Il TAR Milano con riferimento all’art. 8 del D.M. n. 1444/1968, il quale prescrive che per le Zone B) l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con l'eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all'art. 7, precisa che «il dato letterale della norma indica chiaramente che si debba far riferimento a una serie ristretta di edifici, identificabili in quelli circostanti, vale a dire immediatamente limitrofi. Non vi è alcuna ragione, testuale o logica, per estendere, invece, l’ambito dell’area di raffronto a tutto il “contesto urbanistico”, ... Anzi, una simile lata interpretazione finirebbe per svuotare di senso la previsione, rendendo, in sostanza, comparabili tra loro edifici anche posti in isolati stradali diversi e dunque, aventi differenti ubicazioni di riferimento».


TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 1576 del 14 agosto 2020.

La decisione è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri.



Il Consiglio di Stato ricorda che la giurisprudenza civile è concorde nell’affermazione del principio secondo cui quando, al fine di stabilire le distanze legali tra costruzioni sporgenti dal suolo, i regolamenti edilizi dettano i criteri per la misurazione delle altezze dei fabbricati frontistanti, queste devono essere determinate con riferimento al piano di posa, che è quello dell'originario piano di campagna e non la quota di terreno sistemato.
Aggiunge che lo stesso Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che la tesi di far derivare la quota del piano di campagna dalle scelte progettuali e non – come invece logico e naturale – dallo stato di fatto del terreno, tende a dare un’interpretazione capziosa della nozione di “opere di sistemazione” del terreno che sono non tutte quelle scelte dal progettista, ma quegli interventi di minima entità necessari a conformare il terreno alla futura attività edilizia (dissodamento, livellamento e interventi analoghi), ma non certo ad alterarne la caratteristiche naturali; altrimenti, si perverrebbe alla conclusione assurda che lo stacco dell’edificio dal terreno non sia ancorato a dati certi ed obiettivi, ma a scelte arbitrarie ed insindacabili del proprietario dell’immobile.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 5034 del 18 luglio 2019 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa, sezione decisioni e pareri, al seguente indirizzo.