Una società che svolge attività di tintoria, candeggio e finissaggio di tessuti si lamenta di alcune prescrizioni tecniche a corredo dell’AUA che prevedono, fra l’altro, di effettuare il ricircolo delle acque di scarico qualora si accerti il superamento di un valore limite fissato in misura inferiore al 20 per cento rispetto a quello di accettabilità imposto dalla legge.
Il TAR Milano osserva che il punto 4 del paragrafo 1.2.3 dell’Allegato 5 del d.lgs. 152/2006 stabilisce che, al ricorrere di particolari condizioni, anche l’autorità che rilascia il titolo può stabilire valori-limite diversi e più restrittivi di quelli individuati in generale dal legislatore nazionale e dalle regioni. A tal fine è però necessario che il valore-limite per cui si intende introdurre la deroga sia relativo a sostanze pericolose e che tale possibilità sia prevista nel piano di tutela delle acque al fine di raggiungere più alti obiettivi di qualità.
Ciò precisato, il TAR afferma che l’AUA, laddove prevede l’obbligo di effettuare una nuova depurazione qualora i parametri delle acque reflue superino la soglia fissata in misura inferiore al 20 per cento rispetto a quella legale, ha in sostanza stabilito valori-limite più restrittivi rispetto a quelli individuati dall’Allegato 5; nel caso concreto l’Amministrazione neppure ha allegato il fatto che tali più bassi limiti siano stati individuati al ricorrere delle condizioni indicate dalla legge e la prescrizione impugnata si riferisce a dieci parametri alcuni dei quali sicuramente non riguardanti sostanze pericolose (ad es. parametro colore); inoltre, non viene effettuato alcun richiamo al piano di tutela delle acque né, a maggior ragione, si specifica che le nuove soglie sono state individuate al fine di perseguire i più alti standard di qualità in esso indicati.
Si deve pertanto ritenere, per il TAR, che il potere amministrativo non sia stato correttamente esercitato e che, quindi, la prescrizione scrutinata sia illegittima.

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1155 del 17 maggio 2023


Il TAR Milano, dopo aver ricordato che ai sensi dell’Allegato B alla L.R. Lombardia 2/2/2010, n. 5  sono sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA, di cui all'articolo 6, gli «Impianti per il trattamento biologico o anche chimico fisico (quali ad esempio digestori per la produzione del biogas, denitrificatori, impianti di strippaggio, etc.) di reflui di allevamenti, biomasse e/o altre materie organiche, con una potenzialità di trattamento superiore a 150 tonnellate/giorno di materie complessivamente in ingresso al sistema», reputa che, ai fini della verifica del rispetto della soglia delle 150 t/g, la norma deve essere interpretata nel senso che, laddove essa richiama le «materie complessivamente in ingresso al sistema», intende fare riferimento alle materie in ingresso nell’impianto di trattamento e non, invece, genericamente, alle materie in entrata nell’azienda dov’è ubicato l’impianto.
Queste ultime, a ben vedere, non possono rilevare ai fini della verifica della potenzialità dell’impianto poiché, da un lato, non è certo il momento in cui le stesse saranno effettivamente «trattate», non essendo prescritto di immettere nell’impianto tutte le biomasse il giorno stesso del loro arrivo in azienda; e, dall’altro, il relativo rifornimento dipende da circostanze che non sono del tutto dipendenti dalla volontà del gestore dell’impianto (ma legate, ad esempio, al ciclo stagionale della coltura di provenienza).

TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2792 del 13 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


La Corte di Giustizia UE, con riferimento alla situazione delle reti fognarie per la raccolta delle acque reflue urbane e/o di sistemi di trattamento delle acque reflue urbane di alcuni agglomerati urbani situati nel territorio italiano, ha così statuito:
La Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie per l’esecuzione della sentenza del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C565/10, EU:C:2012:476, non pubblicata), è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE.
2) Nel caso in cui l’inadempimento constatato al punto 1 persista al giorno della pronuncia della presente sentenza, la Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea una penalità di EUR 30 112 500 per ciascun semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per ottemperare alla sentenza del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C565/10, EU:C:2012:476, non pubblicata), a partire dalla data della pronuncia della presente sentenza e fino all’esecuzione integrale della sentenza del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C565/10, EU:C:2012:476, non pubblicata), penalità il cui importo effettivo deve essere calcolato alla fine di ciascun periodo di sei mesi riducendo l’importo complessivo relativo a ciascuno di questi periodi di una quota percentuale corrispondente alla percentuale che rappresenta il numero di abitanti equivalenti degli agglomerati i cui sistemi di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane sono stati messi in conformità con quanto statuito dalla sentenza del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C565/10, EU:C:2012:476, non pubblicata), alla fine del periodo considerato, in rapporto al numero di abitanti equivalenti degli agglomerati che non dispongono di tali sistemi al giorno della pronuncia della presente sentenza.
3) La Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea una somma forfettaria di EUR 25 milioni.
4) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Nella precedente sentenza del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C565/10) la Corte aveva statuito che la Repubblica italiana, avendo omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che 109 agglomerati situati nel territorio italiano fossero provvisti, a seconda dei casi, di reti fognarie per la raccolta delle acque reflue urbane e/o di sistemi di trattamento delle acque reflue urbane conformi alle prescrizioni dell’articolo 3, dell’articolo 4, paragrafi 1 e 3, nonché dell’articolo 10 della direttiva 91/271, era venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tali disposizioni.

La sentenza della Prima Sezione del 31 maggio 2018 (causa C-251/17) della Corte di Giustizia UE è consultabile sul sito della Corte di Giustizia al seguente indirizzo.