Anche dopo la stipula del contratto, sussiste per l'Amministrazione la possibilità dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva. Tale potere di autotutela trova ora un fondamento normativo anche nella previsione dell’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa. Il citato art. 21 nonies della l. 241/90 stabilisce che l’annullamento debba intervenire entro un termine ragionevole elastico e se si tratta di provvedimenti favorevoli comunque non oltre 12 mesi. Tuttavia, il comma 2 bis dell’art. 21 nonies della l. 241/90 autorizza il superamento del termine di dodici mesi, di cui al comma 1: a) sia in presenza di “false rappresentazioni dei fatti”; b) sia (alternativamente, come fatto palese dall’uso della congiunzione disgiuntiva) in caso di “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”; cioè nelle ipotesi in cui ci sia stato un comportamento doloso equiparabile alla colpa grave e più in generale in caso di malafede oggettiva, perché ciò esclude che si sia in presenza di un legittimo affidamento.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 513 del 17 febbraio 2025


Il Consiglio di Stato precisa che la possibilità che all’aggiudicazione provvisoria della gara non faccia seguito quella definitiva è evento del tutto fisiologico, il che esclude qualsivoglia affidamento tutelabile; pertanto, la revoca (come pure l’annullamento) dell’aggiudicazione provvisoria non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto endoprocedimentale che si inserisce nell’ambito del procedimento di scelta del contraente come momento necessario, ma non decisivo; solamente l’aggiudicazione definitiva attribuisce, in modo stabile, il bene della vita ed è, pertanto, idonea ad ingenerare un affidamento in capo all’aggiudicatario, sì da imporre l’instaurazione del contraddittorio procedimentale.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 5834 del 10 ottobre 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano:
- l’assegnazione provvisoria in uso di immobili di proprietà comunale (per finalità religiose) è un atto meramente interinale, a effetti instabili, che non consolida alcuna posizione in capo all’aggiudicatario, perché è destinata a essere superata dall’aggiudicazione definitiva, a sua volta espressiva di ulteriori valutazioni da parte dell’amministrazione;
- l’aggiudicazione provvisoria è un atto endoprocedimentale, interno alla procedura di individuazione dell’aggiudicatario, per sua natura inidoneo, al contrario dell'aggiudicazione definitiva, ad attribuire in modo stabile il bene della vita e ad ingenerare un legittimo affidamento sulla spettanza del bene stesso;
- la c.d. revoca dell’aggiudicazione provvisoria non è qualificabile come espressione del potere di autotutela dell’amministrazione, perché non integra un riesame di un atto produttivo di effetti stabili in capo al destinatario, incidendo piuttosto su un atto interno al procedimento, che non può dirsi ancora concluso;
- la c.d. revoca dell’aggiudicazione provvisoria è in realtà un atto di mero ritiro, per cui non può invocarsi, né quale parametro di legittimità, né a fini indennitari, l’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, dato che in tale ipotesi si è di fronte al mero ritiro di una determinazione destinata, per sua natura, a essere superata dall’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento;
- il ritiro dell’aggiudicazione provvisoria non è riconducibile all’esercizio di poteri di autotutela in senso stretto, perché non interviene su un atto a effetti stabili e durevoli e non incide su posizioni definitive e consolidate; di conseguenza, tale ritiro non soggiace alla disciplina dell’art. 21 quinquies (revoca) e dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 (autoannullamento), sicché è del tutto irrilevante la mancata esplicitazione delle ragioni di pubblico interesse sottese al ritiro stesso.

Aggiunge, poi, il TAR Milano che la subordinazione dell’installazione di attrezzature religiose a una specifica attività di pianificazione e programmazione, oltre a essere in sé legittima sul piano costituzionale, perché attiene alla disciplina di una materia rimessa alla legislazione regionale concorrente, non è di per sé idonea a introdurre discriminazioni tra le diverse confessioni religiose.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 1783 del 5 settembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.