Il TAR Brescia, con riferimento alla norma di cui al comma 3 dell’art. 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, ai sensi della quale “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ossia successivamente al 6 dicembre 2017, osserva:
<<3.7. La norma in parola, infatti, nell’estendere anche alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di applicare l’istituto dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi da esse conferiti, è finalizzata ad assicurare una speciale protezione al professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, in tutti i casi in cui la pubblica amministrazione, a causa della propria preponderante forza contrattuale, definisca unilateralmente la misura del compenso spettante al professionista e lo imponga a quest’ultimo senza alcun margine di contrattazione; e ciò sia in occasione di affidamenti diretti dell’incarico professionale, sia nella determinazione della base d’asta nel contesto di procedure finalizzate all’affidamento dell’incarico professionale secondo le regole dell’evidenza pubblica.
3.8. La norma non trova invece applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare (in tal senso cfr. di recente, TAR Milano, Sez. I, 29 aprile 2021 n. 1071). E ciò per l’evidente motivo che nel caso in cui il professionista non sia costretto ad accettare supinamente il compenso predeterminato unilateralmente dall’amministrazione, ma contratti liberamente il proprio compenso su un piano paritetico con la committente, viene meno quella speciale esigenza di protezione del professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, su cui si fonda la ratio dell’istituto dell’equo compenso.>>
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 1088 del 20 dicembre 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il TAR Milano afferma che:

<<L’applicazione della disciplina dell’equo compenso, in quanto eccezione al principio pro-concorrenziale della libera pattuizione del compenso spettante al professionista, di cui all’articolo 13, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, soggiace a precisi limiti soggettivi, ovvero l’appartenenza del cliente alle categorie delle imprese bancarie, assicurative o di grandi dimensioni o la sua qualificazione come pubblica amministrazione, ed oggettivi, quali la predisposizione unilaterale delle clausole convenzionali da parte del cliente forte, senza che al professionista sia rimessa la possibilità di incidere sul loro contenuto (Consiglio di Stato, Sezione VI, 29 gennaio 2021, n. 874).
La disciplina dell’equo compenso non trova pertanto applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare>>.
Aggiunge il TAR Milano che:
<<La disciplina dell’equo compenso è rivolta a tutelare la posizione del professionista debole e non l’indipendenza, la dignità e il decoro della categoria professionale, la quale si realizza attraverso il rispetto dei precetti contenuti nel codice deontologico, che impongono al professionista di non offrire la propria prestazione in cambio di compensi lesivi della dignità e del decoro professionale, nel rispetto dei principi della corretta e leale concorrenza (articolo 9, comma 1, del Codice deontologico forense) e dei doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le Istituzioni forensi (articolo 19 del codice deontologico forense)>>.
TAR Lombardia, Milano, Sez. I, n. 1071 del 29 aprile 2021.
La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 284 del 5 dicembre 2017, è stata pubblicata la legge di conversione 4 dicembre 2017, n. 172 del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante: "Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili. Modifica alla disciplina dell'estinzione del reato per condotte riparatorie".
L’art. 19-quaterdecies di detto decreto legge introduce l’art. 13 bis (equo  compenso e clausole  vessatorie) alla legge 31 dicembre 2012, n. 247 "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense".
Si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni unilateralmente predisposte da imprese bancarie e assicurative, nonché da imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie  imprese quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'art. 13, comma 6, della legge n. 247 del 2012.
Il comma 3 dell'art. 19 quaterdecies citato prevede, poi, che la pubblica amministrazione, in  attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed  efficacia delle proprie  attività, garantisce  il  principio  dell'equo  compenso  in  relazione  alle prestazioni rese dai professionisti  in  esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.