Il TAR Milano ricorda che il ricorso collettivo, cioè l’atto con cui la medesima azione processuale viene esperita uno actu da più soggetti, si pone in apparente deroga alla fondamentale regola, tipica del sistema a giurisdizione soggettiva, per cui ogni domanda deve essere proposta dal singolo titolare della situazione soggettiva di interesse al bene della vita. L’elaborazione pretoria ha ritenuto possibile una tale figura in presenza di stringenti requisiti positivi e negativi, che possono così essere riepilogati: a) è necessario che non vi sia conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra le istanze dei ricorrenti; b) serve un’identità sostanziale e processuale delle posizioni dei ricorrenti, specificamente riferita a: posizione giuridica sostanziale per la quale si agisce in giudizio, con riguardo al potere amministrativo esercitato; pronuncia richiesta al giudice; atti impugnati nel senso che tutti gli atti oggetto di impugnazione siano comuni ai ricorrenti, cioè siano tutti (e ciascuno di essi) egualmente lesivi di identiche posizioni di interesse legittimo; motivi di censura. La richiamata apparenza della deroga riposa sulla seguente considerazione: in presenza dei suddetti requisiti, la pluralità dei ricorrenti si tramuta in un’unica parte processuale soggettivamente complessa, senza che la proposizione di un ricorso da più distinti soggetti, avverso un unico atto, possa tramutarsi in una sorta di inammissibile giurisdizione oggettiva.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2333 del 29 luglio 2024



Il TAR Milano precisa che:
<<Non si ritiene, infatti, che il ricorso collettivo possa qualificarsi come una “deroga” al dichiarato principio che imporrebbe al titolare dell’interesse di proporre una domanda separata. Difettano previsioni in tal senso sia nell’ordito del codice di rito amministrativo che in quello civile a cui rinvia la previsione di cui all’articolo 39 c.p.a., “deponendo anzi in senso (tendenzialmente) contrario le norme in tema di connessione, presenti in ambedue i Codici (artt. 31-36, art. 40 c.p.c.; art. 70 Cpa)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719). L’elemento che consente ad una pluralità di soggetti di assumere la qualità di attore o ricorrente è la identità di posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela. Situazione che “più che “derogatoria” di un principio generale, costituisce una ipotesi ordinaria di esercizio del potere di azione, proiezione in sede processuale di una situazione sostanziale identica, accomunante tutti gli attori o ricorrenti” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719). Del resto, non mancano in giurisprudenza esempi di situazioni nelle quali la proposizione di giudizi autonomi in caso di identità di posizioni sia persino ritenuta contraria al canone di buona fede e correttezza processuale (cfr., Cassazione civile, Sezioni unite, 15.11.2007 n. 23726; Id., sez. III, 22.12.2011 n. 28266; Id., 9.4.013 n. 8576; Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.11.2016 n. 5019). Non sembra, quindi, predicabile il carattere derogatorio dell’azione collettiva proposta in ambito civile o amministrativo.
11.2. Affermazione che, tuttavia, non si traduce nel deflettere dal necessario accertamento dei presupposti tipici di simile modalità di esercizio dell’azione che, come spiegato, risiedono nella verifica della ricorrenza di “identità di situazioni sostanziali e processuali”. E’, quindi, necessario verificare:
i) la “identità” della posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela in giudizio (intendendosi per “identità” non già la astratta appartenenza della posizione considerata ad una delle due species tutelate dal nostro ordinamento giuridico, quanto la riconducibilità di tutte le posizioni alla medesima tipologia posta dall’atto di esercizio del medesimo potere amministrativo);
ii) la “identità” del tipo di pronuncia richiesto al Giudice;
iii) la “identità” degli atti impugnati, nel senso che tutti gli atti oggetto di impugnazione siano “comuni” ai ricorrenti, cioè siano tutti (e ciascuno di essi) egualmente lesivi di “identiche” posizioni di interesse legittimo;
iv) la identità dei motivi di censura rivolti avverso gli atti impugnati che rappresenta una evidente conseguenza della relazione intercorrente tra atto illegittimo e situazione giuridica posta dall’esercizio del potere e da questo, nel concreto esercizio, illegittimamente lesa (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719).>>
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 908 del 26 aprile 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano non ritiene che il ricorso collettivo possa qualificarsi come una vera e propria “deroga” al principio che imporrebbe al titolare dell’interesse di proporre una domanda separata.
Precisa al riguardo il TAR che:
<<Difettano previsioni in tal senso sia nell’ordito del codice di rito amministrativo che in quello civile a cui rinvia la previsione di cui all’articolo 39 c.p.a., “deponendo anzi in senso (tendenzialmente) contrario le norme in tema di connessione, presenti in ambedue i Codici (artt. 31-36, art. 40 c.p.c.; art. 70 Cpa)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719). L’elemento che consente ad una pluralità di soggetti di assumere la qualità di attore o ricorrente è la identità di posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela. Situazione che “più che “derogatoria” di un principio generale, costituisce una ipotesi ordinaria di esercizio del potere di azione, proiezione in sede processuale di una situazione sostanziale identica, accomunante tutti gli attori o ricorrenti” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719). Del resto, non mancano in giurisprudenza esempi di situazioni nelle quali la proposizione di giudizi autonomi in caso di identità di posizioni sia persino ritenuta contraria al canone di buona fede e correttezza processuale (cfr., Cassazione civile, Sez. Un., 15.11.2007 n. 23726; Id., Sez. III, 22.12.2011 n. 28266; Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.11.2016 n. 5019). Non sembra, quindi, predicabile il carattere derogatorio dell’azione collettiva proposta in ambito civile o amministrativo.
10.4. Affermazione che, tuttavia, non si traduce nel deflettere dal necessario accertamento dei presupposti tipici di simile modalità di esercizio dell’azione che, come spiegato, risiedono nella verifica della ricorrenza di “identità di situazioni sostanziali e processuali”. E’, quindi, necessario verificare: 
i) la “identità” della posizione giuridica sostanziale per la quale si richiede tutela in giudizio (intendendosi per “identità” non già la astratta appartenenza della posizione considerata ad una delle due species tutelate dal nostro ordinamento giuridico, quanto la riconducibilità di tutte le posizioni alla medesima tipologia posta dall’atto di esercizio del medesimo potere amministrativo); 
ii) la “identità” del tipo di pronuncia richiesto al Giudice; 
iii) la “identità” degli atti impugnati, nel senso che tutti gli atti oggetto di impugnazione siano “comuni” ai ricorrenti, cioè siano tutti (e ciascuno di essi) egualmente lesivi di “identiche” posizioni di interesse legittimo; 
iv) la identità dei motivi di censura rivolti avverso gli atti impugnati che rappresenta una evidente conseguenza della relazione intercorrente tra atto illegittimo e situazione giuridica posta dall’esercizio del potere e da questo, nel concreto esercizio, illegittimamente lesa (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 5.10.2018, n. 5719)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1894 del 6 agosto 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Brescia dichiara la perenzione del ricorso nei confronti di alcuni ricorrenti che non hanno sottoscritto l’istanza di fissazione dell’udienza ex art. 82 c.p.a. che onera il ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all’articolo 24 e dal suo difensore entro centottanta giorni dalla ricezione dell’avviso di perenzione.
Precisa al riguardo che: «Gli originari proponenti l’odierno gravame, infatti, erano titolari di posizioni soggettive distinte, sicché era onere di ciascuno di essi attivarsi con l’atto di impulso, dichiarando l’interesse a proseguire l’azione promossa per la loro tutela. Il Collegio è ben consapevole dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel caso di ricorso collettivo, è sufficiente ad impedire il verificarsi di tale causa estintiva il fatto che la dichiarazione prevista dalla legge sia formulata e sottoscritta da una sola delle parti ricorrenti (Cons. Stato, sez. II, 6 aprile 2020, n. 2304; Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5344); detto principio è stato peraltro affermato con riferimento a cause inscindibili, laddove invece -a fronte di cause scindibili quale quella odierna- “gli effetti processuali della dichiarazione di una o più parti sono inevitabilmente inidonei a estendersi alle altre parti, ben potendo la vicenda processuale, proprio in virtù della rilevata scindibilità delle posizioni, continuare a svolgersi solo nei confronti di alcune delle parti e non di altre.” (Cons. Stato, sez. IV, ord. 27 settembre 2016, n. 3951)».

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 428 del 4 giugno 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Brescia precisa che la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di precisi requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo:
- i primi dei quali, rappresentati dall’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con quella degli altri;
- i secondi, invece, integrati dalla identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi.
IL TAR aggiunge che, nell’ipotesi in cui il ricorso collettivo, in presenza verificata degli altri presupposti di ammissibilità innanzi indicati, preveda sia (come è necessario) motivi comuni a tutti i ricorrenti (rivolti avverso gli stessi atti e dunque riconducibili ad una medesima posizione sostanziale), sia motivi riferibili solo ad alcuni di essi, il ricorso proposto non può tuttavia essere considerato totalmente inammissibile, dovendosi invece limitare la declaratoria di inammissibilità solo ai motivi non comuni.

La sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sezione Prima, n. 699 del 15 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.


Il TAR Milano precisa che in materia di ricorso collettivo per conseguire il pagamento di differenze retributive da parte di personale in regime di rapporto di lavoro non privatizzato è inammissibile il ricorso collettivo che nulla dica in ordine alle condizioni legittimanti e all'interesse di ciascuno dei ricorrenti, in quanto tale situazione impedisce sia all'amministrazione emanante sia al giudice di controllare il concreto e personale interesse degli stessi e l'omogeneità e non confliggenza dell'interesse dei singoli; inoltre è (parimenti) inammissibile il ricorso collettivo che non contenga la specifica indicazione, almeno nei tratti essenziali, dei fatti che connotano la posizione di ciascuno dei soggetti che ricorrono collettivamente, in tal modo precludendo al giudice amministrativo di entrare nel merito della pretesa e quindi anche di esperire l'eventuale attività istruttoria necessaria per valutare la fondatezza della domanda.
Aggiunge il TAR Milano che anche la precisazione delle spettanze asseritamente dovute rappresenta una condizione di ammissibilità dell’azione, in quanto, stante l'unicità del giudizio amministrativo, il giudice non può limitarsi a pronunciare soltanto la condanna al pagamento delle somme dovute in via generica, rimettendo ad altro giudizio la quantificazione del dovuto, ma è tenuto a condannare la pubblica amministrazione al pagamento del quantum spettante a ciascun interessato che abbia proposto ricorso.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1540 del 20 giugno 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.