L’art. 30, comma 3 bis, del D.L. n. 69/2013 – a mente del quale “il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31 dicembre 2012, sono prorogati di tre anni” – va interpretato nel senso che l'estensione di tre anni della proroga a tutti i termini previsti nell'ambito della singola convenzione urbanistica opera con esclusivo riferimento alle convenzioni ancora efficaci al momento di entrata in vigore della legge di conversione e non anche con riferimento ad accordi pur stipulati entro il 31 dicembre 2012 ma non più efficaci

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, n. 1161 del 4 aprile 2025


Il TAR Milano osserva che il riconoscimento legislativo del diritto di proroga integra automaticamente, ai sensi dell’articolo 1374 del codice civile, il rapporto concessorio in essere, limitatamente al profilo della durata, senza richiedere l’intermediazione del potere amministrativo mediante la formulazione di un accordo - come previsto nella diversa fattispecie della rinegoziazione del rapporto concessorio, di cui all’articolo 216, comma 4, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito nella legge 17 luglio 2020, n. 77 - o di un provvedimento costitutivo dell’amministrazione proprietaria dell’impianto sportivo (fattispecie in materia di proroga automatica delle concessioni d’uso degli impianti sportivi, in virtù dei disposti degli artt. 100, comma 1, secondo periodo, del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito nella legge 13 ottobre 2020, n. 126, e dall’art. 16, comma 4, del decreto legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, che risponde ad un’esigenza eccezionale, di natura programmatica, che è quella di contrastare gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha determinato a carico delle associazioni sportive senza scopo di lucro, al fine appunto di favorire il ripristino del loro riequilibrio economico-finanziario, in previsione delle future procedure di affidamento).

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1204 del 22 maggio 2023.


La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 12, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, secondo periodo, limitatamente alla parte in cui prevede che i vincoli preordinati all’espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi decadono qualora, entro cinque anni decorrenti dall’entrata in vigore del piano stesso, l’intervento cui sono preordinati non sia inserito, a cura dell’ente competente alla sua realizzazione, nel programma triennale delle opere pubbliche e relativo aggiornamento.
Osserva al riguardo la Corte che:
<<le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 9, comma 12, della legge reg. n. 12 del 2005 sono fondate, poiché tale disposizione viola gli artt. 42, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost.
Non può che ribadirsi, nel solco della sentenza n. 179 del 1999, che la proroga in via legislativa dei vincoli espropriativi è fenomeno inammissibile dal punto di vista costituzionale, qualora essa si presenti «sine die o all’infinito (attraverso la reiterazione di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza».
Questo è proprio il vizio che presenta, in primo luogo, la disposizione censurata.
Come correttamente evidenziato dal giudice rimettente, infatti, l’art. 9, comma 12, secondo periodo, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, consente la protrazione dell’efficacia del vincolo preordinato all’esproprio ben oltre la naturale scadenza quinquennale e, in virtù dell’inclusione dell’aggiornamento annuale del programma triennale delle opere pubbliche nell’ambito applicativo della norma, per un tempo sostanzialmente indefinito, senza che sia previsto il riconoscimento al privato interessato di alcun indennizzo.
Questo effetto si pone in frontale contrasto con la giurisprudenza costituzionale illustrata in precedenza, dando seguito alla quale il legislatore statale ha individuato un ragionevole punto di equilibrio tra la reiterabilità indefinita dei vincoli e la necessità di indennizzare il proprietario.
Gli artt. 42, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. sono, infatti, violati in tutti i casi in cui – come avviene nella specie – alla protrazione automatica di vincoli di natura espropriativa, disposta da una legge regionale oltre il punto di tollerabilità individuato dal legislatore statale, non corrisponda l’obbligo di riconoscere un indennizzo.
A ciò si aggiunga che, nel consentire la proroga senza indennizzo del vincolo preordinato all’esproprio oltre il quinquennio originario, il legislatore regionale ha omesso di imporre un preciso onere motivazionale circa l’interesse pubblico al mantenimento del vincolo per un periodo che oltrepassa quello cosiddetto di franchigia: ciò che invece è richiesto dalla legge statale (art. 9, comma 4, t.u. espropriazioni) per le ipotesi di reiterazione del vincolo.
Ancora, e si tratta di un profilo che non risulta certo ultimo per importanza, la disposizione censurata appare del tutto carente quanto al livello di garanzia partecipativa da riconoscersi al privato interessato.
Proprio in materia espropriativa, questa Corte ha da tempo affermato che i privati interessati, prima che l’autorità pubblica adotti provvedimenti limitativi dei loro diritti, devono essere messi «in condizioni di esporre le proprie ragioni, sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico» (da ultimo, sentenza n. 71 del 2015).
La garanzia in parola è, invece, frustrata da un atto – l’approvazione del programma triennale delle opere pubbliche – in relazione al cui contenuto il codice dei contratti pubblici prevede forme di partecipazione di qualità e grado insufficienti, e comunque non corrispondenti a quelle stabilite dal t.u. espropriazioni (in particolare nell’art. 11) per gli atti appositivi e per quelli reiterativi del vincolo espropriativo.
Infatti, la partecipazione al procedimento che sfocia nel programma in questione è prevista esclusivamente dalla fonte regolamentare (d.m. n. 14 del 2018), non già dall’art. 21 cod. contratti pubblici e nemmeno dalla legge regionale. Inoltre, e soprattutto, l’art. 5, comma 5, del d.m. prima ricordato si limita a prevedere che le «amministrazioni possono consentire la presentazione di eventuali osservazioni» da parte dei privati interessati, così degradando la partecipazione a mera eventualità>>.

Corte Costituzionale n. 270 del 18 dicembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.