Il TAR Milano rigetta la richiesta di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme di legge statali e regionali sulla caccia, per l’asserito contrasto delle medesime con l’art. 9 della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 2022, laddove si prevede che: «La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Osserva che la norma dell’art. 9 della Costituzione, ancorché inserita nei Principi Fondamentali di quest’ultima, appare di carattere programmatico e non immediatamente precettivo, creando una riserva di legge statale sulle modalità di tutela degli animali e rinviando quindi l’individuazione concreta di tali forme di tutela alle scelte del legislatore statale. Peraltro appare evidente che nell’esercizio del proprio potere normativo, il legislatore dovrà necessariamente bilanciare l’interesse alla tutela animale con altri valori costituzionali, visto che nel nostro ordinamento i valori fondamentali sono in rapporto di reciproca integrazione, senza che uno di essi possa assumere valenza assoluta verso gli altri; in altri termini occorre evitare che nell’ordinamento emergano quelli che, con efficace espressione, sono definiti come “diritti tiranni”. Il TAR aggiunge che l’ordinamento dell’Unione Europea non pare vietare la caccia. L’art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), se da una parte garantisce il rispetto del benessere animale, dall’altra impone il rispetto delle consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda le tradizioni culturali e il patrimonio regionale. L’attività venatoria è praticamente coeva alla storia umana e sebbene abbia perso ormai il suo carattere originario di prevalente – se non addirittura esclusiva – fonte di sostentamento delle comunità, rappresenta parimenti una parte della tradizione sociale e culturale italiana, senza contare che la caccia persegue oggi una finalità non solo ricreativa ma anche di misura di conservazione del patrimonio animale (si pensi all’abbattimento selettivo di specie reputate eccessivamente invasive oppure all’abbattimento per limitare la diffusione di gravi patologie quali la peste suina africana). In tal senso si veda la direttiva UE 2009/147/CE (c.d. direttiva uccelli), che ammette (decimo “considerando”) che talune specie possono formare oggetto di caccia, la quale costituisce un modo ammissibile di sfruttamento, seppure nel rispetto di determinati limiti. Inoltre il Consiglio d’Europa, nella sua Carta della caccia e della biodiversità, Principio 6, ha introdotto la nozione di “caccia sostenibile”, il che conferma la legittimità dell’attività venatoria per il Consiglio stesso, seppure nel rispetto della biodiversità e delle inderogabili esigenze di tutela ambientale.

TAR Lombardia, Milano, II, n. 2583 del 7 ottobre 2024


Il TAR Milano precisa che il secondo comma dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992 autorizza le regioni ad approvare un calendario venatorio regionale che può modificare i periodi di caccia previsti dal primo comma della stessa norma, previa acquisizione di un parere di ISPRA, dal quale ci si può discostare con adeguata motivazione. ISPRA opera, dunque, come organo di consulenza tecnico-scientifica delle regioni chiamato a verificare la compatibilità tra le previsioni del calendario e le esigenze di tutela della fauna selvatica. Considerata la natura tecnico-scientifica del parere emanato, le regioni, per potersi discostare da esso, debbono opporre a loro volta dati scientifici, riguardanti la ricognizione delle popolazioni faunistiche, in grado di dimostrare l’inattendibilità delle conclusioni di ISPRA. Non è invece possibile giungere a conclusioni diverse formulando contestazioni generiche dei dati utilizzati dalla stessa ISPRA oppure scaturenti da una loro diversa interpretazione, potendosi al più ipotizzare in questo caso una eventuale interlocuzione della Regione con l’Istituto al fine di ottenere correttivi del parere.

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 3176 del 21 dicembre 2023