mediante le quali i singoli consiglieri possono sottoporre specifiche questioni alla deliberazione dell’Organo collegiale sono poste a presidio del corretto svolgimento del munus publicum del consigliere, al quale deve essere assicurata la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per esercitare consapevolmente il proprio ius ad officium; la violazione di tali norme, tuttavia, pur potendo determinare l’illegittimità della deliberazione assunta dall’Organo collegiale, può essere fatta valere soltanto dai relativi componenti, poiché solo a questi spetta valutare se il mancato rispetto delle procedure abbia determinato un vulnus alle proprie prerogative di partecipazione all’attività dell’Organo; viceversa, se i singoli consiglieri, potenzialmente lesi dalle suddette violazioni, non ritengano di dover reagire, i vizi formali concernenti le mere modalità di convocazione della seduta rimangono assorbiti dalla formazione della volontà collegiale, senza che sia consentito far valere le predette irregolarità a soggetti diversi dai componenti dell’Organo.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda. n. 1787 del 6 settembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il TAR Milano richiama l’orientamento giurisprudenziale sui limiti alla configurabilità dell'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico, ossia dell’interesse attinente al vantaggio astrattamente conseguibile, per effetto della riedizione dell'attività pianificatoria, da chi alleghi un vizio di tipo procedimentale e precisa che:
 - tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire;
- si tratta di un principio di carattere generale, valevole in tutti i casi in cui siano prospettati vizi procedimentali relativi all’iter di formazione di uno strumento urbanistico, e che è stato altresì specificamente declinato con riferimento ai vizi attinenti alla procedura di valutazione ambientale strategica;  a tale ultimo riguardo l’interesse a impugnare lo strumento pianificatorio non può esaurirsi nella generica aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, richiedendosi, invece che le determinazioni lesive fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente condizionate, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà.


La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 1788 del 6 settembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Lazio, la volontà del legislatore, come letteralmente espressa nell’art. 120, comma 2 bis, c.p.a., limita l’ambito di operatività della disposizione in questione alle sole esclusioni (ovvero alle ammissioni) disposte dalla Stazione Appaltante “all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali” dell’operatore partecipante; ciò significa che, non ogni fattispecie di esclusione dalla procedura di gara rientra nel raggio applicativo dell’art. 120, comma 2 bis, ma soltanto quelle ipotesi in cui la sanzione espulsiva è conseguente a carenze insanabili attinenti ai requisiti di partecipazione, i quali, anche sul piano della sequenza procedimentale che la commissione di gara è tenuta a seguire, vengono accertati prima di procedere all’apertura delle offerte (tecnica ed economica).
Aggiunge il TAR che quando, viceversa, l’esclusione venga disposta per una carenza formale o contenutistica propria dell’offerta economica (e, non diversamente, in caso di vizi concernenti la formulazione dell’offerta tecnica), la quale emerga soltanto e necessariamente a seguito dell’apertura di essa, si è in una fase e in una tipologia di esclusione oggettivamente diverse rispetto a quelle contemplate all’interno del comma 2 bis, il quale si riferisce alla fase che precede l’apertura delle offerte e dalla quale dipende la possibilità stessa dell’impresa di partecipare alle successive fasi della procedura selettiva.


La sentenza del TAR Lazio, Sezione Terza, n. 9147 del 2 agosto 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.