Il TAR Milano osserva che le disposizioni in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi non impediscono ogni tipologia di limitazione alle attività di carattere commerciale, ma solo quelle che derivano da valutazioni di carattere economico, che non possono essere rimesse alla P.A.; sono invece compatibili con il suddetto assetto normativo i vincoli (anche di natura urbanistica ed edilizia) fondati su superiori ragioni di interesse pubblico.
In tal senso richiama il precedente del Consiglio di Stato: «La liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione, non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l'attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica Amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali; la questione involge un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall'Autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell'ambiente urbano o afferenti all'ordinato assetto del territorio; esigenze che devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell'attività di impresa che non deve comunque svolgersi in contrasto con l'utilità sociale. […] È consentito ai Comuni operare scelte di pianificazione al fine di garantire un corretto insediamento delle strutture di vendita con riferimento anche agli aspetti connessi all'ambiente urbano; le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, infatti, rispondendo all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi e la diversità degli interessi pubblici tutelati impedisce di attribuire in astratto prevalenza, alle norme in materia commerciale rispetto al piano urbanistico. La anticoncorrenzialità della disposizione preclusiva ricorre pertanto solo allorché essa si sostanzi in valutazioni estrinseche di natura prettamente economica o commerciale» (Consiglio di Stato, IV, 1° giugno 2018 n. 3316).

TAR Lombardia, Milano, Sez. IV n. 1900 del 9 agosto 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Con l’atto introduttivo del giudizio parte ricorrente, assumendo l’illegittimità dei provvedimenti del Comune di diniego delle autorizzazioni commerciali, ha dedotto di aver patito un danno consistente nella mancata corresponsione del canone di locazione da parte della società promissaria conduttrice, a sua volta causato dall’impossibilità di aprire il punto vendita; secondo la ricorrente poi il mancato rilascio delle autorizzazioni è motivo di risoluzione del contratto preliminare di locazione.
Il TAR osserva in via generale che:
<<le disposizioni di un contratto di diritto comune e le condizioni e i termini apposti dalle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale, anche se ancorati a vicende ed eventi pubblicistici, sono idonei a vincolare soltanto le parti contraenti senza che ne derivi alcuna implicazione per l'Amministrazione.
L'inosservanza di un termine o il verificarsi di una condizione risolutiva, pur dipendente da provvedimenti amministrativi, non può essere opposta all’Amministrazione di riferimento, che resta estranea al contesto negoziale. È palese infatti che l'attività pubblicistica autoritativa giammai potrebbe essere condizionata e/o subordinata ad accordi privatistici, a cui peraltro l’Autorità pubblica è rimasta totalmente estranea, come avvenuto nel caso di specie.
L'apposizione di una condizione risolutiva dipendente dall’esercizio dell’attività autoritativa da parte di una pubblica Amministrazione è una scelta delle parti contraenti, che si assumono i rischi del verificarsi o meno della stessa.
Nella costruzione del regolamento negoziale, le parti hanno convenuto una modalità per liberarsi dalle obbligazioni nascenti dal contratto preliminare, ovvero apponendo una condizione risolutiva che consentiva, appunto, alle parti di sciogliersi dal vincolo contrattuale, stabilendo altresì espressamente di non avere “più nulla a pretendere l’una dall’altra per qualsivoglia motivo o costo sostenuto per quanto fatto sino al momento della risoluzione”>>.
Ricostruito il rapporto privatistico tra le parti contraenti, il TAR è dell’avviso che non sussistano – nella vicenda di cui è causa – gli elementi costitutivi di alcuna fattispecie illecita imputabile al Comune, per difetto dell’antigiuridicità del fatto e del nesso di causalità in termini di danno evento, ovvero di causalità fattuale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 13 del 4 gennaio 2022.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano, richiamando anche la previsione contenuta nell’articolo 4-bis della L.R. 2 febbraio 2010 n. 6, evidenzia come la liberalizzazione del commercio, in conformità alla direttiva 2006/123/CE, non comporti l’impossibilità per il Comune di impedire nuovi insediamenti commerciali, purché i dinieghi siano sorretti da ragioni urbanistiche e non economiche.
Al riguardo precisa che:
«8.4. Infatti, sebbene la disciplina (nazionale e sovranazionale) relativa all’insediamento delle attività commerciali esplichi un rilevante impatto anche sugli atti di programmazione territoriale, va, comunque, considerato che questi ultimi, adottati nell’esercizio del differente potere in materia di pianificazione urbanistica, sono da considerarsi legittimi ove perseguano, come nel caso di specie, finalità di tutela dell’ambiente urbano e siano riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio (cfr. T.A.R. per l’Emilia-Romagna – sede di Parma, Sez. I, 17 marzo 2016, n. 110; T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271; Id., Sez. II, 10 dicembre 2019, n. 2636).
8.5. La previsione di cui all’articolo 11 del D. Lgs. n. 59 del 2010 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) stabilisce, difatti, che l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio può essere subordinato al rispetto dei requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale (cfr.: comma 1, lettera e). Ugualmente le disposizioni di cui agli articoli 31 e 34 del decreto legge n. 201 del 2011 prevedono la possibilità di porre limitazioni all’insediamento di attività produttive e commerciali in determinate aree allorquando emerga la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali, trattandosi di esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione, nel rispetto del principio di proporzionalità, di atti limitativi della libera iniziativa privata (Corte costituzionale, sentenza n. 239 dell’11 novembre 2016). In tal modo si cerca di contemperare il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche con le dovute necessarie limitazioni alla libera iniziativa economica, laddove queste trovino puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale o negli ulteriori interessi che il legislatore ha individuato (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 200 del 12 luglio 2012; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3419; Id., 1° giugno 2018, n. 3314; Id., Sez. V, 13 febbraio 2017, n. 603).
8.6. In definitiva, la giurisprudenza ritiene legittime scelte di pianificazione che, nel perseguimento di interessi attinenti alla tutela dell’ambiente, della vivibilità e dell’ordinato assetto del territorio, impongano dei limiti all’insediamento di attività commerciali (cfr.: Corte costituzionale, sentenza n. 239 dell’11 novembre 2016; cfr., altresì, T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 25 maggio 2017, n. 1166)».

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 2139 del 12 novembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano precisa che la struttura unitaria di vendita, ovvero il centro commerciale, richiede la sussistenza di due convergenti e contestuali requisiti: uno materiale (la ricorrenza di un legame fisico) e uno funzionale (la comunanza della gestione ovvero dell’uso delle infrastrutture e dei servizi); è dunque necessario che gli utenti possano agevolmente transitare da una struttura di vendita all’altra, disponendo di appositi percorsi pedonali (gallerie, scale mobili) ovvero di altri mezzi (ascensori) appositamente studiati per consentire detto transito, all’uopo facilitando la “capacità di spesa” dei consumatori, che in tal guisa è idonea ad estrinsecarsi “indifferentemente” nelle due strutture (salve, ovviamente, le preferenze nascenti dalle diverse tipologie merceologiche dell’esercizio commerciale) anche attraverso la possibilità di trasportare in una struttura, a mezzo di carrelli od altri strumenti, gli acquisti precedentemente operati nella struttura “collegata”; tali percorsi possono essere indifferentemente al chiuso o all’aperto ma, in tale ultimo caso, devono differire dalla semplice transitabilità pubblica ordinariamente assicurata all’indistinta collettività a mezzo di marciapiedi od altre vie di transito pedonale: la considerazione giuridica unitaria di più strutture, invero, può darsi solo in presenza di elementi fattuali che ne differenzino e qualifichino la conformazione in maniera precisa, trovandosi altrimenti di fronte alla mera contiguità di strutture distinte.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 2539 del 28 novembre 2019.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Il TAR Milano chiarisce che la connessione tra pianificazione commerciale e territoriale è ormai un dato acquisito al sistema, essendo le due materie preordinate a finalità diverse (tutela della concorrenza e corretto uso del territorio) ma tra loro interferenti; ne consegue che va rimarcata la  rilevanza dell’aspetto urbanistico nella disciplina relativa alla localizzazione degli esercizi commerciali anche a seguito della direttiva comunitaria n. 123/2006/CEE, meglio nota come direttiva "Bolkestein", volta a ridurre i vincoli procedimentali e sostanziali gravanti sui servizi privati, nel cui ambito rientra il commercio, al fine di favorire la creazione nei vari Stati membri di un regime comune mirato a dare concreta attuazione ai principi di libertà di stabilimento e libera prestazione.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 743 del 3 aprile 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.


Secondo il TAR Milano, deve ritenersi un inammissibile cambio della destinazione agricola la realizzazione di spazi commerciali volti alla vendita di prodotti che non presentano alcun reale e diretto collegamento con l’attività agricola; nella fattispecie si trattava di prodotti per la cura della persona, candele, profumatori, deodoranti per ambienti, oggettistica e complementi d’arredo per la casa e gli spazi esterni, mobili per gli esterni (sedute, tavoli, ombrelloni ecc.), articoli per il campeggio e per il mare, cappelli, ciabatte, tovaglie e tappeti, ombrelloni e gazebi; prodotti questi che, secondo il TAR, non soltanto non sono prodotti agricoli (né, ovviamente, derivanti dall’attività agricola), ma neppure di prodotti che derivano dall’attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzata al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa o, comunque, strumentale a quest’ultima. Aggiunge poi il TAR che nella specifica controversia ciò che viene in rilievo non è l’autorizzazione alla vendita di singoli prodotti, ma il vincolo derivante dalla destinazione impressa (oggetto, tra l’altro, di specifici atti di impegno) e che deve ricondursi all’attività agricola e non può, quindi, estendersi ad attività commerciali ultronee.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Seconda, n. 595 del 19 marzo 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.