Il TAR Piemonte ha sottoposto all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione Europea i due seguenti quesiti:
1) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che, impone all’operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione dei partecipanti;
2) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che preclude all’operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l’illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell’aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l’atto di ammissione nel termine suindicato”.


L’ordinanza del TAR Piemonte, Sezione Prima, n. 88 del 17 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Il Consiglio di Stato, dopo aver ricordato che, ai sensi dell’art. 85, comma 7, c.p.a., avverso l’ordinanza che decide sull'opposizione proposta avverso il decreto di perenzione «può essere interposto appello», precisa che la previsione dell’appellabilità dell’ordinanza collegiale che definisce il giudizio di opposizione avverso il decreto presidenziale di perenzione presuppone che l’ordinanza sia stata pronunciata nell’ambito di un giudizio di primo grado, mentre la stessa resta sottratta a qualsiasi mezzo ordinario d’impugnazione – salvo la revocazione, in presenza dei relativi presupposti – se resa dal giudice di secondo e ultimo grado.


La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 5923 del 15 dicembre 2017 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


La Corte di Cassazione, Sezione Seconda, enuncia il seguente principio di diritto in materia di distanze tra gli edifici: "In tema di distanze tra costruzioni, l'art. 9 comma primo del d.m. 02/04/1968, n. 1444 - traendo la sua forza cogente dai commi 8 e 9 dell'art. 41 quinquies L. urb. e prescrivendo, per la zona A, per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, che le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti - è disciplina integrativa dell'art. 873 cod. civ. immediatamente idonea a incidere sui rapporti interprivatistici, per cui, sia in caso di adozione di strumenti urbanistici contrastanti con la norma citata, sia con ancor maggior fondamento in caso di mancanza di contrasto e quindi in presenza di disposizioni di divieto assoluto di costruire, sussiste l'obbligo per il giudice di merito - nel primo caso mediante disapplicazione della disposizione illegittima, nel secondo caso mediante diretta applicazione della norma di divieto - di dare attuazione alla disposizione integrativa dell'art. 873 cod. civ., ove il costruttore sia stato proprietario di un preesistente volume edilizio, mediante condanna all'arretramento di quanto successivamente edificato oltre i limiti di tale volume o, qualora invece non sussistesse alcun preesistente volume, mediante condanna all'integrale eliminazione della nuova edificazione".

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda, n. 16161 del 23 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, Sezione SentenzeWeb.

A sua volta, il TAR Milano  richiama e fa proprio l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell'applicazione delle norme sulle distanze dettate dall'art. 873 del codice civile e seguenti o dalle disposizioni regolamentari integrative del codice civile, per costruzione deve intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata e, segnatamente, dall'impiego di malta cementizia; mentre il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c., per la parte che adempie alla sua specifica funzione, devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente. Sempre secondo tale orientamento occorre precisare che l’espressione "terrapieno naturale" consiste in un ossimoro, poiché ogni terrapieno, consistendo in un riporto di terra (contro un muro o) sostenuto da un muro è per definizione opera dell'uomo, e dunque artificiale, mentre naturale può essere soltanto il dislivello del terreno, originario ovvero prodotto o accentuato da movimenti franosi o da altre cause non immediatamente riferibili all'attività dell'uomo: dunque, a termini dell'art. 873 c.c., i muri di sostegno di terrapieni sono costruzioni.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 180 del 22 gennaio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Si segnala il convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano su arbitrato e impresa, che si terrà nei giorni 8 e 9 febbraio 2018.
Il Convegno è articolato in varie sessioni una delle quali, nel pomeriggio del giorno 9 febbraio 2018, è specificamente dedicata al diritto amministrativo.