Il TAR Milano, in relazione all’obbligo di previsione della clausola sociale ex art. 50 del d.lgs 50 del 2016 e alla deroga prevista per i servizi diversi da quelli intellettuali, precisa che né la direttiva UE n. 24/2004 né il d.lgs. n. 50 del 2016 recano la precisazione di ciò che si intende per prestazione di natura intellettuale e sul punto la giurisprudenza, condivisa dal Tribunale, precisa che:
<<- la natura “intellettuale” della prestazione non si esaurisce nel suo carattere “immateriale”, occorrendo anche che essa sia prevalentemente caratterizzata dal profilo professionale e, dunque, personale, della prestazione resa, sicché non presenta natura intellettuale la prestazione che implica una serie di attività standardizzate, inserite in una complessa organizzazione aziendale, in cui difetta un apporto personale e professionale del singolo operatore (cfr. Tar Lazio, sez. II quater, 03 dicembre 2018 n. 11717);
- i servizi di natura intellettuale postulano modalità essenzialmente consulenziali ed assenza di rischio (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 14 ottobre 2019, n. 6955; Consiglio di Stato, sez. V, 19 gennaio 2017, n. 223);
- di conseguenza, non presentano natura intellettuale le attività che comprendono anche compiti materiali o “attività che comunque non richiedono un patrimonio di cognizioni specialistiche per la risoluzione di problematiche non standardizzate” (cfr. Tar Piemonte, sez. I, 25 luglio 2019, n. 843);
- “esemplificativamente, non possono essere considerate attività d’opera intellettuale quelle – routinarie – di installazione e aggiornamento del software delle macchine fornite, nonché quelle finalizzate alla loro connessione in rete” (cfr. giur cit.);
- non sono qualificabili come prestazioni intellettuali quelle che, pur immateriali, si risolvono nell’esecuzione di attività ripetitive, che non richiedono l’elaborazione di soluzioni ad hoc, diverse caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma di eseguire compiti standardizzati (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. IV, 26 agosto 2019, n. 1919)>>.

TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 191 del 21 gennaio 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano richiama l’orientamento della giurisprudenza, secondo il quale nelle gare pubbliche la c.d. clausola sociale deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; l'obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante; i lavoratori che non trovano spazio nell'organigramma dell'appaltatore subentrante e che non vengono ulteriormente impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali, ma la clausola non comporta invece alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato e in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria.
Sulla base di detti principi, il TAR Milano ritiene illegittima una clausola di un bando che non si limita a garantire il mantenimento in organico dei lavoratori già impiegati presso il gestore uscente, ma impone un obbligo specifico di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori in forze presso l’esecutore del servizio; la clausola sociale, per come è prevista, non si limita, dunque, ad assicurare i livelli occupazionali, ma si traduce in una vera e propria sostituzione indebita nella struttura organizzativa e nelle scelte imprenditoriali degli operatori economici, imponendo la tipologia di contratto di lavoro da stipulare.

La sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 936 del 6 aprile 2018 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa al seguente indirizzo.