Il TAR Brescia osserva che il fatto che l’ordinanza contingibile e urgente, quale provvedimento atipico, sia atto a contenuto libero, non significa che quel contenuto non debba essere determinato: il destinatario del provvedimento deve essere in grado di sapere che cosa è tenuto a fare o non fare, quale azione o omissione determina l’inadempienza all’ordine della pubblica Autorità; non può quindi essere richiesto al privato, destinatario di un provvedimento contingibile e urgente, un procedimento interpretativo per comprendere quali interventi debbano essere effettuati (fattispecie in materia di emissioni odorigine moleste).

TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 588 del 23 giugno 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte di Cassazione precisa in materia di immissioni acustiche «Come è stato affermato da questa Corte (Cass. n. 1069 del 2017), in materia di immissioni sonore, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti dalla normativa rilevante in materia, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c. Invero, se le emissioni acustiche superano, per la lor particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa a tutela dei interessi della collettività, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 cc e, pertanto, illecite, anche sotto il profilo civilistico. L’eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può, tuttavia, fare considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo). Spetta, peraltro, al giudice di merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale tollerabilità (Cass. n. 887 del 2011)».

Corte di Cassazione, Sez. VI, n. 2757 del 6 febbraio 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


Il TAR Milano, dopo aver precisato che la DGR n. 9976/2002, al punto 2.1. indica che, quanto alle infrastrutture stradali, “La presenza di strade di quartiere o locali (strade di tipo E ed F di cui al D.lgs. 285/1992) ai fini della classificazione acustica è senz’altro da ritenere come un importante parametro da valutare per attribuire sulla strada la stessa classe di appartenenza delle aree prossime alla stessa . Le strade di quartiere o locali vanno pertanto considerate parte integrante dell’area di appartenenza ai fini della classificazione acustica, ovvero, per esse non si ha fascia di pertinenza ed assumono la classe delle aree circostanti, che in situazioni di particolare esigenza di tutela dall’inquinamento acustico può anche essere la classe I”, prende atto che il Comune di Milano ha compiuto una scelta diversa; invero, nel Documento di Classificazione Acustica del Comune di Milano, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 32 del 9 settembre 2013, nell’allegata relazione tecnica viene espressamente indicato, come criterio adottato per la predisposizione del Documento stesso, che “Le strade, i sedimi ferroviari, i fiumi ed i Navigli non sono stati classificati”.
Ne consegue, secondo il TAR, che l’area esterna in concessione (plateatico), ove viene esercitata l’attività di bar e ristorante nella zona dei Navigli a Milano, in quanto parte della strada, in base al Documento di classificazione acustica del Comune di Milano, non è classificata a tale fine e ad essa non possono applicarsi i valori di emissione sonora della zona, ma solo quelli di immissione da rilevarsi ai recettori.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Terza, n. 1963 del 12 settembre 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.




La Corte di Cassazione afferma che, nell'accogliere la domanda volta a far cessare le immissioni, il giudice del merito, pur avendo la facoltà di scegliere tra le diverse misure consentite dalla norma, ha tuttavia l'obbligo di precisare le ragioni della scelta dell'una o dell'altra e di indicare con sufficiente determinazione le misure in concreto adottate, soprattutto quando ritenga impossibile adottare misure meno invasive ed indispensabile condannare il convenuto alla cessazione delle immissioni e quindi anche dell'attività che ad esse dà luogo.
Aggiunge poi la Corte che il danno non patrimoniale subito in conseguenza di immissioni di rumore superiore alla normale tollerabilità non può ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno risarcibile con la lesione del diritto (nella specie quello al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane) ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, per il quale non vi è copertura normativa, ponendosi così in contrasto sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008), secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.; ne consegue che il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi a tal fine avvalersi anche di presunzioni gravi, precise e concordanti, sulla base però di elementi indiziari (da allegare e provare da parte del preteso danneggiato) diversi dal fatto in sé dell'esistenza di immissioni di rumore superiori alla normale tollerabilità.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Sesta, n. 19434 del 18 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione, sezione SentenzeWeb.


La Corte di Cassazione ribadisce che l'assenza di un danno biologico documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite nella fattispecie (rumori fastidiosi e odori sgradevoli provenienti da un depuratore), allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti (con riferimento, in particolare, all'art. 42, comma 2, Cost., che tutela la proprietà privata e detta i limiti per la compressione del relativo diritto), nonché tutelati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto a uniformarsi.

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, 10861 del 7 maggio 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Corte di cassazione, Sezione SentenzeWeb.