Il presupposto di applicazione dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 227 del 2001 deve ravvisarsi nell'utilizzo di un bene privato da parte della PA "senza titolo", per non essere mai stato emesso il regolare decreto di esproprio. Sebbene la norma citata non contempli espressamente un avvio del procedimento ad istanza di parte, il privato può sempre sollecitare l'amministrazione ad avviare il relativo procedimento; quest'ultima ha l'obbligo di provvedere al riguardo, adeguando la situazione di fatto a quella di diritto, e l'eventuale inerzia configura silenzio-inadempimento impugnabile dinanzi al giudice amministrativo.

TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, n. 131 del 17 febbraio 2025


Il TAR Milano, in un giudizio in cui si controverte della legittimità dell’ordinanza di sgombero e di rilascio del c.d. regresso (spazio, solitamente di modesta dimensione, annesso ad uno stabile e posto sul retro), dà atto che, secondo la giurisprudenza, il sindacato incidentale consentito così all’autorità amministrativa come al giudice amministrativo non può sconfinare nella risoluzione delle controversie devolute al giudice civile e si attua svolgendo accertamenti e valutazioni critiche sulle situazioni giuridiche quali appaiono dagli atti e dai fatti che l’ordinamento appresta per dare contezza delle situazioni stesse, occorrendo attenersi alle risultanze dei contratti scritti e degli altri documenti cui è possibile avere accesso. Il Collegio aggiunge che, in base a un orientamento ancora più restrittivo, il giudice amministrativo non può conoscere neppure in via incidentale dell’eventuale acquisto della proprietà dell’area a titolo originario da parte del Comune per effetto dell’asserita occupazione posta in essere per realizzazione una strada e in ordine al quale nessun potere l’autorità amministrativa avrebbe potuto esercitare, potendo per quanto riguarda le proprietà immobiliare, soltanto una sentenza civile accertare l’avvenuta usucapione decennale o ventennale.

TAR Lombardia, Milano, Sez. V, n. 54 del 10 gennaio 2025



Il Consiglio di Stato, richiamando plurime sentenze, nelle quali sono già state compiutamente esposte le motivazioni che non consentono di condividere la tesi della predicabilità sistematica di una “usucapione pubblica” che si innesti su un procedimento espropriativo, osserva che 


«nelle menzionate decisioni è stato chiarito che comunque – a tutto concedere – in astratto una problematica di vaglio in ordine alla usucapibilità di beni appresi mercè l’occupazione dell’area innervata su un procedimento espropriativo non regolarmente conclusosi (ad esempio, come nel caso all’esame, per omessa emissione di un tempesti vo decreto di esproprio) potrebbe porsi laddove l’Amministrazione abbia posseduto ininterrottamente detto compendio immobiliare per il torno di tempo prescritto dal codice civile individuandosi quale dies a quo quello dell’entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il cui art. 43 ha sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva che costituiva una vera e propria fattispecie ablatoria seppure atipica.

7.2. Invero sino alla data di entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327–come è noto – costituiva approdo consolidato in giurisprudenza quello per cui la trasformazione dell’area implicasse acquisto automatico della proprietà (appunto per accessione invertita, ex art. 938 c.c.) in capo all’Amministrazione del suolo sul quale l’opera pubblica era sorta.

Il privato spossessato, quindi, non avrebbe potuto validamente esercitare alcuna opzione reintegratoria specifica, e non avrebbe potuto conseguire la restituzione dell’area, in quanto già passata in proprietà dell’Amministrazione.

7.3. Anche in conseguenza degli approdi a cui è pervenuta la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ex multis sentenze CEDU Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia 30 maggio 2000, n. 31524/96; Sciarrotta c. Italia 12 gennaio 2006, n. 14793/02; Guiso-Gallisay c. Italia, 22 dicembre 2009, n. 58858/00; Soc. Immobiliare Podere Trieste c. Italia, 23 ottobre 2012, n. 19041/2004; Rolim Commercial S.A. c. Portogallo, 16 aprile 2013, n. 16153/2009), il Legislatore statale è intervenuto e, in virtù del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, è stato sancito il superamento normativo dell’istituto dell’occupazione acquisitiva.

7.5. Ciò implica, in primo luogo, che per tutte le occupazioni antecedenti alla entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il tempo durante il quale l’Amministrazione ha esercitato un potere materiale sul bene occupato (ed eventualmente, medio tempore, trasformato) in epoca precedente alla entrata in vigore del citato d.P.R., non vale ai fini del computo del termine per la maturazione della usucapione dell’area.

Ciò per una ragione dirimente: se è vero che l’istituto dell’usucapione risponde ad una esigenza di certezza giuridica, “premia” il possesso ininterrotto dell’area e “sanziona” l’inerzia del proprietario dell’area medesima, il quale non ha esercitato le condotte materiali e/o le iniziative giuridiche che dimostrano il suo interesse a mantenerne la titolarità, è evidente che tale istituto può operare soltanto nei casi in cui il privato possa esercitare i diritti posti a presidio della propria posizione.

E’ questo, un principio logico, oltre che di civiltà giuridica, che nel sistema giuridico italiano trova espresso conforto normativo sub art. 2935 c.c. “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Posto che, antecedentemente alla entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, il privato proprietario non avrebbe potuto fare valere il proprio diritto alla restituzione, è del tutto logico che il tempo decorso (durante il quale l’Amministrazione ha, anche ininterrottamente detenuto il bene) prima di tale data non si computi ai fini della maturata usucapione».

Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5430 del 11 settembre 2020.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.